26 ottobre 2021

DAI RIFIUTI ALLA SOCIETÀ DELLA PARSIMONIA E DEL RIUSO

Un modello sostenibile


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Soltanto dal 23 al 26 settembre sono andati a fuoco, a nord della provincia di Milano, un grosso deposito aziendale di rifiuti a Cermenate, seguito dalla gigantesca area ex SNIA di Varedo e il giorno seguente un magazzino di una ditta a Monza, stracolmo di materiale plastico e di mascherine chirurgiche da poco prodotte. Risultato: in soli 4 giorni, tonnellate di sostanze tossiche, diossine, polveri sottili riversate nell’aria, tonnellate di acqua contaminata dagli spegnimenti riversata nelle falde e nei fiumi, nella zona più densamente popolata e inquinata d’Europa, la terra dei fuochi del Nord Italia.

A Monza e dintorni, inoltre, sono settimane che in vaste aree della città e paesi limitrofi si lamentano forti odori di materiali bruciati, la cui fonte resta tuttora sconosciuta, sotto indagine. L’Agenzia Europea per l’Ambiente ha recentemente dichiarato che questa situazione di forte inquinamento padano abbassa di tre anni l’aspettativa di vita dei milioni di residenti del Nord. Tale situazione distopica basterebbe per invocare subito una legge nazionale che equiparasse a attentato terroristico ogni incidente di origine dolosa che provoca danno e inquinamento ambientale, inclusi incendi dolosi ai rifiuti, nonché ai boschi, fattispecie ancora più drammatica.

E invece il copione si ripete indisturbato ormai da anni, sempre uguale a se stesso, come il 25 settembre a Varedo, dove 4000 tonnellate di rifiuti stoccati illegalmente da anni hanno magicamente preso fuoco alle 5 di mattina, proprio pochi giorni prima che l’area, peraltro già da tempo posta sotto sequestro dalla Magistratura, fosse messa in sicurezza, sebbene tardivamente, trasferendo le rotoballe di rifiuti che vi erano state scoperte, all’inceneritore. Pura combinazione, o autocombustione? Speriamo che la Magistratura faccia in fretta il suo corso, anche se il sospetto sull’ecomafia è già fortissimo.

Al di là della cronaca di questi casi, dove speriamo che i responsabili, anche certa classe politica, pagheranno pegno qualora fossero inchiodati dalle indagini in corso, viene però d’obbligo fare alcune considerazioni sul tema più ampio dei rifiuti, drammatico in tutto il paese:

1- Sono poco tranquillizzanti i tentativi di rassicurazione di ARPA ad ogni rogo, perché non esiste rogo di rifiuti non tossico. Anche nel caso che i rifiuti bruciati fossero “soltanto” comuni rifiuti urbani, questi sono zeppi di plastica, la cui combustione, da sola, è sufficiente a sprigionare notevoli quantità di diossina.

2- E’ doppiamente grave il reato di chi provochi incidenti di questo tipo, accumuli materiale in modo illecito, ma anche la condotta di chi a livello amministrativo non controlli, tergiversi, o giri gli occhi altrove: le rotoballe di Varedo non saranno arrivate nottetempo, ma avranno richiesto decine e decine di TIR andare e venire per mesi dentro al capannone ex SNIA: possibile che nessuno si fosse accorto di nulla, già mesi fa, e perché si è atteso tempo immemore prima di chiedere di bonificare (senza poi farlo) una vera e propria bomba ad orologeria?

3- Ci sono troppe situazioni diffuse e ricorrenti di capannoni pieni zeppi di rifiuti illeciti, senza che di fatto venga preso nessun provvedimento per evitarle anche con controlli preventivi a tappeto. O meglio, prevenzione e controllo troppo spesso non riescono ad evitare questo drammatico epilogo, data la diffusione. Certamente, si agisce in tempi troppo lunghi, come a Varedo. Occorrerebbe un giro di vite su queste deplorevoli pratiche.

4- Il fattore chiave però sarebbe agire a monte, ossia produrre molti meno rifiuti: rimodellare i consumi della popolazione, implementare vere strategie di riduzione nella produzione e vendita di merci, spesso superflue se non dannose, eliminare gli imballaggi, rivedere le nostre frequentazioni di fast food e fare meno ricorso alle consegne a domicilio, enormi generatrici di rifiuti e imballaggi inutili e dannosi.

5- Fino a due secoli fa la società non produceva rifiuti, dato che gli scarti venivano riutilizzati e riassorbiti dalla biosfera. La plastica non esisteva nemmeno, mentre oggi col Covid il suo utilizzo è addirittura più che raddoppiato. I sistemi attuali di raccolta differenziata dovrebbero almeno prevedere incentivi alla riduzione, tramite conteggio delle quantità consegnate per famiglia e tariffazione puntuale, ma tali soluzioni, pur facili (RF tag ID, ecc.), non sono quasi mai attuate, perché al sistema a valle, evidentemente, conviene avere tanto materiale da “valorizzare” nei termovalorizzatori: un sistema malato alla radice.

6- Le politiche di raccolta differenziata e di riciclo, spesso solo sulla carta, non sono sufficienti: se davvero riducessimo i consumi, i pochi rifiuti prodotti non andrebbero mai bruciati negli inceneritori, né mandati in discarica, ma riutilizzati e il resto riciclati. Si pensi al modello virtuoso dei vuoti a rendere e delle bottiglie di vetro riconsegnate, che è cosa ben diversa dalla loro frantumazione e rigenerazione tramite fusione, o la riparazione degli elettrodomestici, invece che lo smaltimento in discarica. Si dovrebbero diffondere centri per il riuso, la riparazione di oggetti e di merci dismesse, inclusi i mobili; di questi, vi sono pochissimi casi virtuosi, in Italia, che funzionano bene e sono sostenibili, anche economicamente, creando posti di lavoro.

7- Oggi la raccolta differenziata virtuosa pare quasi il fine della gestione dei rifiuti, seguita da ben poco riciclo reale: si dovrebbe considerarla invece il mezzo, e spostare il fine alla mancata produzione di rifiuti a monte, lasciando a un’efficiente economica circolare il compito di rifornire la catena produttiva, obbligata ad attingere da essa (anche a causa del forte rincaro delle materie prime vergini), in un circolo virtuoso. Queste nuove filiere responsabilizzerebbero molto più i cittadini e creerebbero migliaia di nuovi posti di lavoro.

8- La stessa economia circolare, e i suoi target europei, da cui peraltro siamo molto lontani, non sono la soluzione dei problemi dell’inquinamento e del consumo di risorse, ma solo palliativi, perché anche se si si riciclasse l’80% dei materiali, si dovrebbe continuare ad erodere il restante 20% delle risorse necessarie dall’ambiente. In un’economia finalizzata alla crescita, anche se si riciclasse il 100% (cosa impossibile anche nel mondo ideale), occorrerebbe estrarre risorse aggiuntive per soddisfare la crescita delle produzioni: l’unico modello sostenibile è la decrescita delle produzioni, degli sprechi, del superfluo e il cambio di passo, una palingenesi della nostra società moderna, dove l’economia circolare dovrebbe servire soltanto a recuperare i pochi scarti prodotti.

Fabrizio Cortesi

Ingegnere, consulente in strategie e sostenibilità d’impresa, ecologista.

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