29 ottobre 2014

libri – AUGUSTUS


 

JOHN WILLIAMS

AUGUSTUS

Castelvecchi, luglio 2014

pp.384, euro 19,50

 

libri37FBRomanzo sicuramente storico è “Augustus” di John Williams, ma più ancora romanzo filosofico, come le “Memorie di Adriano“. Romanzo in forma epistolare, perché tutto si svolge attraverso varie epistole, carteggi, diari, che i personaggi del testo si scambiano in un ordine sottile, in un incastro di date e avvenimenti, che costringono il lettore alla massima attenzione. E dire che, per ammissione stessa dell’autore, alcuni personaggi, lettere e documenti sono stati da lui inventati, sempre aderenti però al linguaggio dei tempi e degli avvenimenti , descritti, come si conviene a un grande docente di storia romana, come lui era. Ne deriva un gioco spericolato di vero e di falso che incanta il lettore, che, catturato dalla prosa superba dell’autore, si lascia condurre in uno stato di estasi, lungo i 40 anni di imperio di Gaio Ottaviano Cesare Augusto, nel periodo più affascinante della storia romana, quello della “pax romana”.

Duro destino è avere un destino, diceva Calvino, quel destino che incontrò il diciannovenne Gaio Ottaviano, figlio di Attia sorella di Giulio Cesare, quando gli sopraggiunse la notizia dell’assassinio dello zio, alle idi di marzo del 44 a.C., mentre si trovava ad Apollonia in Macedonia, inviato colà dallo stesso Giulio Cesare, dopo la campagna in Iberia, per ritemprare lo spirito e il corpo, la conoscenza della lingua greca e la filosofia.

Erano con lui i tre amici di una intera vita, le uniche persone delle quali si fidò nel corso degli anni. Marco Vipsanio Agrippa, il futuro vigoroso “generalissimo”, colui che condusse tutte le sue più impervie battaglie per mare, contro il pirata Pompeo. È lui che si assume qui nel romanzo, il compito delle memorie di quei tempi in cui “Ottaviano scoprì Roma sanguinante tra le mascelle delle fazioni, uccise la bestia sovversiva, risollevandone il corpo quasi senza vita, ne sanò le ferite e la rese di nuovo integra“. Suo il Pantheon “per. celebrare la liberazione di Roma dal tradimento egizio“. Sposò, per compiacere Ottaviano, la figlia Giulia in seconde nozze, e da lei ebbe cinque figli. Una morte prematura cambiò il destino suo e di Giulia, che forse non si sarebbe persa in sfrenatezze amorose, nonostante le terze nozze con Tiberio, poi l’imperatore che successe a Ottaviano.

Con Agrippa ad Apollonia c’era il grande e sofisticato poeta Mecenate, protagonista magnifico anche del romanzo “Un infinito numero” di Vassalli. E Salvidieno Rufo che dopo una mossa discutibile, si suicidò per non dovere offendere Ottaviano. Con questi tre amici Ottaviano torna in sordina a Roma, per iniziare la missione a lui affidatagli dal potente zio, tra mille intrighi di palazzo, che egli seppe sventare con l’arma della risolutezza e la diplomazia nei rapporti.

John Williams ci propone un Gaio Ottaviano Cesare Augusto fermo nelle sue decisioni, capo incontestabile del suo popolo, fedele a sua “figlia” Roma, alla cui fama nei secoli dedicò la sua vita di politico sopraffino, tra battaglie vinte grazie ai suoi generali e letture raffinate in compagnia di filosofi eccellenti. Un Cesare Ottaviano morso da un’inquietudine moderna, pensato dall’autore in chiave molto umana, alla maniera dell’Adriano della Yourcenar. Bellissime le ultime pagine con le sue meditazioni sugli dei e l’amore.

Un imperatore afflitto come ogni uomo dalla solitudine, schiacciato sotto il peso di decisioni fatali, non solo verso la cosa pubblica, ma verso i suoi stessi affetti più prossimi. Come quando è costretto a esiliare l’amata figlia Giulia, accusata non solo di adulterio, reato sanzionato pesantemente proprio da Ottaviano stesso, ma addirittura di tradimento e cospirazione per ucciderlo. Da qui l’esilio a Pandataria per salvarle almeno la vita, e poi a Reggio. Eppure Ottaviano è lo stesso uomo che sa commuoversi quando incontra per caso la figlia della sua nutrice, Irzia ormai vecchia che mormora “Tavio”, il suo nome da bambino, mentre le passa accanto per recarsi al Senato. Episodio immaginario di pura poesia.

Struggenti e frutto di arte narrativa, sono anche le lettere che Ottaviano settantaseienne, senza denti, malfermo sulle gambe, ormai prossimo alla morte, inviò durante la navigazione verso Capri, al filosofo Nicolao di Damasco, ritiratosi in Palestina, da dove inviava all’imperatore datteri squisiti, da lui soprannominati “nicolai” in onore dell’amico.

Tutti i personaggi che ruotano attorno a Cesare, la prona e dolente sorella Ottavia, l’ambiguo potente Marco Antonio, l’astuta Cleopatra, il mite Virgilio, l’opportunista Cicerone, il pensoso Orazio, il mondano Ovidio, lo sprezzante Tiberio emergono via via dal tono delle loro lettere, che si incrociano tra i destinatari, in un rimescolamento di date, con un sapiente gioco di rimandi.

Fuori tema appaiono perciò le critiche del pur autorevolissimo Luciano Canfora, che da filologo quale egli è, ha accusato il romanzo di mancanza di verità storica e soprattutto di violazione delle regole del romanzo epistolare. Verità che l’autore solo in parte si è prefissato di perseguire, dando spazio alla sua grande vena narrativa, che attiene al “vero poetico” non al “vero storico”, come ebbe a spiegare il Manzoni.

Augustus” scritto nel 1972,e ripubblicato nel luglio del 2014, vinse il National Book Award nel 1973, ma l’autore in vita fu snobbato dalla critica (morì a 71 anni nel 1994). Solo dal 2006, grazie alla New York Review of Book il suo “Stoner” dalla “suadente e spietata narrativa” è balzato agli onori più alti della narrativa americana e mondiale.

E pensare che questo testo fu bocciato da ben sei editori, finche arrivò la Viking Press che decise di pubblicarlo. Poi venne Augustus. Ma tutta questa sua arte non salvò Williams dalle insidie dell’alcolismo, tant’ è che non riuscì a terminare “The sleep of reason”. Splendori e abissi di un vero genio della penna.

Marilena Poletti Pasero

 

 

questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero

rubriche@arcipelagomilano.org



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