31 gennaio 2017

PROVINCE 2.0: MOLTI I PROBLEMI ANCORA APERTI

Per alimentare il dibattito


Condivido pienamente la sostanza dell’articolo di Valentino Ballabio. Aggiungo alcune considerazioni. La legge 56/2014 Delrio ha reso marginale il ruolo degli enti di governo intermedio con l’elezione di secondo grado di Province e Città metropolitane, in una logica di redistribuzione dei poteri che con la riforma costituzionale avrebbe voluto affidare alle regioni e ai comuni il ruolo effettivo di governo del territorio, anche a scala intermedia, mentre parte dei poteri regionali sarebbe stata riportata allo Stato centrale.

05targetti04fb_Questo impianto è stato annullato dall’esito del referendum: le Regioni si ritrovano cariche di competenze con oggettive difficoltà di governo del territorio a scala intermedia, mentre le Provincie tornano a essere istituzioni costitutive della Repubblica e quindi non possono essere declassate a enti di secondo livello. Se la politica tornerà ad ascoltare le competenze (amministratori, pianificatori, studiosi del territorio ed enti di ricerca sociale come il CENSIS) non potrà che prendere atto che un Paese con 8.000 comuni ha bisogno di un efficace governo intermedio tra regioni e comuni, come nel resto d’Europa. Mi pare dunque assolutamente condivisibile la proposta di Ballabio di “nuove province” più grandi, a elezione diretta, con pochi poteri ma sostanziali.

Le competenze indicate da Ballabio. Ballabio indica tre campi di competenza delle nuove Province: territorio, mobilità, ambiente. Territorio vuol dire pianificazione e governo degli assetti fondamentali: infrastrutture, funzioni di scala sovra comunale (ospedali, università, grande distribuzione, ecc), controllo dell’uso del suolo. Mobilità vuol dire viabilità, infrastrutture e gestione del trasporto pubblico, in diretta relazione razionale con l’assetto insediativo (urbanistico) del territorio; gestione del traffico per il controllo dell’inquinamento atmosferico. Ambiente vuol dire ciclo dell’acqua, ciclo dei rifiuti, inquinamento atmosferico, assetto idrogeologico, ecc.

A queste competenze aggiungerei il territorio agricolo come sistema produttivo e tutela del paesaggio nei territori metropolitanizzati; i parchi e le altre aree naturali da tutelare. Sono funzioni che non possono essere razionalmente gestite dai Comuni per incongruenza tra scala dei problemi e territori comunali, né dalle Regioni per rispetto della rappresentanza democratica e di numerosità delle decisioni da assumere. Le Regioni potrebbero anche affidare alle Province specifiche missioni (anche a termine) relative alle peculiarità dei loro territori. Penso alla prevenzione dai rischi sismici in Italia centrale, campo nel quale le Regioni e i Comuni in ordine sparso, salvo alcuni, hanno drammaticamente fallito.

La dimensione e la ricomposizione dei territori provinciali. L’esempio della Lombardia. La ratio per la ricomposizione dei territori delle Province dovrebbe fondarsi anzitutto sulle competenze a partire dalla mobilità, ma dovrebbe fondarsi anche su specifiche peculiarità e missioni delle nuove province. Si potrebbero per esempio ricomporre le province di Como, Lecco, e forse Sondrio (qui differisco lievemente dalla proposta di Ballabio) avendo come missione centrale la tutela e la valorizzazione del lago e del suo territorio. E così il lago Maggiore per la provincia di Varese; il territorio agricolo del sud metropolitano per Pavia, Lodi e Crema e la grande pianura irrigua e il Po per Cremona a Mantova.

La città metropolitana di Milano. Le città metropolitane italiane hanno strutture territoriali assolutamente differenti fra loro e richiederebbero modelli istituzionali differenti. A Milano la Città Metropolitana, come noto, sostituisce la “piccola” Provincia. Ballabio propone di aggregare a essa Monza e la Brianza comasca, lecchese e varesina fino a Busto Arsizio. Cioè la parte più densamente urbanizzata della Regione. E soprattutto propone di articolare la città di Milano in veri municipi autonomi. Una proposta che ha una forte base razionale ma sempre politicamente osteggiata.

Dimostrare ora la necessità di un’istituzione più forte dell’attuale con l’elezione diretta del sindaco metropolitano e la ricomposizione della città centrale in municipi, che ritengo utile e necessaria, è però reso più difficile dall’attuale contingenza: dopo il successo dell’Esposizione internazionale, Milano sta indubbiamente rafforzando il proprio ruolo internazionale e si conferma il motore trainante del Paese. È un ruolo che oggi sta svolgendo la sola città di Milano: il “dopo Expo”, il riuso degli scali ferroviari, le nuove linee metropolitane, ecc. sono tutte operazioni gestite dal capoluogo senza coinvolgere la Città Metropolitana.

La Città Metropolitana del resto non riesce a proporre una propria visione strategica per l’area metropolitana che comprenda Milano. Come la ex provincia, la Città Metropolitana coordina i comuni attorno al Capoluogo (il Piano strategico, il bando periferie, ecc) ma non interviene sulle questioni centrali. Non per inadeguatezza degli amministratori ma perché il territorio metropolitano non riesce a esprimere interessi preminenti per una realtà economica e sociale fortemente indebolita dalla crisi economica. Le spinte alla trasformazione, l’innovazione, la crescita sembra si concentrino nella sola città centrale.

Bisogna dunque trovare una convincente ragion d’essere per una Città Metropolitana forte. Anche per la Città Metropolitana le competenze fondamentali sarebbero territorio, mobilità, ambiente e agricoltura ma in più la Città Metropolitana dovrebbe avere le risorse e gli strumenti per realizzare direttamente gli interventi nel territorio più complesso del Paese e cioè le entrate di bilancio di Milano e dei comuni più grandi per gli investimenti in infrastrutture e specifici trasferimenti organici, non saltuari, della Regione, dello Stato e della Comunità europea. Anche le maggiori aziende e tecnostrutture come ATM, MM, Consorzio acqua potabile, ecc. dovrebbero essere strumenti della Città metropolitana.

Il governo dell’Area metropolitana di Milano è questione nazionale e c’è dunque bisogno di un’istituzione che non sia una provincia un po’ più importante ma un ente politicamente forte, capace di governare interessi regionali e nazionali. Dunque l’istituzione Città metropolitana deve essere conformata a tale ruolo, per esempio immaginando un organismo direttivo che veda la partecipazione organica di rappresentanti della Regione e del Governo.

Per gli irriducibili avversari delle Province: la questione dei costi. In questi anni lo Stato ha drasticamente ridotto i trasferimenti a Regioni, Province e Comuni. In particolare alle province in previsione della loro eliminazione (alcune sono sull’orlo del dissesto finanziario). Probabilmente l’operazione ha ridotto gli sprechi. Bisogna però vedere se la cura dimagrante ha anche ridotto i livelli di servizio e gli investimenti e che effetto ha avuto sull’andamento del PIL, della crescita e del welfare. I costi delle Province vanno dunque inquadrati nella spending review degli enti locali e di tutta la pubblica amministrazione. L’eliminazione degli emolumenti agli amministratori provinciali e delle Città Metropolitane non sarà certo l’elemento risolutivo.

 

Ugo Targetti

 

P.S.

Per onestà desidero dichiarare di aver votato “si” al referendum costituzionale per considerazioni politiche generali, pur non condividendo parti sostanziali della proposta di riforma a partire dall’eliminazione delle province.



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