22 ottobre 2014

musica – LE GOLDBERG DI BAHRAMI


 

LE GOLDBERG DI BAHRAMI

Il Corriere della Sera ha messo in vendita la settimana scorsa il primo di una serie di 12 CD contenenti le opere per tastiera di Bach eseguite al pianoforte dal trentottenne iraniano – ormai anche tedesco e italiano, come lui stesso dice di ritenersi – Ramin Bahrami di cui avevo scritto due anni fa quando eseguì alla Scala, in un recital per il Museo Diocesano, diverse composizioni di Bach e di Domenico Scarlatti. Fui molto deluso da quel concerto, e scrissi fra l’altro che fu «una esibizione in chiave esclusivamente virtuosistica, spinta al punto da rendere le partiture irriconoscibili, omologate da una velocità vertiginosa, da togliere il respiro; tutto è stato eseguito à-bout-de-souffle eliminando anche quell’essenziale “riprender fiato” che precede i ritornelli, quando la musica “ritorna” su sé stessa e si ripete per invitare l’ascoltatore a concentrarsi e a memorizzarla. Una diabolica corsa per arrivare alla fine di ogni pezzo».

musica36FBQuesto primo CD contiene le famosissime “Variazioni Goldberg” o meglio quella “Aria con diverse variazioni per Cembalo a due tastiere” che poche settimane fa – per MI.TO. – aveva eseguito al clavicembalo tal Onofrio Della Rosa del quale scrissi che ne aveva dato «una lettura scolastica e pedante, senz’anima e senza convinzione, persino imprecisa, e tanto noiosa da sentire il bisogno – nella seconda parte – di saltare qualche ritornello per accorciarne i tempi… solo note, una dopo l’altra, senza capo né coda».

Ho dunque ascoltato questo primo CD di Bahrami con grande interesse e attenzione, sia perché il ragazzo – che nel frattempo non è più tale – è diventato una star (e lo sarà ancora di più con questo “lancio” del Corriere e dopo una impresa così impegnativa), sia perché le Goldberg sono diventate – in questi ultimi cinquant’anni e cioè da quando ascoltammo la prima versione al pianoforte di Glenn Gould – una sorta di cartina di tornasole non solo sulla tecnica, come è ovvio, ma ancor più sulla maturità di un pianista.

Ho dovuto ascoltarlo più volte in questi giorni per farmene una idea e confesso di aver faticato non poco a venirne a capo perché in questi 80 minuti di intensissima musica vi sono elementi tanto contraddittori da disorientare l’ascoltatore.

Dico subito che l’Aria – quella pagina iniziale, magica, che presenta e insieme nasconde il tema dell’opera – è eseguita in maniera perfetta, morbida, scavata in profondità, essenziale e priva di orpelli; ci introduce subito nella speciale atmosfera sonora di quest’opera ed è capace di farci penetrare in quel sistema di relazioni fra suoni che è la trama stessa della composizione; insomma Bahrami ci mette nello stato d’animo perfetto per “entrare” nell’opera. Una delizia.

Siamo dunque davanti alla porta, stiamo per entrare, ma ahimè veniamo subito presi a sberle: la prima Variazione, che dovrebbe prenderci per mano e infonderci fiducia per iniziarci al lungo percorso delle successive ventinove, ce la aspetteremmo eseguita sommessamente, con leggerezza, friendly. Dovrebbe fin dalle prime battute farci capire il legame con il tema appena presentatoci, cominciare a svelarlo – ciò che ineluttabilmente avverrà poco a poco, Variazione dopo Variazione – in altre parole ci aspetteremmo di non uscire dall’atmosfera dell’Aria introduttiva per iniziare subito ad approfondirne il significato. Ma Bahrami fa tutto il contrario, sembra volerci sorprendere e prendersi gioco di noi, la affronta come usando un colpo di frusta, velocissimo, fortissimo, senza fiato, esattamente come suonò due anni fa alla Scala.

La seconda Variazione segue la medesima sorte e viene anch’essa “sparata”, anche se a volume e velocità ridotti. Bisogna arrivare fino alla terza (il “Canone all’unisono“, cui seguiranno, ogni tre Variazioni, i Canoni alla seconda, alla terza, alla quarta e così via fino alla nona) per ritrovare un po’ di quiete, capire bene di che si tratta e scoprire il tema che era ben nascosto nelle note più basse.

Dicevo di elementi contraddittori e disorientanti perché Bahrami prosegue in modo molto discontinuo, alcune Variazioni sono meditate e curate come l’Aria iniziale ma altre sono dominate dalla nefasta attitudine al virtuosismo e alla pura tecnica (che certo non gli manca). In particolare ho trovato molto suggestive la quindicesima – il “Canone alla quinta” che conclude la prima parte dell’opera – e magnifica la venticinquesima che ne rappresenta il culmine, il momento più intenso e profondo. Quindicesima e venticinquesima sono peraltro le uniche due Variazioni per le quali l’Autore indica il tempo, rispettivamente “andante” e “adagio”, senza con ciò autorizzare i “presto” e i “prestissimo” che molti esecutori adottano per altre Variazioni e che Bahrami impone alla ventottesima e alla ventinovesima rendendole incomprensibili.

Ho trovato ottima anche la sedicesima, quella Ouverture che Enzo Beacco, nella sua “Offerta Musicale“, descrive come “grandiosa,… inconfondibile per l’incedere solenne ritmato delle sezioni laterali e per il denso fugato di quella centrale“, e con piacere riconosco all’interprete la raffinatezza con cui ripete l’Aria alla fine, dandole un significato diverso da quello della sua iniziale presentazione; assegnandole cioè, come è giusto che sia, il compito di evocare il lungo percorso effettuato facendone una sorta di eco, quasi di addio. Comincia bene, dunque, e conclude ancor meglio. Peccato che non abbia voluto o saputo creare una architettura coerente e compatta, facendo nascere ogni Variazione dalla precedente e preparando con essa quella che segue, legandole con un unico filo e tenendole sempre strette all’Aria che le ha generate.

Si tratta comunque di un’opera difficilissima, un’opera “aperta” che consente interpretazioni molto diverse fra loro (basterebbe osservare le durate complessive, che vanno dai 50 minuti di Gould, prima versione, agli 80 di Schiff e di Bahrami), che necessita di grandi capacità tecniche (non sono molti i pianisti in grado di affrontarle seriamente), che crea enormi aspettative negli ascoltatori affascinati in modo particolare dalle opere “laiche” di Bach. Interessante osservare come, diversamente da Schiff che nel cofanetto di 12 CD contenente la stessa integrale bachiana colloca le Goldberg nell’ultimo disco, Ramin Bahrami abbia coraggiosamente iniziato proprio con l’impresa più ardua.

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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