8 marzo 2022

PRIMA LA TESTA, POI LA PANCIA

Come Covid e guerra colpiscono duramente gusto, economia e alimentazione


ceriani (1)

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Mentre le neuroscienze sono alle prese con la perdita del percepito alimentare nella parte della popolazione mondiale colpita da Covid19, l’Europa, e in particolar modo l’Italia, vengono attaccate se pur in modo indiretto anche dalla guerra in Ucraina. Non si tratta di proiettili e bombe, ma il conflitto in corso può portare al disastro delle economie, e in modo particolare di quelle legate al settore agroalimentare.

Se durante il generalizzato lockdown causato dal Covid19 scarseggiavano farine e lieviti (nella reclusione forzata il popolo italiano, se non proprio in ‘Master Chef’, si era trasformato in cuoco domestico), l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia rischia seriamente di privare le dispense italiane anche di pane e pasta. Il 14% della produzione mondiale di grano proviene infatti da questi due soli Paesi. A livello europeo i danni potrebbero risultare ancor più grandi poiché L’UE dipende strettamente dalla sola Ucraina per altri prodotti di diffuso impiego nell’industria alimentare come olio di girasole (88%), colza (41%) e miele (26%). 

Se di questi prodotti all’Italia poco potrebbe importare, il grano si rivela invece di strategica importanza per i prodotti ‘tradizionalmente’ costituenti la dieta mediterranea: una falsa tipicità (almeno nell’origine delle materie prime) oggi smascherata dalla dichiarata necessità di importazione. La guerra, oltre all’orrore delle vittime, ci mette di fronte anche a quello, certamente meno grave nei valori umani, di un Made in Italy “marchettaro” che più che di buon marketing a tutela di un cibo della tradizione anche nelle materie prime consiste nello sventolare in modo beffardo la bandierina tricolore su molte, certamente troppe confezioni di cibo ‘tradizionalmente’ di importazione. 

Oltre all’aumento di materie prime di fondamentale importanza come gas (+30%) e petrolio, la guerra in Ucraina ha spinto verso l’alto anche i prezzi di grano (+ 5,7%), mais e soia.  Considerando che quest’ultima non solo rappresenta la fonte primaria della mangimistica, ma anche di alcuni combustibili agricoli (biodiesel, per la verità sempre più sostituito dall’olio di palma recentemente allontanato dal food), l’attesa nel breve termine è di una disponibilità ridotta sui mercati internazionali di queste materie prime con una ricaduta sull’inflazione anche dei beni di consumo alimentare.

Come informa Coldiretti, l’Italia importa il 64% del proprio fabbisogno di grano per la lavorazione e produzione di pasta e pane, oltre ai biscotti che rappresentano ormai un unicum nel modo di far colazione europeo, e il 53% del mais necessario nella mangimistica.

Importante però è sapere, come riportato dalla banca di investimento UBS  (‘How hard will agricultural commodities hit developed economy consumers?’, 3 March 2022), che nonostante i forti aumenti dei prezzi delle materie prime agricole e il loro possibile stop nell’importazione in questi tempi di guerra, nelle attuali economie occidentali i prezzi delle ‘commodities’ agricole rappresentino solamente una piccola parte dei prezzi dei prodotti alimentari al consumo (negli Stati Uniti incidono solamente del 20%). Il costo maggiore è infatti dovuto al costo del lavoro e al trasporto. 

L’effetto della guerra potrebbe quindi essere utilizzato da ‘Big Food’ per aumentare i profitti similmente a quelli realizzati da ‘Big Pharma’ durante il periodo della pandemia non ancora terminato. 

Gli effetti di questi rincari agiranno con ogni probabilità sul portafoglio delle famiglie in modo da rendere più efficiente il loro modo di nutrirsi. Questo avverrà incrementando ancor più i pasti tra le mura domestiche piuttosto che nella ristorazione, già duramente colpita dalla pandemia. 

Se la buona notizia è che i consumatori tenderanno a ridurre eccessi e sprechi alimentari, la cattiva è che l’indistinto aumento dei prezzi dei generi alimentari porterà a un repentino cambiamento dei modelli di consumo nell’economia europea. Più soldi spesi per il cibo equivalgono, all’interno di budget famigliare limitato, ad una minor spesa destinata agli altri beni e servizi. 

È certamente possibile che questo rallentamento dell’economia legato alla flessione della domanda di beni si riveli modesto, ma in ogni caso eserciterà un effetto sommatorio in un momento in cui l’offerta globale di beni e servizi è a livelli record. E questa non è propriamente una gran bella notizia.

Una situazione potenzialmente catastrofica che purtroppo non può essere risolta neppure pensando ad incrementi di produzioni agricole autoctone, dal momento che la Russia risulta essere anche il più grande esportatore di fertilizzanti. I fertilizzanti sono la materia prima indispensabile per le agricolture (oggi la maggioranza) che hanno ignorato l’indirizzo biologico dei campi.

Se il cibo riveste enorme importanza per il nutrimento dell’uomo, oggi non possiamo ignorare che ha anche una grande impronta ecologica.  Nei prossimi anni dovremmo essere in grado di aumentarne la produzione (almeno del 20%) per essere in grado di nutrire una popolazione che presto arriverà a 10 miliardi di persone. Purtroppo, però, quel che prevedono gli analisti è un decremento di beni legati all’agrofood a causa dei cambiamenti climatici e della non sostenibilità del modello di vita occidentale. 

Come risposta all’inquinamento globale, i decisori politici hanno posto al bando la plastica dei sacchetti non ecologici, oltre alle cannucce che coloravano i drink degli aperitivi e i ‘cotton fioc’. Resta da bandire la globalità della plastica che confeziona i cibi industrializzati non più sostenibili, come le bottiglie d’acqua, e non sostenibili anche a livello nutrizionale (merendine e ‘junk food’ in generale).

Il combinato Covid19 e guerra rappresenta nell’attualità un grande flagello per l’umanità, ma l’estinzione dell’uomo tecnologico sarà, con grande probabilità, legata alle parole non lette, alle ragioni non dette e all’ormai universale “bla, bla, bla” che tutto sommerge privando l’uomo del silenzio. Elemento indispensabile per una seria riflessione, più che sull’aumento del prezzo del cibo, sui destini del mondo.

Se questa scienza che grandi vantaggi porterà all’uomo, non servirà all’uomo a conoscere se stesso, finirà per rigirarsi contro l’uomo (Giordano Bruno).

Marco Ceriani

Food Hero

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  1. oriettaSi parla di aumentare la produzione del cibo, aumentare, aumentare... Ma ridurre gli sprechi? Ho letto da qualche parte dati impressionanti sul cibo che viene buttato, invenduto, e sulle parti degli animali poco richieste dal mercato: tutti vogliono petti e cosce, per esempio. Ridurre gli sprechi significherebbe (anche) migliorare la qualità della vita degli animali. Ma occorre una educazione o ri-educazione. Basta vedere i bambini che dicono continuamente "questo fa schifo".. Io non mi sarei mai premessa, Ma adesso i genitori dicono "va bene", buttano e finisce li a beneficio dell'ovetto Kinder o delle patatine. Oltretutto per le varie e spesso incomprensibili "norme sanitarie" non si può nemmeno donare cibo a chi ne ha necessità. Un tempo i salumieri donavano l'invenduto agli Istituti. Ora è vietato. Quindi? Buttiamo.. Tutto questo è triste.
    8 giugno 2022 • 17:46Rispondi
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