8 febbraio 2012

libri – I TORINESI , I NAPOLETANI


I NAPOLETANI
Francesco Durante, Neri Pozza, 2011, pp.333 euro 17
I TORINESI
Osvaldo Guerrieri, Neri Pozza, 2011, pp. 360, euro 17.60

I due libri verranno presentati mercoledì 14  febbraio, ore 18.30, presso Palazzo Sormani, sala del Grechetto, via F. Sforza 7

Cosa hanno in comune “I napoletani” di Francesco Durante e “I torinesi” di Osvaldo Guerrieri? Essi sono le prime due “guide” di una nuova Collana editoriale della Neri Pozza, dedicate a Napoli e a Torino. Non cifre o mappe ma una geografia dell’anima delle città, il genius loci, l’identità filtrata attraverso la sensibilità degli autori.
Diversi gli approcci di Durante e Guerrieri, uniti in un viscerale amore per le loro città: Guerrieri si affida ai personaggi che hanno fatto grande Torino negli ultimi 150 anni, per trovare tra loro un comune denominatore che ne riveli il carattere, rinvenibile nel culto del lavoro e della sobrietà. Durante fa leva sul grande passato di Napoli, ricca di impronte straniere e perciò di apporti culturali e lessicali diversi, per trovare la cifra leggendaria della sua identità, pur nelle sue profonde contraddizioni. Due città opposte per la loro storia, entrambe fondamentali nel processo di unificazione dell’Italia.
È dalla forma urbana delle città che più si può cogliere il carattere degli abitanti.
“El Turin”, coniugato al maschile, è disegnata a castrum romano, con le sue strade perpendicolari e razionali, sede un tempo di caserme e di ministeri. Anche per questo, ”Tedescheria” veniva qualificata Torino a fine ‘800, per la sua tradizione cortigianesca, piena di etichetta, autoritaria, egoista, caparbia. L’autore vuole subito sfatare questa tesi per ricordare che se per i torinesi il lavoro è una religione, la prudenza una virtù, come il risparmio, essi non disdegnano i balli e le osterie (ribote) e coltivano l’amore per lo sport. In effetti Torino non è un città statica e ai primi del ‘900 vive un’epoca di grandi contrasti, divisa com’è tra una classe di militari aristocratici di campagna, una borghesia imprenditoriale rampante legata al commercio e alla finanza, e un terzo ceto di piccoli impiegati e operai.
Una realtà tutt’altro che stagnante se si pensa che nel 1899 viene fondata la Fiat da Giovanni Agnelli, passata in sei anni da 50 dipendenti a 1600, e che nel 1912 nasce la prima società cinematografica in Italia, l’Ambrosia film. Molto significativi, disegnati con mano maestra da Guerrieri, sono i ritratti dei personaggi che hanno dato lustro alla città, a iniziare con l’aleph Cavour per terminare con l’avvocato Agnelli. In mezzo incontriamo tanti santi, come Don Bosco, e scopriamo che Cirio era torinese e non napoletano come le sue conserve di pomodori lascerebbero supporre, e che il barone valdostano Bich abitava a Torino prima di trasferirsi con la famiglia a Parigi e dare vita alla realizzazione della mitica Biro, da un brevetto ungherese.
E incontriamo Lancia il geniale concorrente di Fiat, e Lenci con le sue bambole, vere icone del tempo, e il giovane genio liberale Gobetti, morto esule a Parigi, amico del pittore Casorati, e Carlo e Primo Levi, e Gualino fondatore della Snia, e Macario e le sue splendide donnine, e Combi portiere della Juve, e Tesio l’allevatore del campione Ribot e Buscaglione e la sua musica americana. Oggi Torino è una città babele dai centoquaranta idiomi, ma resta pur sempre un signora città, anche se “Il Cambio” di Cavour chiude.
Dall’altra parte Durante ci consegna un ritratto ideale della sua Napoli, patrimonio universale dell’umanità, tra splendore e miseria. Una città dalla forte identità, ricca di contraddizioni, “azzurreria e furfanteria”, l’armonia inarrivabile del suo cielo e mare, e l’insidia latente del gigante Vesuvio. Da questo perenne dualismo scaturisce un certo carattere napoletano: suadente, accogliente, generoso, sensuale, ma indolente e pigro per la nemesi del sole e astuto, insolente, incline alla violenza, per l’incertezza e il fatalismo che comunica il Vesuvio.
La stessa urbanistica della città testimonia la complessità e l’inafferrabilità della sua indole e ci racconta la sua avventura storica lungo due millenni, che parte dai greci e si nasconde nelle viscere della terra con le catacombe romane, si stratifica in testimonianze bizantine, angioine, aragonesi, borboniche, che riflettono il loro riverbero nel caleidoscopio della sua ricchissima lingua e nella grande tradizione culturale, letteraria, musicale, culinaria.
Ma, ammette l’autore, Napoli non può essere pensata in maniera razionale, perché gli stessi napoletani credono nel suo mito, ingenerando una contraddizione a livello di percezione. Napoli è prigioniera dei suoi vicoli e del suo clima, che hanno segnato la sua indole, ove la commiserazione contende il passo alla reazione civile, e si arriva così a “Gomorra” di Saviano e all’immondizia gestita dalle cosche.
Napoli non può più reclamare l’egemonia sul Mezzogiorno, deprivata delle sue fabbriche e delle sue banche, anche se nel 1921 era la più grande città italiana. Eppure Napoli, sopravvissuta a terremoti, invasioni, corruzione, povertà, ha avuto un sussulto culturale che parte dai La Capria, Ortese, Rea, Starnone, Lanzetta, Prisco, De Luca, Servillo, Turturro, Franchini, e ha saputo dare segni di modernità e riscatto, come la sua metropolitana unica al mondo, dotata di opere d’arte contemporanea esemplari. Oggi, in attesa di un progetto complessivo, che può provenire solo dal rinnovo della politica, conviene puntare, suggerisce l’autore, più che su grandi eventi, sulla dimensione leggendaria del suo passato.

 

questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero
rubriche@arcipelagomilano.org

 



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