22 aprile 2015

libri – COME DONNA INNAMORATA


 

MARCO SANTAGATA

COME DONNA INNAMORATA

Milano, Guanda, 2015

pp. 175, euro 16,50

 

 

In una Firenze sapida, piena di voci e di rumori, si muove Dante, poeta dalla scarsella vuota e dalla mente fervida e ingombra. Dante è sposato con Gemma, ma scrive per Beatrice; è nato per la poesia, ma non disdegna la politica. Fra pubblico e privato Dante riempie di sé una narrazione che non è proprio un romanzo: è piuttosto il racconto di come nasca un’opera d’arte. Fra le righe, il poetare è sempre lì, come in agguato; ogni azione, ogni pensiero, ogni moto dell’animo riconduce sempre alla scrittura, che invita: “Ponete mente almen com’io son bella!“. E il personaggio Dante ne resta sedotto, invischiato tanto da non riuscire a pensare, a sentire se non in funzione della trasposizione in versi.

libri15FBCome donna innamorata è diviso in due parti: Bice e Guido, le due stelle dell’esistenza di Dante; due rapporti di vitalità intensa, bruciante. Bice oggetto di desiderio, anima della sua poesia, personaggio da cesellare perché chiudesse in sé tutto il femminino del mondo, quello che gli dà vita e senso: “… l’amore, capisci? , è estasi. La poesia loda la bellezza del creato. Ti dico di più, amare un angelo in terra solleva l’anima in Cielo. Credimi, l’amore può salvare.

“L’amore può salvare”: dai mali di questo mondo; dalle angustie, dai dolori, dalle frustrazioni, dall’ingiustizia e dall’imbecillità degli uomini. E può darti quella beatitudine che forse troverai nell’al di là. Ci vorrebbe un angelo … Chi sarebbe l’angelo da celebrare in versi, lui l’aveva già deciso. Non aveva esitato neppure per un momento. Non poteva essere che Bice Portinari, la dama dagli occhi di smeraldo, la signora triste che calamitava l’attenzione dei presenti e li rendeva più gentili, più rispettosi, più affabili.

Il racconto del rapporto con Bice è, per Santagata, il pretesto per tuffarsi nella creazione e nelle ragioni della scrittura: allora comprendi come nasca la Vita Nuova, le canzoni d’amore e, più tardi, la scrittura dei primi canti di quella Commedia che vengono recapitati a Dante nel castello dei Malaspina.

A lui interessava solo la porta della verità. Perché la nuvola bianca che saliva in cielo lui l’aveva vista, eccome. Senza rendersene conto aveva preso un altro foglio, immacolato. Un getto di versi fluiva sulla pagina. Una canzone. Si stava scrivendo da sola. Una mano invisibile guidava la penna. A prendere forma, miracolosamente era la canzone della verità, e la verità era nella nuvola: “Levava gli occhi miei bagnati in pianti / e vedea”

Dante il visionario… Dante l’epilettico. Dante il segnato e il conoscitore di segni, su cui Santagata si ferma a lungo. Il nove: sopra tutto il nove. L’età in cui Dante aveva incontrato per la prima volta Beatrice; la terzina moltiplicata per se stessa; e molto d’altro ancora.

Era pronto, poteva cominciare a scrivere. Procedeva velocemente: le terzine si incatenavano le une alle altre con naturalezza, i versi si impregnavano dell’eterna felicità di quel luogo di perfezione. In poco tempo era arrivato al fiumicello, al rio

“Che ‘ver’ sinistra con sue piccole onde / Piegava l’erba che ‘sua ripa uscìo.”

Era il Lete. Il fiume che dall’anima cancella perfino il ricordo dei peccati. Per incontrare Beatrice l’avrebbe dovuto guadare.

È nel Paradiso Terrestre che prende forma perfetta la seduzione femminile: e Matelda ne è l’incarnazione. Anche in questo caso Santagata non lascia spazio al lettore, e lo conduce con maestrìa esattamente dove vuole: a riconoscere quale sia la materia da cui prende vita la poesia dantesca; quella ridda di umori e di passioni che muovono Dantino, come lo chiama Cavalcanti.

Lui si sentiva pervaso di amore. Una piena trabocchevole di affetti che premeva per uscire e prendere la forma di poesia. Aveva la sensazione che il suo viaggio nell’aldilà a mano a mano che saliva verso il paradiso, nello stesso tempo, come se fosse ovvio, naturale, come se fosse lo stesso viaggio, retrocedesse verso Firenze, verso la sua giovinezza. E tutto ciò che aveva patito, amato, si ricomponeva in un ordine superiore nel quale amore, amicizia, fede lealtà formavano il solido blocco che sorreggeva la sua vita di eletto.

Mentre racconta, Santagata illumina le letture di Dante, e indica con acribìa quanto debito egli abbia contratto con Cavalcanti:

Primavera! Era uno dei nomi con i quali Guido nelle sue poesie chiamava Vanna. Anche lui, nella “Vita Nuova”, l’aveva chiamata Primavera, ma a Guido la cosa non era piaciuta, e giustamente.

Santagata scandaglia a fondo, entra nel carattere, nel cuore, nella mente dei suoi personaggi, ma non si dimentica mai della complessità e stratificazione del testo. Così fornisce indizi al lettore su come nasca la poesia, le sue fonti, i suoi rimandi, le sue intenzioni, con un’attenzione privilegiata alle Rime: siamo a Firenze in gran parte della narrazione. Solo per brevi squarci si palesa l’esilio, il tempo del poema, del viaggio estenuante; lo spazio di inferni e paradisi (tutti con la minuscola) in cui Virgilio e Beatrice l’avrebbero introdotto.

Bice e Guido: entrambi amati ed entrambi morti. Dante vede i loro corpi senza vita con tenerezza e straniamento: glieli avevano portati via da tempo. Simone de’ Bardi si era sposata Bice, chiudendola in una prigione senza amore; la politica lo aveva separato da Guido, mandato al confino.

Era necessario ricostituire un’armonia accettabile: ecco allora l’idea di un viaggio in cui tutto ritrovasse il posto che gli spettava. Là Beatrice avrebbe potuto “donneare” nel bagliore dei suoi occhi verdi: solo per Dante. Là sarebbe avvenuta, “nell’ordine delle cose”, la beatificazione di Guido. Non più eretico, non più epicureo, ma Giovanni Battista. Il patrono di Dantino e di una poesia in grado di ricomporre, a suo piacimento, l’universo:

Sto forse affermando, si era chiesto, che Guido è stato il mio Battista? Non offendo la sua memoria?

Certo, si era risposto, affermo ciò. Ma Guido non si offenderà. Guido è in paradiso. Da lassù vede la verità e ne gioisce. E la verità è che lui è stato il mio Battista.

È l’ordine delle cose.

Giuliana Nuvoli

questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero

rubriche@arcipelagomilano.org



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