25 luglio 2016

musica – “PROGRAMMI” ESTIVI


In attesa di MI.TO, che mi sembra essere sempre più un circo musicale – nel senso che hanno sostituito i cavalli e le tigri con i pianoforti e i violini, ma le intenzioni sono sempre quelle “circensi” di sbalordire il pubblico con l’arditezza e la quantità dei numeri e la velocità con cui questi si alternano sul palcoscenico (e talvolta non mancano neppure mimi e pagliacci) – per fortuna Milano comincia ad adeguarsi alle abitudini delle altre metropoli europee e anche in agosto, come accade a Berlino, a Londra, a Parigi, offre una serie di concerti di musica classica di qualità ragionevolmente buona.

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Se da una parte i musicisti più ricercati vengono accaparrati dai festival estivi che si svolgono nei più attraenti luoghi di vacanza (l’elenco di questi luoghi, in Italia e in centro Europa, è troppo lungo, si pensi solo a Salisburgo, a Bayreuth, a Lucerna, oppure a Pescara o a Cervo, sulla costiera amalfitana o fra le cime dolomitiche, giusto per citarne alcuni fra i più noti), nelle metropoli affollate più da turisti che da residenti si inventano cicli minori ma non per questo meno godibili dagli appassionati in condizioni di astinenza. Iconcerti nelle chiese, nei musei, nei parchi cittadini, sono sempre più diffusi e tutti i giorni c’è qualcosa di interessante per tutti i gusti.

D’estate accade anche che si presti più attenzione alla radio. In automobile, in spiaggia, nelle serate che si allungano, la radio ci torna vicina e l’ascoltiamo più volentieri. Se poi amiamo la musica nobile, abbiamo quantomeno da scegliere fra i programmi di Rai Radio FD5 e quelli dell’intramontabile Rai Radio 3. A questo proposito vorrei però che chi decide i palinsesti e sceglie le musiche e gli interpreti da mandare in onda ci mettesse la faccia, così che noi ascoltatori “impertinenti” possiamo giudicare le loro scelte e a nostra volta decidere se vale o meno la pena di seguire i loro programmi. Esigenza tanto più sentita quando si tratta di musica contemporanea (in genere non nota all’ascoltatore, che vorrebbe perciò fosse selezionata con cura e con acuto spirito critico) o di capolavori del passato interpretati da musicisti non ancora consacrati dalla fama e dunque, anche in questo caso, da scegliere con grande prudenza.

Capita spesso che ci vengano propinati interpreti da far rabbrividire – che se fossero stati sceltida una istituzione musicale farebbero fioccare le disdette degli abbonamenti e svuoterebbero rapidamente le platee – ovvero esercizi di musica contemporanea totalmente privi di interesse;né vale dire che bisogna generosamente ed umilmente accogliere ogni novità in attesa che il tempo faccia giustizia. Non è solo il tempo che deve decidere quali opere meritino di restare nella storia e quali siano destinate ad essere presto dimenticate; il tempo è giudice finale di unprocesso che deve avere anche i gradi intermedi e per questo vogliamo sapere, insieme al nome dell’autore e degli interpreti, il nome di chi li ha scelti, in modo da poterne valutare le inclinazioni e le capacità, far tesoro dell’esperienza ed eventualmente evitare di ridargli fiducia.

Vengo al caso che mi ha indignato e che è all’origine di questa nota. La sera di mercoledì scorso Rai Radio 3 ha trasmesso un concerto registrato il 2 agosto del 2015 (per cui c’è stato tutto il tempo per valutarlo) nel corso dell’”Amiata Piano Festival” – a proposito di festival estivi! – che aveva in programma musiche per pianoforte di Brahms e di Beethoven eseguite da tal François-Frédéric Guy presentato come una stella di prima grandezza del pianismo francese (sono poi andato a leggerne il curriculum per scoprire che ha quarantasette anni, ha inciso il ciclo completo delle 32 Sonate di Beethoven, e suonato spesso con orchestre dirette da Philippe Jordan di cui ricordo una Missa Solemnis beethoveniana del 2015 alla Scala da me allora definita “una messa-melassa non molto attraente, priva di drammaticità e un po’ sonnolenta”).

Mi soffermo solo sulla Sonata numero 21 in do maggiore opera 53 – detta “Waldstein” dal nome del suo dedicatario – notoriamente fra le più belle e suggestive di Beethoven. Credo che esistano centinaia di incisioni di questa Sonata, eseguite dai più grandi pianisti del mondo e della storia (almeno da quel fatidico giorno – che non saprei dire se benedetto o maledetto – in cui si iniziò a registrare la musica). Ebbene il nostro le ha tutte sdegnosamente ignorate e, con spirito rivoluzionario e baldanzoso, è riuscito a darcene una prova tutt’affatto diversa, alternativa, spaventosa, direi persino offensiva. Molte volte in questa rubrica ho esecrato l’attuale tendenza, soprattutto dei pianisti, ad aumentare la velocità dei tempi veloci e a rallentare smodatamente i tempi lenti. In questo caso il nostro ha superato ogni limite sia nell’Allegro con brio, trasformato in un Prestissimo, sia nell’Allegretto grazioso orrendamente diventato un Presto agitato. E fra i due, per contrapposizione, ha stiracchiato oltre misura il tempo centrale – l’Adagio molto – tanto che non si riusciva nemmeno a comprenderne l’andamento melodico.

Interpretare una musica è per certi versi leggere una poesia o recitare una pièce teatrale. Non si può parlare tanto in fretta e mangiarsi le parole fino al punto che l’ascoltatore non arriva più a capirle. Egualmente non si può recitare tanto lentamente che l’interlocutore si distrae tra una parola e l’altra fino a perdere il senso della frase. Anche la musica ha bisogno di essere raccontata in modo da poterne comprendere il senso ed apprezzarne il contenuto. Esagerandosi entra in un altro mondo, quello del virtuosismo. Allora preferisco gli acrobati del circo.
Buona estate a tutti.

Paolo Viola 



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