9 novembre 2016

SE GLI ARGOMENTI DEL “SÌ” SERVONO AL” NO”

Una propaganda controproducente?


Essendo del Comitato NO AL PEGGIO, ho piacere che l’avvocato Corrado esponga argomenti per il Si controproducenti. Li riprendo nell’ordine che lui gli ha dato, nell’articolo pubblicato da ArcipelagoMilano il 26 ottobre 2016, Referendum la forza della nostra democrazia.

10morelli36fb Si comincia con la frase “la sovranità sempre frustrata dal privilegiare la rappresentatività rispetto alla governabilità … L’obiettivo è fare dell’Italia una democrazia decidente, al pari di quelle dei grandi paesi dell’Occidente”. In nessun paese occidentale la governabilità viene prima della rappresentatività. Quando viene eletto direttamente il Capo dello Stato, sono previsti vari contrappesi di cui non c’è traccia nella proposta di riforma (chiunque può constatarlo leggendo il confronto comma per comma tra Costituzione vigente e proposta). La realtà è che la proposta di riforma soffoca la sovranità del cittadino, accentrando molto lo Stato e dando assai più peso a chi governa (senza i contrappesi degli altri paesi), che ha la fiducia da una sola Camera in cui il 55% dei seggi va al primo partito (anche con meno del 30% dei voti). Nel complesso, è la terapia indicata tre anni fa dalla finanziaria americana JP Morgan.

Dopo viene la frase “rafforzando gli istituti di garanzia (quali Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale)”. Pura invenzione. La Camera drogata dall’eccessivo premio di maggioranza ha in mano tutto. Considerata la riduzione del numero dei Senatori, alla Camera i seggi della maggioranza saranno da soli il 47,6 % delle camere riunite e per arrivare al 50% +1 ci vorrà solo il 18% dei Senatori. Inoltre, per l’elezione del Presidente della Repubblica potrà bastare una maggioranza qualificata dei soli votanti (non del plenum dell’assemblea).

Segue la frase “la nostra democrazia paga all’inconcludenza dei suoi riti un prezzo molto alto in termini di astensionismo, crescita di populismi e forze antisistema”. Queste tre ultime caratteristiche non sono per niente un segno distintivo dell’Italia ma sono presenti (perfino in quantità maggiore) in tutti i paesi democratici. Derivano, semmai, proprio da un’insufficiente considerazione di chi governa per cosa vogliano i cittadini, causata dal chiudersi di chi gestisce il potere (che la proposta di Costituzione favorisce).

Successivamente si legge “l’efficienza della funzione legislativa è oggi gravemente compromessa, e a questa patologia si supplisce solo abusando di strumenti apprestati per altri scopi, quali decreti legge e voto di fiducia. Questi distorcono la corretta dialettica tra governo e parlamento.”. Però l’avvocato Corrado trascura allegramente che la proposta di riforma accresce parecchio gli strumenti in mano del Governo rispetto al Parlamento. E che la proposta di riforma quintuplica le procedure legislative possibili. Compromettendo la funzione.

Segue la frase “Il superamento del bicameralismo paritario consentirà di accorciare i tempi del processo legislativo e dare un’identità definita al Senato”. Non è esatta in due sensi. Primo perché per differenziare il bicameralismo e definire l’identità, non è necessario togliere al Senato la natura elettiva e accentrare parecchio lo Stato (che, dopo la riforma costituzionale 2001, si è dimostrato gravemente carente nei compiti legislativi e di controllo sulla funzionalità delle autonomie). Secondo perché i ritardi non sono quelli favoleggiati. Nel 2008-2013 le leggi di iniziativa del governo sono arrivate all’approvazione definitiva in 116 giorni. Per la conversione dei decreti legge sono bastati 38 giorni, che scendono a 26 per quelli collegati alla manovra finanziaria.

Viene poi la frase “Il procedimento legislativo bicamerale resterà solo per le leggi di sistema o che riguardano le autonomie locali …. La scelta dei Senatori è funzionale al ruolo di raccordo tra territori e stato centrale …. continueranno a essere votati dai cittadini, sia pure con elezioni di secondo grado, come avviene in altri paesi europei”. Innanzitutto il Senato si occuperà anche della partecipazione dell’Italia all’Europa (cosa importante), poi il ruolo di raccordo è un termine vago per nascondere che i senatori non potranno rappresentare regioni e comuni per il semplice motivo che non avranno vincolo di mandato (a differenza di altri paesi davvero regionalisti) e quindi non potranno ricevere indicazioni.

Quanto al voto di secondo grado, ammesso che sia applicabile il testo contradditorio della proposta di riforma – si pensi al doppio incarico non retribuito –, è una via per diminuire la sovranità del cittadino nelle scelte dei suoi rappresentanti. Il riferimento agli altri paesi europei non è pertinente. Perché lì l’elezione di secondo grado non è elettoralmente indiretta (come nella proposta italiana, ove si vota per il Comune o per la Regione e poi la Regione sceglie) bensì è diretta nella fase iniziale (i cittadini eleggono apposta dei grandi elettori, in Francia quasi trecento, e questi eleggono i rappresentanti locali al Senato).

Ancora dopo arriva la frase “si ampliano notevolmente gli spazi di partecipazione dei cittadini, con la sostanziale abolizione del quorum se si raggiungono 800 mila firme”.  È un raggiro, perché tutti sanno che già raccogliere le attuali 500 mila firme in 90 giorni è difficilmente fattibile, per cui aumentarle del 60% per ridurre il quorum (non abolirlo) è come mettere la carota davanti ai cani perché corrano senza raggiungerla.  Se si fosse voluto ridurre il quorum per la validità referendaria (cosa molto utile), si sarebbe dovuto farlo e basta. Del resto che lo spirito della proposta di riforma sia contro la partecipazione del cittadino, trova una conferma nell’aver triplicato (da 50 a 150 mila) le firme occorrenti per una legge di iniziativa popolare.

Infine la frase “La Corte Costituzionale dovrà valutare preventivamente la conformità alla Carta di tutte le future riforme elettorali, una garanzia che fino a oggi mancava”. Questa procedura costituisce una ferita seria alla centralità politica del Parlamento, e dunque alla sovranità. Essa taglia il rapporto tra i rappresentati e l’organo rappresentante, in base al quale, varata una legge e verificatine gli effetti, i cittadini possono ricorrere alla Corte Costituzionale. Adottare la nuova procedura sarebbe grave. La Corte diverrebbe un immediato interlocutore del parlamento nel processo legislativo, di cui sarebbe quasi compartecipe (così favorendo possibili manovre ministeriali di palazzo). In più si farebbe assumere alla Corte un ruolo di saggio nel legiferare invece che di giudice sulla corrispondenza delle leggi alla Costituzione.

A parte altro, in conclusione, riformare la Costituzione non significa cambiarla tanto per cambiarla. La Costituzione deve essere un insieme coerente di regole per relazionarsi tra cittadini sovrani. Concepire la Costituzione come una magia per drogare con le speranze, elude il come costruire davvero tali regole e peggiora nel profondo quelle esistenti. Restando per ora alla Costituzione vigente, si evita il peggio, si sconfigge la linea delle riforme a casaccio e si rafforza l’esigenza di riforme fondate sul confronto del merito dei problemi e non sullo spettacolo.

 

Raffaello Morelli

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