9 aprile 2014

cinema – PULP FICTION: 20 ANNI DOPO


 

Edizione straordinaria! In occasione dei 20 anni dall’uscita del film di Quentin Tarantino, il circuito The Space ripropone la proiezione di Pulp Fiction: il 7 – 8 e 9 aprile!

 

PULP FICTION

di Quentin Tarantino [USA, 1994, 154′]

con: John Travolta, Samuel L. Jackson, Uma Thurman, Bruce Willis, Maria de Medeiros, Harvey Keitel, TimRoth, Amanda Plummer, Christopher Walken, Ving Rhames, Eric Stoltz, Rosanna Arquette

 

cinema14FBPulp, «massa di materia informe e molle». Con questa definizione si apre Pulp Fiction [USA, 1994, 154′] di Quentin Tarantino. Quasi un avvertimento allo spettatore: state per entrare in un’opera di basso livello, dallo stile popolare, simile a «un libro che tratta argomenti sinistri, normalmente stampato su carta di bassa qualità» (questa infatti la seconda definizione di Pulp). Dopo l'”ammonimento”, la storia comincia. Anzi, le storie. La sceneggiatura di Tarantino si diverte a rimbalzare tra tre storie differenti, ognuna con una propria autonomia, ma tra loro collegate. Tutto inizia e finisce in un classico diner americano: partiamo dalla rapina di Zuccherino (Tim Roth) e Coniglietta (AmandaPlummer), e ritorniamo – dopo più di due ore – in quello stesso luogo, poco prima dei titoli di coda.

Nel mezzo, il regista offre un’esperienza visuale senza tempo. Non c’è modo di contestualizzare Pulp Fiction in un periodo storico: siamo immersi in un’orgia di elementi e caratteristiche che spaziano dagli anni ’20 a un futuro incerto. Niente è vero. È fiction a tal punto da far saltare qualsiasi tipo di connessione. Anche la colonna sonora – per la maggiore diegetica (proviene “dall’interno” del film) – è un miscuglio di generi che spaziano dal rock al surf, dal funk al blues, scombinando ogni riferimento temporale.

L’esperienza Pulp Fiction, oltre a senza tempo, è senza senso. Se nel film precedente, Le iene [1990], le scelte registiche contribuivano ad aumentare la tensione della narrazione, questa volta non c’è alcuna preoccupazione. Tutto diventa un gioco al servizio del cattivo gusto e dell’oscenità. Tutto è pulp, appunto. Il non-sense è il protagonista del film. Il vuoto. La bravura di Tarantino (allora 29enne), sta nel rendere questa sensazione di “vuoto” bello, attraverso un “pieno” brutto. Il “bello” del vuoto è nella capacità di trasformare la banalità in spettacolo, riempiendo lo schermo con miriadi di segni e simboli. Segni e simboli ripresi dall’immaginario popolare, non importa di quale epoca. Un citazionismo estremo che vive di rimandi alla storia del cinema e alla cultura di massa; dai piccoli particolari, come le sigarette Red Apple fumate da Mia Wallace (Uma Thurman, bella, bella) già viste in Le iene, fino a completi movimenti della macchina da presa che danza ricalcando alcuni film del passato.

L’importante è che tutto sia pieno. E inutile. Sono pieni e inutili i dialoghi brillanti, per evitare quei «silenzi che mettono a disagio» di cui parla Mia a cena con Vincent Vega (John Travolta). Un cinema del dialogo ossessivo, banale, sterile ai fini della narrazione. Tarantino sembra rispondere all’esigenza di un horror vacui postmoderno, dove l’occhio non vuole solo la sua parte, ma esige un ruolo da protagonista. Il nostro godere è stimolato dal rapporto conflittuale tra fabula e intreccio; la cronologia frammentata – anch’essa riferimento al cinema di exploitation degli anni ’70 e ’80 – contribuisce a quel senso di bricolage narrativo in cui tutto è provvisorio e frammentato. Il divertimento di Tarantino (che è il nostro divertimento in sala) è simile a quello di un bambino nativo digitale.

Il film, come dicevo prima, pur iniziando e finendo nello stesso ristorante, è tutt’altro che circolare. La sua struttura è molto più simile a un ipertesto: un gioco di link che si cliccano rimandando a se stessi. Si citano e auto esaltano senza mai prendersi sul serio. Una superficialità a tratti comica (pensiamo alla sequenza in cui Vincent spara accidentalmente a Marvin); superficialità davvero vicina al modo di muoversi creato da Internet: surfare orizzontalmente senza per forza annoiarsi nella profondità. I “troppo intellettuali” sentiranno una puzza strana davanti a Pulp Fiction, non permetteranno ai loro fini cervelli di adeguarsi al kitsch del Jack Rabbit Slim’s: diner di cattivo gusto sommerso di feticci della cultura americana che, per un attimo, fanno pensare a una serigrafia di Andy Warhol. Storceranno il naso davanti a John Travolta che – 50 kg più tardi – balla rialzando La febbre del sabato sera [John Badham, 1977].Intanto noi, ancora una volta, ci facciamo avvolgere da questa «massa di materia informe e molle», gongoliamo nel gioco di Tarantino, saltiamo avanti e indietro, e l’unica preoccupazione morale che ci assilla è sapere il contenuto di quella valigetta attorno alla quale ruota la storia.

Paolo Schipani

questa rubrica è a cura degli Anonimi Milanesi

rubriche@arcipelagomilano.org



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