5 dicembre 2023

ERBA E TRENNO, MUSICA ALTROVE

Due piacevoli sorprese        


Copia di Copia di rification (8) Due concerti fuori dell’ordinario, in luoghi diversi dal solito – luoghi ignoti ai cultori della grande musica – e tuttavia capaci di offrire sorprese ed emozioni.

Cominciamo dal primo, del 19 novembre. Siamo a Erba per un curioso evento della rassegna “Aspettando il Museo”, organizzato in collaborazione fra Biblioteca Comunale e Museo Civico; un vero e proprio esperimento, riuscito perfettamente, che intreccia discipline usualmente distinte e separate fra loro ma che, unite, possono offrire prospettive insieme nuove ed antiche. Nuove per gli accostamenti, il luogo, la creatività degli artisti; antiche per gli autori e i testi che più classici di così non si può: Mozart, Beethoven e Shakespeare

L’evento/Concerto è intitolato “Viola, violino e violoncello incontrano William” e si svolge nella cinquecentesca e spettacolare villa Parravicini Sossnovsky – che successivi rimaneggiamenti non hanno rovinato ma arricchito e resa un classico gioiello brianzolo – accolti amabilmente dalla deliziosa padrona di casa ed ospitati in una bella sala con affreschi rinascimentali. Ed ecco il programma della serata: un trio d’archi e un attore che si alternano nell’eseguire momenti musicali di Mozart e di Beethoven e nel recitare brani di Shakespeare alla ricerca – tutt’altro che infruttuosa – di ritmi e di atmosfere armoniosamente accostati o contrapposti, un dialogo fra musica, teatro e letteratura cui non erano affatto estranei l’architettura e i putti e le ghirlande degli affreschi che dominavano la scena.

Trio ottimo: Stefan Coles, il violinista che ha fondato e che dirige tutt’ora la prestigiosa Accademia Internazionale di Musica di Erba, Luca Meschini, una delle poche viole attive nel panorama cameristico lombardo, e Issei Watanabe, ottimo violoncellista più milanese che giapponese, generoso ed appassionato componente di vari ensemble. Poi un attore sorprendente, il funambolico Marco Ballerini, onnipresente mimo che riusciva a mettere insieme reminiscenze del mitico Arlecchino – che sarebbe piaciuto molto a Strehler – con l’Ariel shakespeariano e il Pulcinella napoletano.

Detto così potrebbe sembrare un guazzabuglio incomprensibile, eppure…. eppure è stato uno spettacolo avvincente che ha fatto del ritmo e dell’invenzione un’avventura dello spirito. I testi shakespeariani magistralmente recitati da Ballerini erano tratti da Amleto, Romeo e Giulietta, Il Mercante di Venezia, Riccardo III° e Otello, preceduti e conclusi da due Sonetti (i numeri 8 e 18); i brani musicali erano un poco noto Preludio di Mozart e i movimenti del Trio opera 3 e della Serenata opera 8 di Beethoven.

Inutile dire della forte prevenzione nei confronti della frammentazione delle Serenate di Beethoven, i cui movimenti venivano inframmezzati dai testi recitati, ma misteriosamente, grazie proprio alle consonanze ritmiche e al rapporto dialogante fra testo e musica, la cosa è apparsa quasi naturale e non ha manifestato dislessie. Anzi, ha tenuto avvinti gli spettatori dall’inizio alla fine e si è concluso con considerevole successo.

***

Il secondo evento (perché ogni volta che un pianista si cimenta nelle “Variazioni Goldberg” di Bach si tratta proprio di “evento”!), che avevo annunciato in chiusura del precedente articolo, ci ha portato la gelida sera del 2 dicembre nella chiesa di san Giovanni Battista a Trenno.

Premetto che lo sconosciuto borgo di Trenno, annesso al Comune di Milano esattamente cent’anni fa, è raccolto intorno a quella chiesa millenaria (costruita all’inizio degli anni mille e più volte anch’essa rimaneggiata) che accoglie alcuni pregiati dipinti, antichi e moderni, e fra questi ultimi una mirabile “Visitazione di Maria ad Elisabetta” di Annamaria Trevisan del 2012; e che in questa chiesa Ambrogio Geroli, noto liutaio ed accordatore di pianoforti, organizza e tiene in piedi una stagione concertistica di rara qualità.

Ebbene, in questo luogo inusuale e poco frequentato dal classico parterre milanese – quello della Scala e del Quartetto, per intenderci – sabato scorso siamo rimasti letteralmente travolti dall’esecuzione delle Goldberg da parte di Monica Leone, magica pianista per la naturalezza e l’eleganza con cui ha percorso l’intero ciclo delle 30 Variazioni che, come tutti sanno, sono la vetta indiscussa delle difficoltà tecniche del pianoforte e soprattutto il capolavoro immenso della musica classica europea.

Le Goldberg sono state scritte per clavicembalo a due tastiere, e l’esecuzione moderna su una sola tastiera costringe l’interprete a funambolici (ed anche spettacolari) giochi di mani e di intrecci di dita, tanto che pochi pianisti l’hanno in repertorio (e normalmente manifestano tutta la fatica e le difficoltà dell’impresa) mentre la Leone sembrava scivolare sulla tastiera come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Monica Leone le suona da più di vent’anni in tutti e cinque i continenti, e a Milano le avevamo ascoltate sia all’Università Bocconi, sia, in occasione di Piano City, una volta al Museo del Novecento e un’altra al Base dove le eseguì alle 4 del mattino, prima dell’alba come vuole la leggenda, o la storia, della loro originaria destinazione! Nel risentirle ora, ci si è resi ancora più conto di come il fascino di queste esecuzioni non risieda solo nella raffinata tecnica della pianista, ma piuttosto nella profonda analisi di ciascuna Variazione di cui l’interprete riesce a cogliere l’identità e a proporre come soggetti tutti diversi – ricordate i quadri di un’esposizione di musorgskijana memoria? – ma tutti nascenti dal tema misterioso, nascosto nella sequenza dei bassi dell’Aria con cui l’opera inizia e finisce.

E che meraviglia quella ripetizione dell’Aria, alla fine, che sembra totalmente diversa dalla sua esposizione iniziale, quasi un ritorno all’innocenza infantile, o nostalgia del tema, forse un ricordo che affiora appena…. Insomma, una grande emozione e un vero miracolo.

Paolo Viola



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