19 aprile 2022

CAPIRE LE RECENTI POLITICHE URBANISTICHE MILANESI

Una falsa rappresentazione dello sviluppo cittadino


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Per l’interpretazione delle recenti politiche urbanistiche milanesi, considerate per lo più dai media di grande successo, può essere utile fare riferimento ad alcuni concetti, largamente noti, da porre in relazione fra loro per definire e comprendere le caratteristiche attuali di sviluppo della città: globalizzazione; gentrificazione; finanziarizzazione delle economie; fiscalità e uso delle risorse pubbliche.

  1. Una nuova geografia

Nella visione moderna classica, la città è rappresentazione fisica e materiale della società: alcune zone (solitamente quelle centrali) sono riservate alla classe agiata, ai dirigenti e alle funzioni di rappresentanza; nelle periferie si concentrano le attività produttive e le classi popolari.

Questo non è più così da tempo: la divisione del lavoro è internazionale e mobile, dalle caratteristiche spaziali imprecise, vaste e mutevoli (non ha più neanche tanto senso parlare di città metropolitana, per dire): le periferie sono ovunque e soprattutto sono invisibili, non fanno più parte della vita quotidiana delle classi agiate e dirigenti, che ne hanno perso coscienza.

In un certo senso, tutta la città di Milano è diventata “zona centrale”, sede di rappresentanza e di insediamento della classe agiata/dirigente; le politiche di riqualificazione urbana tendono quindi ad ampliare le “zone centrali” (intese in senso lato) e a dimenticare quelle “periferiche” esterne e invisibili (nazionali e internazionali); trasformando quindi le periferie storiche urbane in zone centrali (la cosiddetta gentrificazione) e abbandonando sempre di più al loro destino le aree esterne e indesiderate.

  1. Finanza e settore immobiliare

Il settore immobiliare ha dimostrato grandi capacità di richiamare risorse finanziarie in cerca di remuneratività nel breve e nel lungo periodo. L’acquisto, valorizzazione e rivendita di beni immobiliari spesso sottovalutati (il cosiddetto trading) e i canoni di affitto degli immobili hanno tassi di remuneratività del capitale investito normalmente superiori a quelli di altre attività economiche (con conseguente espulsione delle attività che non riescono a garantire quei canoni e quei prezzi). Questo alla fine è il criterio fondamentale di allocazione delle risorse finanziarie: non interessa un progetto di sviluppo o un’immagine del futuro, ma semplicemente la remuneratività attesa con un buon grado di certezza.

  1. L’uso distorto della regolamentazione pubblica

Per gli operatori più sprovveduti il modo più semplice però per creare plusvalenze nella compravendita di beni immobiliari è sperare in una modifica delle relative regole pubbliche che ne influiscono il valore. Queste regole per semplicità possono essere suddivise in due grandi categorie: valori positivi (indici di edificabilità, destinazioni d’uso), che cioè incrementano il valore di un bene; e valori negativi (oneri di urbanizzazione, dotazioni di servizi, quote di edilizia sociale ecc) che invece lo riducono. Ricordando che la remuneratività è sempre data dal differenziale fra il prezzo di acquisto e quello di vendita, una modifica favorevole delle regole (più indici e meno oneri, per dire) genera di per sé valore.

A questo proposito occorre ricordare:

  • La costante crescita degli indici edificatori milanesi negli ultimi venticinque anni (dato in parte mascherato dall’esclusione di parte dell’edificabilità dal calcolo degli indici)
  • La parallela diminuzione di dotazioni di servizi e di quote di edilizia sociale
  • La facilitazione dei cambi di destinazione d’uso a favore delle funzioni più redditizie
  • Il mancato aggiornamento di oneri di urbanizzazione, monetizzazione e valori dei terreni edificabili ai fini IMU

Che si sommano alle facilitazioni normative statali alla riduzione della tassazione delle plusvalenze immobiliari.

Si può ritenere insomma che parte della remunerazione delle attività immobiliari venga generata dalla regolamentazione pubblica, che ha scelto di ridurne la tassazione trasferendo di fatto risorse dall’attuazione di servizi alla rendita fondiaria (la mancata tassazione si traduce istantaneamente in un incremento del prezzo dei terreni, non in un aumento di fattibilità degli interventi come a volte viene sostenuto), in una sorta di “doping” amministrativo del settore.

  1. Nuove risorse pubbliche aggiuntive?

Il falso presupposto delle politiche di detassazione del punto precedente è che le infrastrutture pubbliche esistenti (strade, mezzi pubblici, scuole, case popolari ecc.) siano più che sufficienti alle attività esistenti e anzi sottoutilizzate; che serva quindi una maggiore densificazione urbana per utilizzare l’ipotetica e indimostrata capacità residua del capitale sociale. Purtroppo non è così, e la riqualificazione delle zone periferiche urbane richiede investimenti pubblici che non sono però più garantiti dalla tassazione locale. Per questo si ricorre a risorse straordinarie statali (quali quelle legate a suo tempo all’evento Expo e oggi al PNRR), con il cattivo esito di rendere la città sempre più dipendente da scelte dei decisori esterni, affidandosi al debito anziché ad un equilibrio economico complessivo degli interventi; ma anche con il rischio di accentuare la polarizzazione fra aree “centrali” beneficiarie di risorse aggiuntive e aree “sfortunate”. 

  1. Cosa si può fare

La città è di tutti, e la sua forza e vivacità risiedono proprio nella mixité sociale ed economica, nella varietà di attività e nella sua capacità inclusiva. Un centro urbano dedicato ad accogliere unicamente attività ad alta e sicura remuneratività alla lunga è destinato al declino e alla perdita di innovazione.

Appare quindi rilevante innanzitutto correggere la falsa rappresentazione del recente sviluppo cittadino: serve chiarire insomma che tutta una serie di problemi della città pubblica (case popolari, verde, servizi, mobilità…) persistono. Mantenere, riqualificare, costruire i servizi e gli spazi pubblici è la premessa per il mantenimento della vivacità della città intera.

Di conseguenza occorre che la fiscalità immobiliare locale (intesa in senso lato) venga mantenuta e aggiornata a questo fine. 

Infine, lo sviluppo della città centrale (fenomeno per sé positivo, che non va demonizzato od ostacolato) va messo in connessione con i fenomeni di abbandono e degrado alla scala più vasta, anche da un punto di vista ambientale-sistemico, destinando più equamente le risorse aggiuntive pubbliche al recupero di tali problemi.

Carneade 

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  1. Annalisa FerrarioInteressante. Aggiungo due considerazioni. La prima: offrire tramite la detassazione buoni tassi di remunerazione agli investimenti immobiliari finisce per distrarre risorse da altri investimenti magari più a rischio, ma alla lunga più promettenti. Giova ricordare su questo la lezione del Cattaneo, che nelle "Interdizioni israelitiche" mostrava appunto come nel tempo l'investimento in beni immobiliari e fondiari (giudicati più solidi) alla fine avesse impoverito le classi aristocratiche, mentre gli ebrei (a cui quegli investimenti erano proibiti, e quindi costretti ad investire in commercio e industria) alla lunga si erano arricchiti (non tutti, per carità!). La seconda: la mixité sociale urbana non corrisponde solo ad esigenze di equità, ma è quella che alla lunga permette imprevedibilità e quindi innovazione nello sviluppo. Lo nota Acemoglu nelle cause di decadenza della Repubblica di Venezia: quando l'oligarchia si chiude, impedendo l'accesso al commercio alla classi subordinate, certo di assicura ricchezza nel breve e medio termine, ma pone anche le premesse per la successiva decadenza nel lungo periodo: cosa che avevano capito benissimo gli inglesi nell'Ottocento, che vedevano Venezia un po' come una loro antesignana, e cercavano di capirne gli errori per evitarli (da questo ad esempio le aperture alla classi inferiori di un premier conservatore come Disraeli; su Venezia vedi anche le contemporanee considerazioni di Ruskin). Insomma una città che ospitasse solo le funzioni commerciali e residenziali giudicate più remunerative, alla lunga sarebbe una città morta: la città vive di incontri e di innovazione, e questo succede solo se riesce ad avere spazio per ospitare tutti.
    20 aprile 2022 • 07:49Rispondi
  2. Bianca botteroSia l'articolo che il commento sono molto interessanti. Dovrebbero essere massi a base di una seria discussione su quale possa essere il futuro della nostra città, quello che ce la potrebbe ancora fare amare!
    22 aprile 2022 • 15:43Rispondi
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