8 marzo 2022

“COSTRUIRE” UN CONCERTO

Un risultato d’eccezione


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Un concerto del Quartetto di Cremona è sempre un evento, un appuntamento da non perdere. Quando poi si svolge nella sala Verdi del Conservatorio per la stagione della Società del Quartetto, dove è di casa – di più, da dove ha preso il volo – diventa la dimostrazione che la vita culturale della città stia riprendendo un ritmo pressoché normale. Se in più il concerto inizia con la prima esecuzione di un’opera scritta apposta per loro, allora l’evento diventa proprio straordinario!  

Tutto ciò è successo martedì scorso (era il 22.02.2022!) con un programma strepitoso: il Quartetto n. 6 “Lettera a Johann Sebastian Bach” di Fabio Vacchi, come abbiamo detto in prima esecuzione, il Quartetto per archi in fa maggiore di Maurice Ravel e il Quartetto n. 12 in fa maggiore opera 96, detto “l’Americano”, di Antonin Dvořák.

Perché strepitoso? Avete presente i programmi che inanellano accozzaglie di opere senza alcuna relazione tra loro, in cui non si capiscono gli accostamenti, quei programmi-omnibus in cui c’è un po’ di tutto, magari in ordine cronologico ma senza un filo conduttore, neppure nascosto? Programmi che costringono l’ascoltatore a saltare di palo in frasca e a fare salti mortali per riuscire ad immergersi nell’atmosfera di ciascun pezzo? Il concerto del Quartetto di Cremona è stato esattamente l’opposto, era un intreccio di relazioni più o meno manifeste ma tali da dare una significativa compattezza all’intero programma. E alla fine, con la preziosa aggiunta di un bis che si è rivelato la chiave di volta del tutto, se ne è colta la grande bellezza.  

Cominciamo da Vacchi. Il suo sesto Quartetto, scritto durante il lockdown del 2020, si presenta è come una suite di variazioni e di suggestioni, libere da ogni schema, intorno all’incipit dell’Arte della Fuga di Bach, o meglio intorno alle prime cinque note del “soggetto” della prima Fuga che porta il nome di “Contrapunctus n.1”. Sul tema completo di quel “soggetto” Bach ha costruito l’intera opera – composta da fughe e canoni a più voci e peraltro rimasta incompiuta – che con l’Offerta Musicale rappresenta la vetta più alta mai raggiunta nell’arte del contrappunto. 

Il modo in cui Vacchi tratta quel materiale è stupefacente. Su quelle cinque note costruisce un intreccio di tensioni emotive che vanno dalla riverenza e dalla devozione nei confronti di Bach (il quartetto si chiama “Lettera a J.S.B.”) all’esaltazione e alla sublimazione della struttura contrappuntistica, arrivando ad evocare l’atmosfera dell’organo in chiesa (sembra di essere in visita alla Thomas Kirche di Lipsia, sulla commovente tomba del Kantor) elaborata e trasfigurata sugli strumenti ad arco che la enfatizzano con il lirismo che è loro proprio. Ne deriva una forma di incantamento che sospende l’ascoltatore fra terra e cielo, fra sacro e profano, fra barocco e contemporaneo, con l’ostinato ritorno di quelle cinque note che compattano il tutto e costantemente riportano all’unità dell’opera. 

Poi comincia il gioco delle date, con il Quartetto di Ravel che è stato scritto nel 1903 e cioè dieci anni dopo quello di Debussy al quale Ravel si era profondamente ispirato. Debussy e Ravel scrissero entrambi un unico Quartetto per archi ed entrambi in giovane età – Ravel aveva ventott’anni, Debussy trentuno – e tuttavia sono due capolavori e due pilastri fondamentali delle loro rispettive produzioni musicali. Curioso anche osservare che il movimento finale del lavoro di Ravel ha come tema principale una minuscola cellula di cinque note (il movimento è articolato su un ritmo di cinque ottavi) tante quanto quelle scelte da Vacchi per il suo Quartetto!

Il Quartetto “Americano” di Antonin Dvořák, a chiusura del programma, è apparso quasi come un coup-de-theatre, sia perché l’opera è coetanea proprio del Quartetto di Debussy (sono entrambi del 1893 ma Dvořák, a differenza dei due francesi, aveva già cinquantadue anni ed era al suo dodicesimo Quartetto!) sia perché è scritto in fa maggiore e cioè nella stessa tonalità del Quartetto di Ravel, e il fa maggiore è una tonalità molto prossima al re minore del tema bachiano nel quale si è mosso Vacchi, cosicché l’intero concerto è risultato avviluppato da un unico “ambiente” tonale. Altra curiosa relazione, il Quartetto di Dvořák adotta una inusuale scala pentatonica, per cui lascia percepire una sorta di sintonia con quelle cellule di cinque note che strutturano le altre due composizioni.

Ed eccoci alla fantastica conclusione che ha colto tutti di sorpresa, quando i quattro quartettisti che festeggiavano i vent’anni della loro fondazione (Cristiano Gualco e Paolo Andreoli violini, Simone Gramaglia viola, e Giovanni Scaglione violoncello) hanno eseguito per bis l’intero originale “Contrapunctus n. 1” dell’Arte della Fuga. Ovviamente il ritorno al Bach del Quartetto di Vacchi ha contribuito non solo e non poco a spiegare l’opera del nostro compositore, e a penetrarne l’ispirazione e l’ossatura, ma ha anche reso più naturale il sempre difficile approccio al contemporaneo, ponendolo nella giusta prospettiva dell’evoluzione, della continuità e della necessità nei confronti del passato.

Inutile dire che l’esecuzione è stata perfetta, tenuta su volumi bassi come si vuole per la musica da camera anche quando si è in una sala grande come la Verdi. Ha aiutato il religioso silenzio del pubblico rapito dalla bellezza del suono di quei quattro magnifici strumenti. Non tutti avranno potuto apprezzare la specificità delle relazioni fra le tre opere – il gioco dei numeri, delle date, delle tonalità – ma sicuramente queste “affinità” hanno influito sulla qualità e l’intensità dell’ascolto tanto che il concerto si è concluso con grande eccitazione del pubblico e con un mare di applausi, dimostrando che un programma ben concepito non ha solo il pregio di restituire il piacere dell’ascolto, ma aiuta anche ad apprezzare l’intimo significato e la profonda ragion d’essere della musica.  

Paolo Viola

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  1. Vittoria MoloneBravissimo, nessuno spiega mai ai profani come possa essere costituito il programma di un concerto ben costruito evidenziando le caratteristiche dei singoli brani sia dal punto musicale che temporale. Davvero straordinario.
    9 marzo 2022 • 09:29Rispondi
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