25 gennaio 2022

L’ODIO IN PIAZZA DUOMO

Ovvero la violenza contro le donne come “discorso” pubblico


ucciero (2)

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Le violenze di capodanno in Piazza Duomo meritano per gravità e luogo una particolare riflessione. I fatti sono noti: gruppi di giovani extracomunitari e/o di seconda generazione hanno aggredito sessualmente le donne che festeggiavano in piazza.

Come d’obbligo, le posizioni di destra e sinistra hanno seguito le regole del reciproco mainstream, e se per Silvia Roggiani la motivazione delle violenze è da cercare nella cultura patriarcale ancora dominante, per la Lega va trovata nelle dissennate politiche migratorie della sinistra. Ne è seguito, e come poteva mancare, l’altrettanto obbligatorio corollario della bastonatura social contro la segretaria metropolitana del PD, dove si conferma, con la devastazione etica che questi strumenti hanno portato nel tessuto della convivenza civile, anche la particolare valenza che il discorso “sessista” connota tanta parte del diffuso sentire della destra nostrana, così vicina infine a chi vorrebbe stigmatizzare. Ma non di questo, che pure meriterebbe, vorrei dire.

Mi chiedo piuttosto se le opposte narrazioni siano effettivamente capaci di ricomprendere per intero le ragioni esplicative dell’accaduto e se non si richieda un ulteriore sforzo di analisi, qualcosa che ha a che fare con la nostra condizione metropolitana. E dunque e di nuovo i fatti: gruppi di giovani extracomunitari, per gran parte maghrebini, si sono dati appuntamento la notte di capodanno nel luogo centrale di Milano per aggredire sessualmente giovani donne in piazza. Come a Colonia nel 2016, quando a centinaia furono aggredite da persone di origine extracomunitaria, a Milano sono state isolate, palpeggiate, dileggiate, denudate, insultate dal branco, fino ad essere sollevate e portate a braccia sul sagrato, come un trofeo carnale, un feticcio finalmente conquistato ed esibito in Piazza Duomo, luogo emblematico della parola e del “discorso pubblico”. Che cosa orrenda.

Nel momento in cui la coscienza collettiva è ferita e ribolle, nel momento in cui rivendichiamo per le donne, tutte le donne, per la loro dignità e quindi anche per la nostra, l’inviolabilità del diritto di vivere e muoversi liberamente, senza dover temere né un gesto né uno sguardo che lo metta in discussione, occorre pure chiedersi perché giovani migranti e figli di migranti non solo non hanno condiviso questo elementare principio ma l’hanno negato tanto gravemente quanto pubblicamente. Per quale motivo, cosa li ha spinti verso il principale luogo di Milano e qui, deliberatamente, hanno offeso la libertà delle donne e la santità dei loro corpi?

E ce lo si deve chiedere non per trovare giustificazioni di comportamenti, inaccettabili e da punire con esemplare severità, ma piuttosto per comprenderne la genesi, elaborare una diagnosi e se possibile introdurre una terapia. A ognuno il suo, alla polizia ed alla magistrature il compito di reprimere e punire, alla politica ed alla società quello di analizzare e comprendere: la ragione non deve abdicare alla sua funzione, anche quando tutto congiura contro.

Propongo qui alcune osservazioni, ben consapevole della estrema delicatezza della questione e della loro parzialità. E dunque: in Piazza Duomo, luogo di eccellenza del discorso pubblico milanese, sono stati messi in scena i corpi delle vittime, come se solo la loro consistenza carnale e quindi la loro “predazione” potessero dare visibilità ad un discorso altrimenti impossibile da comunicare.

Un “discorso pubblico”, come il luogo che l’ha ospitato, come pubblici gli atti che sono stati compiuti, in una scena che doveva ospitare una gioiosa comunità e che è stata invece occupata dalla rappresentazione dell’odio.

Di nuovo perché? Per quale motivo, quei giovani e perfino giovanissimi, si sono mossi dalle periferie milanesi e torinesi, e preordinatamente hanno intimidito e terrorizzato le donne in piazza, negando radicalmente la libertà di “esserci”, lì e proprio in quanto donne, portatrici con la concreta materialità e la potenza simbolica dei loro corpi di una “diversità” insostenibile? Cosa hanno voluto significare, senza dirlo, se non “noi non siamo come voi”?

Nei giorni successivi, le televisioni hanno intervistato alcuni dei loro genitori, dando conto della distanza scavatasi tra le generazioni. I padri (le madri “silenziate” in casa) che hanno fatto del sacrificio la chiave per la conquista di una cittadinanza tanto ricercata quanto ancora spesso negata. Mani e visi di lavoratori, sbigottiti ed incapaci loro stessi di dare senso e spiegazione di quanto accade nelle loro case, dove il loro sogno di integrazione non solo non sembra scaldare il cuore dei figli, ma appare loro piuttosto come “tradimento” delle origini autentiche dell”identità, della verità profonda della loro esistenza, individuale e collettiva.

Un tradimento perché la prospettiva dell’integrazione non pare possibile e plausibile a molti di loro, generando il corto circuito, inaccettabile ma non per questo inesistente, che salda la perdita di futuro con la ricerca (impossibile) del passato e trovando inevitabilmente nel rapporto con la donna, la sua libertà, la sua autonomia, il suo corpo libero, il punto di maggior attrito con la narrazione prevalente. Un disagio profondo ed oscuro, un rancore, infine un odio, che sembrano rimandare alla inconciliabilità tra mondi e valori fondativi delle identità (passato e presente, occidente ed oriente…), ma che trovano in realtà nella vita quotidiana le ragioni vere di una drammatica disconnessione sociale e culturale delle loro esistenze.

Noi non siamo come voi”, sembra il grido rancoroso che anima il linguaggio dei loro corpi, unica risorsa agibile per chi non trova le parole del proprio disagio, come nei riots di San Siro, dove centinaia di giovanissimi hanno celebrato in Piazza Selinunete la loro diversità al comando dei rapper, leader di una avversione sociale comunicabile solo con il loro esserci lì, impegnati in atti quasi soreliani o situazionisti, comunque oppositivi alle regole di una convivenza disprezzata.

“Noi non sappiamo neppure cosa siamo, ma non siamo come voi, e non vogliamo esserlo”.

Può essere che i fatti di Piazza Duomo siano la spia dolorosa di un travaglio che il passare del tempo saprà risolvere. Alla politica, ma non solo, il difficile compito di trovare i tempi ed i modi per ricostruire le ragioni condivise di una cittadinanza, fondata prima di ogni cosa sul valore irrinunciabile della libertà della donna.

Giuseppe Ucciero

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  1. Gianluca GennaiCome vorrei darle ragione, ma non basta la sua riflessione e forse analisi, non basta neanche per un avvicinamento all'abisso che c'è e che separa la società soprattutto nelle grandi città europee quale Milano si appresta a diventare, o meglio è da non molto ma con un assetto che tende a replicare quanto c'è di negativo nelle altre città europee note per essere inclusive e tuttavia perdenti, modelli che non andrebbero replicati. Anche questo non basta perché servirebbe avere un vissuto in quelle società dove purtroppo non c'è una base paritetica tra uomini e donne, se mai ci sono gli uomini e le donne funzionali alla vita dell'uomo, esse stesse cresciute e forgiate in quella ragione di sopravvivenza e sottomissione che le concede un minimo di autonomia, un lasciapassare. In quel mondo c'è ancora molto da fare, e lo devono fare loro, quelle donne e nessun altro. L' emancipazione prende forma nei paesi di origine, e questo posso testimoniarlo per esperienza diretta, ma quelle stesse persone, lontane dalle proprie radici, tendono a richiudersi su se stesse, non sono più disposte a integrarsi in una società lontana. Purtroppo quell'abisso viene riproposto e forse accentuato nell'identità di gruppo che prende corpo la dove le singolarità si auto emarginano e si barricano nell'appartenenza che Lei esprime con " noi non siamo come voi". Quel " noi " racchiude il rifiuto per l'anticultura europea o meglio occidentale vista come lasciva, perversa e nel peccato originale, quella piuma pesante che fa tendere la bilancia del giudizio verso l'inferno e che viene allontanata con l'accentuazione della propria cultura, troppo orgogliosa per condividere l'idea di cittadinanza contaminata qual'è la nostra ai loro occhi e soprattutto ai loro insegnamenti radicati e sempre più capaci di dare forza alla ribellione gestita, fatta di atti di impunità e arrogante accentuazione di un bene (la loro cultura) contro il male ( la nostra inettitudine). Allora quale modello potremmo attuare? Certamente l'integrazione a partire dal dare loro spazi dove esprimersi e riproporre il loro habitat ma anche intervenendo profondamente nella formazione, nel rendere obbligatorio lo studio della lingua e cultura italiana e educazione civica, almeno per portarli su un piano di rispetto se non di accettazione, lasciandoli esprimere e accompagnandoli in una transizione che non deve includere l'integrazione forzata, ma il rispetto delle regole si e queste non dovrebbero mai essere messe in discussione, ecco una nostra debolezza che da a loro la forza di proporre i loro modelli di società.
    26 gennaio 2022 • 17:49Rispondi
    • giuseppe uccieroGentile Gianluca la ringrazio per il suo articolato commento. Certamente una profonda azione formativa è importante, ed in effetti i fatti di Piazza Duomo sono lo stigma di un fallimento educativo su sui si dovrebbe riflettere, magari porgendo orecchio ai preti di strada. Sono però altrettanto profondamente convinto che nessun processo formativo potrà mai superare in efficacia la prassi esistenziale che i giovani vivono quotidianamente: se la prassi è escludente nei fatti, e l'esclusione si manifesta in tante forme (lavoro precario, clima culturale antimigranti, povertà abitativa e sociale..), anche la migliore strategia educativa è destinata a fallire ed i giovani si cercano i loro eroi. Qui c'è lo spazio, enorme, per una riflessione politica, sui diversi piani, nazionale e locale. A ciascuno le sue responsabilità. Tutto questo senza mai alimentare approcci "benaltristi" e banalizzare la responsabilità individuale, anche penale, di chi compie azioni così gravi ed inaccettabili.
      27 gennaio 2022 • 15:47
  2. Valeria fieramonteNon credo allo stupore delle famiglie d' origine, credo piuttosto che, al di là delle parole, molti ' uomini' italiani siano di fatto complici...
    26 gennaio 2022 • 20:49Rispondi
    • giuseppe uccieroGentile Valeria Se lei intende dire l'ovvio e cioè che anche in Italia resiste tuttora, nei fatti, il diffuso disvalore dell'inferiorità della donna, non si può che condividere. Lei la chiama "complicità", ed in un certo senso, se si allude al modo cui cui la persistenza della cultura patriarcale manutiene un certo "brodo" di coltura del clima aggressivo contro le donne, anche qui si può accettare. Ma come cercavo di dire, senza essere inteso almeno da lei, nei fatti di Piazza Duomo l'aggressione alla libertà ed al corpo della donna è stata "anche" la forma, inaccettabile, con cui si è manifestata la crescente distanza dei giovani migranti e figli di migranti dalla nostra società metropolitana e dai valori che la rappresentano ai loro occhi. Una distanza che, lo creda o no, stupisce anche i padri perchè contraddice la loro ricerca di integrazione, anzi la nega in termini radicali. Distinguere le diverse valenze intrecciate attorno ad un fenomeno è importante per capire, se no ci si trova nella famosa notte "dove tutti i gatti sono bigi".
      27 gennaio 2022 • 15:39
  3. guido luigi tassinariPrimo: quei ragazzini violenti e sadici non sono " migranti" ma immigrati e figli di immigrati Secondo: almeno a Milano, città e hinterland, hanno non solo tutto a disposizione gratis o quasi (casa, opportunità di lavoro, sportive e di socialità, scuola, sanità) ma a livelli incredibili rispetto ai loro paesi d'origine Terzo: questo "fenomeno" (l'accerchiamento di giovani donne in gruppi concentrici ) è relativamente recente, è nato in Egitto e da lì si è sparso in molto del nord Africa proprio in "risposta" ai movimenti di emancipazione femminile durante le "primavere arabe" Quarto: istituzioni, associazioni, Chiesa, privati cittadini (autoctoni e alloctoni), almeno a Milano, da molti anni, almeno trenta, fanno di tutto per loro (loro intesi come quei ragazzini e i loro padri e madri) Quinto: è uno sforzo immane; ha ragione Gennai, il rischio di una "deriva francese o inglese" Milano lo corre ma per ora, per fortuna, si è riuscita a arginarla. Saluti
    31 gennaio 2022 • 22:24Rispondi
  4. giuseppe uccieroGentile Guido Luigi lasciamo da parte la distinzione tra migrante ed immigrato, alquanto opinabile. Vorrei piuttosto seguire il suo ragionamento e chiederle: se questi giovani hanno tutto, come dice lei, per quale motivo non sono felici ma arrabbiati e contestano lo stile di vita occidentale, che pure glielo rende disponibile casa, opportunità di lavoro, sportive e di socialità, scuola, sanità "gratis o quasi"? Lei scrive che sono sadici e violenti, e sia, e che hanno emulato pratiche socialmente repressive contro le donne durante la primavera araba, e sia, ma di nuovo come lo spiega, se hanno "tutto"? Siamo di fronte ad un caso isolato, pur gravissimo, di criminalità giovanile, o ad una problematica più ampia di cui quel caso è patologica espressione? Se Milano, fortunatamente in tono minore, vive un disagio simile alle "derive inglesi e francesi", forse siamo di fronte ad un ampio e critico passaggio socio culturale. Dove si trova il punto di attrito? E' opportuno porsi la questione, salvo in conclusione pensare, senza dire, che quei giovani, e più ampiamente quelle popolazioni, non sono integrabili in quanto radicalmente indisponibili ad accogliere i valori culturali della nostra società.
    2 febbraio 2022 • 12:57Rispondi
    • guido luigi tassinariGentile Giuseppe, innanzitutto la ringrazio per la risposta, poi aggiungo che sono nato e cresciuto in quel "contesto", come lo chiamava Sciascia. Da ragazzino ho fatto di tutto (fuorché la prevaricaricazione di donne, ma avrebbe potuto capitare, sempre per il "contesto" ma vivaiddio quarant'anni fa vigeva un "codice d'onore" alquanto opinabile, usando la sua parola, per la quale chi commettesse quel genere di cose era punito dai propri pari -e, la prego mi creda, non difendo assolutamenete quei "codici"); la violenza stupida di quell'età è inseplicabile, se non, forse, quando si propaga come emulazione (da lì il riferimento a quanto cominciato in Egittto). Un abbraccio, gl
      6 febbraio 2022 • 00:44
  5. Andrea VitaliTemo però che anche i giovani italiani, non necessariamente sottoproletari, anzi, possa capitare di fare più o meno le stesse cose. Ricordo a mio disdoro un capodanno anni fa in una città meridionale: in un angolo dei giardini pubblici un gruppo di ragazzi andava e veniva attorno a una forma oscura. La gente passava, capiva che forse c'era qualcosa che non andava, ma passava avanti. Solo il giorno dopo si è capito cos'era quella forma scura: una ragazza ubriaca. E chi andava e veniva non era né migrante né periferico. E mi dicono che ci sarebbero tanti altri casi da raccontare...
    8 febbraio 2022 • 15:23Rispondi
  6. Andrea VitaliTemo però che anche ai giovani italiani, non necessariamente sottoproletari, anzi, possa capitare di fare più o meno le stesse cose. Ricordo a mio disdoro un capodanno anni fa in una città meridionale: in un angolo dei giardini pubblici un gruppo di ragazzi andava e veniva attorno a una forma oscura. La gente passava, capiva che forse c'era qualcosa che non andava, ma passava avanti. Solo il giorno dopo si è capito cos'era quella forma scura: una ragazza ubriaca. E chi andava e veniva non era né migrante né periferico. E mi dicono che ci sarebbero tanti altri casi da raccontare...
    8 febbraio 2022 • 15:24Rispondi
    • giuseppe uccieroGentile Andrea La cultura della violenza sulle donne nasce nel profondo e non è connotato specifico di età generazionali, aree geografiche, epoche storiche o etnie, pur trovando in ciascuna, e nel loro intreccio, importanti articolazioni, accentuazioni o diversificazioni. I fatti di Piazza Duomo non sono diversi sotto questo profilo dai tanti che ogni giorno avvengono. Tuttavia mi è sembrato che la forma organizzata e la modalità dispregiativa e feticistica dell'oltraggio pubblico dei corpi fossero indicative di una specifica problematica. Averle sottolineate non equivale a chiudere gli occhi sulla portata generale del fenomeno.
      9 febbraio 2022 • 16:00
  7. alessandra nanneiGentile Giuseppe, ho letto il suo articolo e le sue risposte. Un senso di malessere mi ha colpito, non me lo aspettavo su una “rivista” come ArcipelagoMilano. Perché nel sottofondo vi era tutta la cultura maschilista che sta risalendo alla superficie in questi ultimi decenni. Può rispondere che non é così, c'é sempre stata, “non é connotato specifico di età generazionali, aree geografiche, epoche storiche o etnie” .No, non é proprio così. Sin dall'antichità ci sono state popolazioni che hanno rispettato le donne considerandole esseri con uguale dignità degli uomini. E altre popolazioni che, al contrario, utilizzavano le donne come fossero animali da sfruttare e usare . Culture diverse, in aree geografiche, epoche storiche e etnie differenti. Una bella diversità tra le donne scandinave, che gestivano intere aziende agricole, a capo di numerosi dipendenti, mentre i “vichinghi” vagavano sui mari per cercare luoghi da depredare. Le donne partecipavano alle riunioni che si tenevano due volte all'anno per decidere sulle contestazioni e avevano diritto di voto come gli uomini. E i parti, orde che scendendo dall'oriente si vantavano del numero di donne dei loro harem, un insieme di donne utilizzate per i bisogni sessuali , come fossero bestie di poco valore. L'Asia aveva altre tribù, alcune che rispettavano le donne, guerriere o sciamane, ed altre con la stessa “cultura” dei parti. E se vogliamo tornare ancora ai tempi dei Neanderthal, le ultime scoperte hanno rivelato che le donne partecipavano alla caccia come gli uomini, erano rispettate e molto curate, perché considerate coloro che permettevano la prosecuzione della specie: erano le donne a decidere chi scegliere come compagno. Passando dalla preistoria alla storia, fu la “cultura dei parti” a vincere, con il sostegno delle religioni provenienti dall'Oriente che colonizzarono l'intera Europa. Ciò premesso, mi chiedo quanti secoli occorrono ancora affinché i giovani che questa cultura millenaria hanno adottato siano disposti ad abbandonarla. Nel frattempo, lasciamo che continuino a stuprare le donne. Poveri cari, sono solo un poco storditi.
    9 febbraio 2022 • 22:27Rispondi
    • giuseppe uccieroGentile Alessandra comprendo le sue osservazioni storiche che pure condivido. Le mie considerazioni erano certamente un pò tranchant e sono consapevole che non è stato sempre così e dappertutto così. Meno d'accordo sul suo giudizio, quando mi accomuna alla cultura maschilista che "sta risalendo in questi ultimi decenni". A me pare piuttosto che, sia pure con grande fatica e grazie alla lotta delle donne, questa cultura per fortuna perda consenso e posizioni. Ancor meno d'accordo sulla sua conclusione amara.
      10 febbraio 2022 • 12:28
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