23 settembre 2015

musica – UN SETTEMBRE RICCO DI MUSICA


UN SETTEMBRE RICCO DI MUSICA

Il ciclone MI.TO. è appena finito e, come sempre, ha lasciato il segno con concerti di ogni genere e qualità, alcuni molto interessanti o addirittura preziosi, altri di cui vi sarebbe molto da dire. Se non che – come altre volte ho ricordato – musica vincet semper per cui ben venga MI.TO. (non senza sottolineare il leggero stato d’ansia provocato da tutti questi concerti senza mai una replica: se la sera di quel concerto non puoi … addio, non c’è più niente da fare!)

musica32FBUna delle gemme di MI.TO. avrebbe dovuto essere l’Akhnaten di Philip Glass al Piccolo Teatro la sera dello scorso martedì 15. Del celebre musicista americano – diventato come si sa buddista – Ricciarda Belgiojoso ha scritto nel suo bel “Note d’autore” (Postmedia books) che “è identificato come capofila del minimalismo, corrente artistica sviluppata negli Stati Uniti a partire dagli anni Sessanta, caratterizzata dall’uso di un lessico formale essenziale: la musica è costruita ripetendo brevi cellule melodiche e semplici figure ritmiche mentre l’armonia gradualmente evolve”. Il che va benissimo per un breve pezzo introduttivo di una serata ricca di altre emozioni musicali, ma è tremendo sentirne una intera opera, per giunta in forma di concerto, senza scene e senza recitazione! Meno male che sugli schermi dietro l’orchestra scorrevano belle immagini fotografiche del rinnovato Museo Egizio di Torino (che creavano una atmosfera appropriata al racconto del Faraone che convertì il suo popolo al monoteismo); e che su altri schermi, sopra il palcoscenico, comparivano i testi tradotti da diverse improbabili lingue arcaiche. Ci ha pensato Angelo Foletto a stroncare su Repubblica l’infelice ripresa di un’opera che, vissuta dignitosamente una trentina d’anni per contrastare la funesta egemonia della scuola di Darmstadt, era stata ormai ampiamente dimenticata e rimossa.

Una piacevole scoperta ha invece allietato il bel concerto che si è tenuto la sera successiva al Castello di Pomerio dove, con il grande violinista Stefan Coles (da me più volte citato), abbiamo ascoltato l’ottima e sorprendentemente giovane pianista ucraina Kateryna Levchenko eseguire due celeberrime Sonate – il capolavoro di César Franck e l’ultima di Brahms (l’opera 108) – insieme a due sconosciuti ma deliziosi brani dei rumeni Dimitrescu e Porumbescu. Magnifici lavori concentrati in un periodo d’oro della musica – intorno all’anno 1886 in tutta l’Europa centrale, da Parigi a Bucarest – interpretate con grande passione e perizia da un duo dotato di squisita sensibilità che ha ripagato appieno i tanti ascoltatori milanesi e luganesi della (peraltro modesta) fatica di arrivare fino a Erba.

***

Fatte queste premesse, eccoci al clou della settimana, vale a dire al concerto “scandinavo” che Jader Bignamini ha diretto giovedì scorso all’Auditorium e replicato venerdì e domenica, con musiche di Grieg (Norvegia), Sibelius (Finlandia), e Nielsen (Danimarca). Un repertorio che, come dice Enzo Beacco nella sua sempre intelligente introduzione al programma di sala, “noi italiani conosciamo poco e cioè il sinfonismo nei paesi nordici fra l’ultimo ottocento e il primo novecento. I tre autori … appartengono ad altrettante generazioni consecutive e segnano una netta evoluzione di stile. “. Vediamo come.

Le due Suites dal Peer Gynt di Edvard Grieg (1843-1907) sono state scritte nel 1875 cioè nel centro di uno dei decenni più fertili della storia della musica europea; basti pensare alla Messa da Requiem di Verdi, alla Quarta Sinfonia di Bruckner, alla Moldava di Smetana, al Boris Godunov e ai Quadri di un’esposizione di Musorgskij (tutti del 1874), alla Carmen di Bizet del 1875, al Crepuscolo degli dei di Wagner (la cui prima è del 1876) al Lago dei cigni di Čajkovskij del 1877, al Concerto per violino e orchestra di Brahms (1878) – si veda l’indice di “Offerta Musicale” di Beacco – per avere un’idea dei fermenti musicali di quegli anni. I temi di Grieg per il Peer Gynt incantano e sorprendono ancora oggi per la loro freschezza e per la loro melodiosità e in particolare i famosi temi del Mattino, della Danza di Anìtra, della Canzone di Solveig, riescono sempre a commuovere e a trascinare gli ascoltatori nel mondo vero delle fiabe (la contraddizione è solo apparente …).

Il Concerto per violino e orchestra in re minore opera 47 di Jean Sibelius (1865-1957) è del 1904 e si affaccia con trepidazione sul secolo appena iniziato; ma il grande finlandese, che intuisce quanto stia per cambiare il linguaggio musicale, sembra voler dare una sorta di ultima occhiata al secolo appena concluso. Questo doppio sguardo è dunque il carattere saliente del concerto che è stato capito ed eseguito in modo superbo da un altro giovanissimo musicista, il ventinovenne violinista russo Andrey Baranov di San Pietroburgo (andrà tenuto d’occhio perché ha già i connotati del grande interprete) al quale vorrei spiegare che dopo un programma così rigoroso non si fa un bis di Paganini (per “rendere omaggio” al nostro Paese, ha detto, in realtà era puro esibizionismo) e soprattutto non si può subito dopo Paganini passare a Bach per un secondo bis. Ingenuità giovanili.

Eccezionalmente difficile (soprattutto per il solista) ma non meno affascinante il Concerto per flauto e orchestra, scritto nel 1926 dal coetaneo di Sibelius, Carl August Nielsen (1865-1931), recensito da Honegger come “opera di mole minore ma ricca di belle combinazioni per il flauto, il fagotto e il timpano … scorrevole e piccante che non manca di humor” (dal programma di sala); a me è parsa soprattutto un’opera di grande equilibrio fra classicità e modernità, con divertenti allusioni mozartiane e beethoveniane e una considerevole capacità di far dialogare lo strumento solista con l’orchestra – in particolare con il settore dei fiati – in una ricca tavolozza di temi e di trame. Grandioso Andrea Griminelli, flautista geniale, preciso, elegantissimo nei passaggi più arditi e complicati.

Di Jader Bignamini ho scritto più volte in questa rubrica, anche in occasione di un sua strepitosa Messa da Requiem verdiana, sempre all’Auditorium. Credo che abbia avuto un momento di défaillance qualche tempo fa (probabilmente dovuta allo stress per i suoi meritatissimi successi) ma che lo abbia totalmente superato dimostrandosi, in modo particolare in questo difficile e magnifico concerto, un direttore molto sicuro (lo ha eseguito tutto a memoria) e di raffinata eleganza.

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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