5 aprile 2022

CRISI ENERGETICA E TRANSIZIONE ECOLOGICA

Ricomporre nuovi equilibri tra economia e benessere


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Nel mezzo di quella che è stata definita una tempesta perfetta, tra frenata della ripresa economica (già dal settembre scorso) e il conflitto in Ucraina ora, siamo in emergenza a cercare soluzioni che ci consentano di diversificare il mix energetico che ci è necessario e ridurne i costi. Tra nuovi fornitori di gas, ritorno al carbone, sostegni a imprese e famiglie, appositi stanziamenti e leve fiscali, Europa e Italia sono a cercare nuove strategie, anche diverse da quelle condivise appena pochi mesi fa con il Next generation EU. Sembra insomma profilarsi uno stop – se non una repentina retromarcia – rispetto agli obiettivi di transizione ecologica appena avviati.

Ma è proprio necessario? O, al contrario, è possibile dare finalmente maggiore peso anche a quegli obiettivi che, pur chiaramente indicati nel PNRR, sono rimasti sulla carta? e così recuperare quella transizione ecologica (proattiva su ambiente e paesaggio) troppo velocemente trasformatasi in transizione tecnologica (impianti da “mettere a terra” con velocità e non eccessivo danno -DNSH). 

Tutti concordano nel riprendere in mano una strategia di politica energetica – carente da decenni – che attivi riforme e interventi radicali. Pochi ravvisano l’opportunità/necessità di farlo allargando il campo di interesse anche ai temi dell’ecologia, del paesaggio, della sostenibilità ambientale, oltre a quelli consolidati della tecnologia, economia, geopolitica… Non si tratta certamente di sostituire gli uni agli altri ma di costruire quella sinergia utile e sostenibile, anche riprendendo in mano il nostro sapere, le nostre tradizioni locali, il genius loci. 

E quindi richiamando il presidente Draghi “il Green deal europeo cosa è oggi: diversificazione dei fornitori e delle fonti con la rapidità di realizzazione delle infrastrutture e la capacità di guardare alle innovazioni nel campo dell’energia” sembra certamente fattibile allargare i tavoli delle valutazioni fondate sulla geopolitica global anche a quelli della geopolitica local, sostenendo in parallelo e parimenti le opportunità/necessita di diversificazione concorrente, anche oltre i big players.  

Già in atto e ulteriormente promuovibili sono i casi di medio-piccole imprese locali, attive sulla produzione energetica da rinnovabili e che ora – in piena crisi energetica – bucano i media con “automobilisti in coda per il gas metano a basso costo”. Come è il caso di Bosco Gerolo in Valtrebbia dove un agriturismo – con produzione e vendita di prodotti locali –  a farine, formaggi e salumi ha da pochi giorni aggiunto anche il bio metano (a meno della metà del prezzo di mercato) aprendo il 30° distributore km 0 in Italia. 

L’Italia ha già in ambito agricolo circa 2.000 impianti di produzione di biogas con una capacità di produzione di biometano stimata al 2030 pari a 8 miliardi di metri cubi/anno. Numeri importanti che pesano ancor più se valutati per i benefici ambientali e risparmi che comportano in termini di costi/tempi/modalità di gestione sostenibile delle risorse ambientali, anche risolvendo costosi smaltimenti rifiuti, sversamenti, inquinamenti correlati. Oltre che dagli scarti di origine vegetale infatti (alberi, piante, residui agricoli), l’energia da biomassa può essere prodotta anche da residui industriali, reflui zootecnici, rifiuti urbani ma anche da microalghe alimentate da acque reflue urbane, alghe marine trattate insieme a biorifiuti, e può generare anche energia elettrica, come in alcuni impianti di più recente tecnologia. Anche valutazioni LCA (Life Cycle Assessment) confermano ulteriori benefici ambientali, per esempio derivanti dall’utilizzo a fine ciclo dei residui organici del biodigestore come biofertilizzante. 

Fonte: UNdata.org

Fonte: UNdata.org

Processi e impianti di tale tipo soddisfano obiettivi di economia circolare, sostenibilità, resilienza e pienamente il cosiddetto «ciclo del carbonio»: il quantitativo di carbonio emesso derivante dal loro impiego risulta identico a quello assorbito dai vegetali per originare la stessa quantità di biomassa. Sono quindi iniziative da sostenere e disseminare sul territorio nazionale, così incentivando modelli innovativi dalle enormi potenzialità anche in termini di “comunità energetiche” diffuse e autosufficienti, in grado di incorporare i disturbi esterni (crisi globali) e incrementare la resilienza dei sistemi locali, ambientali e antropici. 

E porsi inoltre volano di nuove economie locali fortemente integrate alla valorizzazione e cura del paesaggio locale, oltre che – alla scala vasta – utili ad abbattere i costi/impatti di filiere produttive che, stando per esempio al solo trasporto (da sito di produzione-trasformazione-stoccaggio-distribuzione) generano rilevanti inquinamenti/impatti sia ambientali che socio-economici. Per non dire poi degli smaltimenti di rifiuti oltreconfine (milioni di tonnellate/anno) che non solo paghiamo a caro prezzo ma ci privano di risorse economicamente preziose (che infatti gli acquirenti esteri riutilizzano).   

Superando quindi le fallaci dicotomie tra sviluppo antropico e tutela ambientale, e innovando paradigmi culturali e prassi operative, si tratta di ricomporre nuovi equilibri in grado di contemperare economia e One Health (benessere uomo-ambiente), potenziando servizi ecosistemici e genius loci. E quindi, richiamando i concetti B2C (business to consumer) e C2C (cradle to cradle: dalla culla alla culla), superare progettualità/processi finalizzati al solo obiettivo primo, per abbracciare con intelligenza e lungimiranza (Next generation EU) quelli che sviluppano il “polifunzionale sostenibile” e la partecipazione attiva delle realtà locali.    

Flora Vallone, Architetto e paesaggista

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