6 ottobre 2019
ALITALIA, SEA, FIUMICINO: UNA TELENOVELA ITALIANA
Un caso di malriposto orgoglio nazionale
6 ottobre 2019
Un caso di malriposto orgoglio nazionale
Il vecchio giochino delle sigle delle compagnie aeree per definirne il servizio in uso fra i grandi viaggiatori fin dagli anni ottanta era già impietoso: “Alitalia – Always Late In Takeoff Always Late In Arrival”, “sempre in ritardo al decollo, sempre in ritardo all’arrivo”. Definire l’Alitalia una “eccellenza da salvare”, per di più dopo venti anni di interventi mirati solo a mantenere qualche volo a Fiumicino e Roma Ostia e 10 miliardi di euro pubblici volatilizzati, non è solo propaganda politica un tanto al kilo, è una truffa ideologica ed economica bella e buona.
Nessuno può dirsi innocente fra i governi di questi anni: da quelli della tarda prima Repubblica che scaricavano sui conti Iri le perdite generate da costi del personale in perenne esplosione, a quelli Berlusconi, che stracciò un assegno di 1,8 miliardi di Air France per arruolare i “capitani coraggiosi” che ci costarono invece 1,8 miliardi, fino alla bella pensata di Giggino Di Maio di riprendersi il maltolto dagli arabi per tentare il solito baratto da bambini di altre concessioni contro salvataggio privato con i Benetton e la forzata complicità di FS con i vertici in perenne ricerca di conferma.
Ma Alitalia non è solo una storia di straordinario spreco impunito di denaro pubblico e di una delle più basse gestioni da basso impero all’italiana, è anche e forse soprattutto la storia della completa devastazione di qualsiasi politica industriale che avesse un minimo di senso per il turismo e per il settore aereoportuale.
Per restare agli ultimi anni, si è rischiato di mandare a carte quarantotto l’unico investimento in grado di garantire una presenza italiana nel mercato europeo, la nuova Malpensa, realizzata con grandi e gravi ritardi decisionali perché la lobby di Fiumicino ritardò la firma del primo governo Berlusconi fino a che la solita, cattivissima Europa non minacciò di dirottare su Madrid mezzo miliardo di finanziamento.
Pur con ritardo, si era ancora in tempo a realizzare l’hub europeo che avrebbe consentito alla nostra compagnia di bandiera di fare il salto a compagnia (allora) di lungo raggio e player almeno europeo, come Air France, British Airways e Lufthansa, diventando utile per attirare il turismo mondiale e svincolandosi dalla dipendenza di un mercato domestico ormai insufficiente per qualunque compagnia che voglia stare in piedi e, nel nostro caso, incentrato sulla tratta Milano-Roma gestita in monopolio e a prezzi esorbitanti, con alle viste la Tav che, come puntualmente avvenuto, l’avrebbe scardinato dalla sera alla mattina. E invece niente, per non disturbare gli assetti romanocentrici, si inventò la follia del doppio hub Milano-Roma (in nessuna parte del pianeta così vicini ed in mano ad una sola compagnia), per di più gestito con personale in trasferta a Malpensa.
La follia fu interrotta sotto il peso dell’aumento dei costi Alitalia del 30%, quando tutti li stavano abbattendo del 50%, e del crollo del fatturato per la concorrenza del Freccia Rossa, naturalmente ignorando totalmente la logica e l’economia: anziché spostare traffico, personale ed aeromobili nel mercato più ricco e grande del Nord, si chiuse baracca e burattini a Malpensa per sistemarsi nel giardino di casa romano, mettendo in grave crisi la SEA (di proprietà del comune di Milano) per tutelare (anche) il valore di Fiumicino, appena ceduto alla famiglia Romiti.
Com’era scritto, in pochi mesi Alitalia continuò la corsa verso il baratro, la famiglia Romiti trattò l’aeroporto come una vacca da mungere in fretta, forse equivocando sul termine finanziario di cash cow, per passare la mano ai Benetton che, sebbene acquisiscano Fiumicino a prezzo di saldo, almeno portano una logica di infrastruttura commerciale sul mercato europeo.
Con l’incremento del traffico aereo mondiale, il tramonto degli hub di una sola compagnia, l’avvento prepotente delle low cost, il ritorno alla logica delle tratte point-to-point, la Malpensa a guida SEA, faticosamente ma sicuramente, attraverso una certosina ricerca di voli internazionali dalle singole città dei nuovi mercati emergenti, dalla Cina all’India, dai paesi del Golfo alla Russia, ricostruisce traffico, valore e fatturato, cambiando con l’arrivo della giunta Pisapia management e strategia e chiudendo i contenziosi con l’Europa che i “sovranisti” ante litteram della destra forzista e leghista meneghina e varesina avevano generato con una gestione inefficiente e, vecchio vizio, in violazione delle regole europee.
Lungi dall’interessarsi su cosa stesse succedendo sul mercato, il Governo centrale (tutti; da Monti a Conte 1, passando per Letta, Renzi, Gentiloni …) si è preoccupato prima di tutto di tutelare la rendita di posizione di Fiumicino, ritardando e negando sistematicamente l’autorizzazione ad istituire i voli intercontinentali con base Milano Malpensa, senza capire che la competizione per attirare il turismo mondiale si gioca sull’accessibilità e la comodità degli aeroporti più che fra i vettori, e che Zurigo, Parigi, Monaco di Baviera ringraziano e incassano.
Le soluzioni per questa ennesima ed annunciata crisi Alitalia sono di dubbia (eufemismo) efficacia per interrompere l’agonia ultradecennale della compagnia, ma sono certamente perfette per zavorrare nuovamente l’intero settore e gli aeroporti del Nord: se i Benetton saranno spinti ad investire in Alitalia, forse avranno (di nuovo) un occhio di riguardo sulle tariffe autostradali (trecento milioni per blindare un paio di miliardi di utili in pochi anni sono ancora un buon investimento, ma forse un po’ troppo nell’occhio del ciclone) ma certamente godranno ancora di protezione commerciale e normativa su Aereoporti di Roma.
Infine, pur mettendo pure una croce sopra i dieci miliardi già bruciati, abbiamo una idea di cosa si potrebbe fare con i 2/3 miliardi che la fornace Alitalia assorbirà nei prossimi due o tre anni (magari anche questa volta fuori dai parametri UE …) investendoli nel settore turismo?
Governare con le parole e gli slogan (“non si tocca”, il “petrolio d’Italia” e via sproloquiando) significa continuare nella deriva. Parafrasando Seneca, nessun vento è amico di coloro che non conoscono l’aeroporto dove vogliono arrivare …
Franco D’Alfonso
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