8 marzo 2022

PER NON DIMENTICARE

Ricordi infantili di guerra


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Lei ricorda bene che cosa vuol dire vivere sotto le bombe. Che cosa significa camminare lungo strade piene di macerie, vedere case incendiate, sempre accompagnati dal rumore costante di schianti, sibili e fischi che precedono le esplosioni. E soprattutto quelle luci inquietanti. Eccome se ricorda, anche se sono passati tanti anni e all’epoca dei fatti era solo una bambina. “Ancora oggi, quando passano in tv scene di bombardamenti come quelli di questi giorni in Ucraina, mi tornano alla mente ricordi dolorosi. Anche se devo dare atto ai miei genitori di essere riusciti a non trasmettere ansie o paure particolari a me e a mio fratello più piccolo di tre anni. Parlavano di ciò che stava accadendo come di qualcosa di brutto che non dipendeva da noi. Quindi non potevamo farci nulla”.

Anna Cristina Savoia, nata a Milano nel giugno del 1936 (secondo i dati sulla popolazione residente è una dei circa 50 mila milanesi di età compresa tra gli 86 e i 100 anni che ancora conservano e possono trasmettere alle generazioni più giovani la memoria di quegli orrori che consideriamo ormai lontani, ma non lo sono), al momento dell’entrata in guerra dell’Italia nel giugno 1940 abitava con la famiglia al quinto piano di un palazzo signorile di via Marcora, a un passo dalla sede della “X Mas” e a due da piazza della Repubblica, che all’epoca si chiamava piazza Fiume. A poco più di un chilometro c’era la Stazione Centrale inaugurata nel 1931.

“Ricordo molto bene il primo bombardamento sulla città, nell’autunno del ’42. Quel pomeriggio, mi pare in ottobre, i miei mi avevano portato alla Scala dove era in programma uno spettacolo per bambini. Eravamo lì da un’ora circa quando cominciarono a scattare gli allarmi. Si sentiva il rumore delle sirene. Uscimmo velocemente dal teatro dirigendoci verso casa e io ricordo ancora la mano di mio padre, ferma e calda, mentre quella di mia madre era fredda e tremante. La mamma era molto preoccupata per mio fratello Dino che era rimasto a casa con la tata. I mezzi di trasporto non circolavano, quindi ci avviammo a passo svelto e arrivati nella piccola piazza poco distante da dove oggi si trova il consolato degli Stati Uniti, mi colpirono le fiamme altissime di palazzo Donegani, che in seguito avrebbe dato il nome a quell’area. Arrivati in via Marcora, salimmo a casa senza usare l’ascensore: mio fratello e la tata stavano bene, ma qualcosa doveva aver colpito le finestre del salone perché si vedeva un buco che venne momentaneamente coperto con alcuni cartoni”.

I ricordi di Anna Cristina si riferiscono a quello che in effetti fu l’unico attacco diurno eseguito in Italia dalle forze inglesi: gli altri erano sempre stati organizzati durante le ore notturne. Era sabato 24 ottobre 1942 e dai documenti dell’epoca sappiamo che l’allarme cominciò a suonare alle 17.57, cogliendo i milanesi alla sprovvista sia perché erano trascorsi quasi due anni dall’ultimo bombardamento, sia per il brevissimo intervallo tra l’urlo delle sirene e la caduta delle bombe, lanciate da una novantina di aerei Avro 683 Lancaster. Dai registri del Bomber Command inglese risulta che furono sganciate sul capoluogo lombardo dodici bombe da 4.000 libbre (le chiamavano cookies, cioè biscotti), cinquantasei da 1.000 libbre, 2.276 bombe incendiarie da 30 libbre e 28.500 bombe incendiarie da quattro libbre, oltre a migliaia di volantini propagandistici, alcuni dei quali scritti in francese. Il bilancio di quel primo attacco diurno fu pesantissimo: 135 morti, 331 feriti 15 dei quali non sopravvissero, 52 edifici residenziali e 9 edifici commerciali o pubblici danneggiati. Tra gli obiettivi colpiti vi fu anche il carcere di San Vittore, da cui evasero 118 detenuti approfittando della situazione di emergenza venutasi a creare. Nella notte tra sabato e domenica ci fu un altro attacco sulla città, questa volta notturno. Gli obiettivi erano le stazioni, i comandi militari e soprattutto le fabbriche: Alfa Romeo, Edoardo Bianchi, Borletti, Magneti Marelli, Caproni, Pirelli, Breda, Ansaldo, Isotta Fraschini e Falck. 

I rifugi si riempivano a ogni suono di sirena e chi poteva abbandonava la città: “Mia madre non amava portarci nei rifugi perché sosteneva che fossero frequentati da gente isterica che avrebbe soltanto trasmesso angoscia a noi bambini. Ci andavamo solo per le insistenze di mio padre. La nostra casa aveva un rifugio di sicurezza, non di alta sicurezza. La gente arrivava mezzo addormentata e mezzo svestita. Dopo qualche tempo, ci trasferimmo a San Michele di Pagana, nella casa in cui andavamo al mare in estate, e io finii la prima elementare nella scuola di Santa Margherita che raggiungevo ogni giorno in autobus: all’arrivo venivo presa in consegna da una suora, che a fine mattinata mi riaccompagnava alla fermata. Dopo un po’ mi dissero che non sarebbe stato più possibile andare a Santa Margherita in autobus, così mia madre assunse una maestra privata per farmi lezione”.

Poiché a Milano la situazione non migliorava, anzi, l’anno successivo Anna Cristina fu mandata fuori città a fare la seconda elementare: “Sì, andai a Vaprio d’Adda, dove era sfollata mia nonna materna. I miei venivano a prendermi in macchina ogni settimana. Poi mi riportavano dalla nonna la domenica sera. Per la terza invece rientrai a Milano e mi mandarono alle elementari di via della Spiga perché la scuola di viale Monte Santo era stata bombardata”.

Le maestre cercavano di non parlare della guerra e della situazione che Milano stava vivendo: “Neppure tra noi bambini ne parlavamo. Era un argomento che non toccavamo. Ricordo di aver avuto un solo incubo in quegli anni. A forza di sentir parlare di morti, mi sognai uno scheletro. Piangendo, chiamai i miei genitori, che mi tranquillizzarono”.

Durante la seconda Guerra Mondiale, i bombardamenti su Milano furono i più gravi subiti da una città dell’Italia settentrionale da parte delle forze alleate. Nel complesso le incursioni effettuate da inglesi e americani furono centinaia e causarono circa duemila morti e il danneggiamento quando non la distruzione di almeno il 50 per cento degli edifici. Era la Milano del pane razionato, della tessera annonaria, dei buoni del tesoro che perdevano valore giorno dopo giorno, dove spesso l’unico modo di procurarsi di che vivere era il baratto. La Milano delle decine di migliaia di persone rimaste senza una casa, dell’aereo solitario Pippo, messaggero di sventure, rimasto inchiodato come una leggenda nera nei racconti di chi visse quei momenti. 

Era quella stessa Milano in cui la mattina del 20 ottobre 1944 un bombardamento delle forze alleate concentrato sull’intera zona di Gorla a nord della città colpì anche l’edificio che ospitava la scuola elementare “Francesco Crispi” causando la morte di 184 bambini. Oggi in quel punto si passa quasi senza neppure prestare attenzione a chi è stato dedicato. Si chiama piazza dei Piccoli Martiri e i vecchi milanesi lo considerano ancora quasi sacro.

Ugo Savoia

ps: Anna Cristina è mia cugina, figlia del fratello maggiore di mio padre.

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  1. AnnaIo ho pochi meno anni di lei, ma ricordo benissimo le sirene prima di un bombardamento di giorno (quale?), ero in bicicletta con la mamma in piazza Giulio Cesare, vicino a casa, siamo tornate di corsa, la vita di tutti la famiglia non e' stata più la stessa....
    9 marzo 2022 • 11:31Rispondi
    • ugo savoiagentile Anna, sto raccogliendo materiale per un libro di memorie milanesi del periodo bellico e post-bellico. se mi dà la sua mail posso mettermi in contatto con lei. grazie
      9 marzo 2022 • 20:09
  2. AnnaCon vero piacere, ho provato a scriverle anche su facebook, comunque Arcipelago Milano conserva sicuramente la mia mail..
    10 marzo 2022 • 17:26Rispondi
  3. Paolo ViolaCaro Savoia, (uso il tu come al collega che scrive su questo stesso meraviglioso giornale) credo di averti conosciuto anni fa, se - come me - hai simpatizzato per il partito repubblicano. Sono del 1936 anch'io, come tua cugina e ho tanti ricordi della guerra essendo quasi sempre rimasto in città, sotto i bombardamenti. Raccolgo il tuo invito e ti confermo che mi farebbe molto piacere incontrare te e se possibile la tua cugina mia coetanea. Si può fare? La mia mail è paolo.viola@arteva.it
    12 marzo 2022 • 11:31Rispondi
  4. VerinaSono stata anch’io una bambina milanese nei primi anni di guerra, poi sfollata a Grumello, e poi traslocata a Torino nel 1944. Sono nata nel 1939 ma ho ricordi vividi anche se frammentari, dei giornali radio, di una corsa con mia mamma da via San Gregorio (“corri Verina, corri”) a casa in via Settembrini perchè era suonato l’allarme e lei aveva lasciato la minestra sul gas (!!!). E tante altre cose. E l’angoscia in rifugio che mi veniva dai grandi che si facevano prendere dal panico. Ora da anni vivo a Londra, e mio marito - gallese - mi ha raccontato i suoi ricordi paralleli di quando era anche lui un war child (nato nel ‘34).
    18 marzo 2022 • 17:03Rispondi
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