26 ottobre 2021

BUROCRAZIA

Una nuova futura normalità?


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In materia urbanistico edilizia, di cui qui parlo, è la pubblica amministrazione nei diversi settori interessati dalle trasformazioni sul territorio. Vado controcorrente spezzando una lancia in suo favore, o meglio della sua componente esecutiva. Accomunando indistintamente, finiamo infatti coll’imputare agli uffici farraginosità e incoerenza di disposti normativi che dipendono da chi a vari livelli ha potestà legislativa e normativa. 

Interposta tra questi da un lato e cittadini e impresa dall’altro, la burocrazia esercita per delega il potere ma, confinata a verifiche di ordine prevalentemente formale entro canoni univoci, ne è in realtà espropriata.

Cito Sabino Cassese(1): “I legislatori (che qui intendo per esteso) cercano, tramite la legge, di attrarre nell’area che è in loro comando tutte le negoziazioni che altrimenti sarebbero nelle mani degli amministratori”. Tendono “ad amministrare per legge, a ridurre la discrezionalità amministrativa, a sognare la “legge auto applicativa.”  E per lo stesso timore di contropoteri, aggiungo, confinano anche il confronto civile in passi formali, a valle di decisioni sostanzialmente prese.

L’effetto complessivo, dice ancora Cassese, è che “l’attenzione si sposta dal risultato alla procedura (bisogna “applicare la legge”, non raggiungere un risultato)”, per cui l’amministrazione “finisce per preferire essa stessa che le proprie decisioni siano santificate in leggi”, rassicurata nell’esercizio di procedimenti che magari non si avvereranno, e a volte lo si sa, ma non importa, l’algoritmo è a posto. 

Così, sull’altra sponda, la burocrazia è vista come un Moloch che “legittima” l’autodifesa, cioè aggirare i “lacci e lacciuoli”, interpretarli a proprio uso, magari con l’aiuto di “esperti”.  Non è così? Provate a sostituire a robot burocrate (e se volete libera iniziativa a essere umano) nella prima legge di Asimov (“Un robot non può recar danno a un essere umano e non può permettere che, a causa di un suo mancato intervento, un essere umano riceva danno”) e vi accorgerete di quanto siamo sulla difensiva. 

Ma anche drammaticamente fuori strada, perché la sommatoria delle componenti che ho citato: legge, amministrazione, società (attorno alle quali altre ruotano: ricerca, professioni, etc.) invece di produrre un universo cooperante, capace di progredire, vive una diffidenza incrociata in cui tutti sanno quello che dovrebbero fare gli altri, ma nessuno è tenuto a rispondere ai fini, se non per il tramite di protocolli statici, tanto più minuziosi quanto poi paradossalmente da aggiornare di continuo per rincorrere i cambiamenti. Che di conseguenza “capitano”.

PNRR e Next Generation EU mettono a nudo le difficoltà? Ecco allora il capro espiatorio: la burocrazia. Quindi plebiscitariamente semplificazione, senza però, temo, metter in causa i nodi di un sistema ingessato che si autoperpetua.

Non nego, sia chiaro, la necessità della divisione di compiti, né che vi siano inerzie di apparati o deficit di competenza (ma è poi vero che i funzionari ne sanno meno di politici, cittadini e libera iniziativa?) e neppure voglio misconoscere gli avanzamenti che si stanno producendo, l’impresa illuminata, i progetti che superano steccati e confini, e via discorrendo. Il cambiamento è in atto, ma è troppo lento rispetto all’urgenza che ci si impone.   

L’Europa ci offre ora un assist per sperimentare, in una probabile stagione di deroghe, stralci di futura nuova normalità.  

Cambiamo il punto di vista. Se guardiamo la burocrazia per quello che è, una rete silente, che coinvolge direttamente e indirettamente migliaia di persone, la sfida è riscattarla, darle ruolo e potere reali, di merito, non meno, ma più e diversi.

Come? Non presumo certo di tracciare qui una via per un cambiamento che ha molti risvolti, mi limito da profano a dire quello che vedo: che le organizzazioni che si rinnovano si strutturano per obiettivi e team e non per mansioni, promuovono innovazione, travasi di saperi, isole di anticipazione, coinvolgono gli interessati.  Tutto questo va posto al centro di un dibattito ampio, perché è anche questione di democrazia e progetto, a chi dar voce, come costruirlo. 

Sotto la vecchia coperta si muovono infatti interessi post partitici, post industriali, orizzonti culturali e una società diversi da un tempo, e dietro la domanda di tempi brevi istanze di consenso e ritorno economico a breve, che vedono nelle visioni prospettiche un ostacolo. Dobbiamo uscire dal duplice autoinganno che ci porta al disastro: l’idea che tutto possa esser tenuto sotto controllo per legge e al contrario, che il progetto comune si formi per automatico convergere di interessi. 

Con un paragone improprio, la legge, dai tempi lunghi è come il genotipo, dovrebbe limitarsi a dire dove si vuole andare e stabilire i binari entro cui farlo, mentre i comportamenti, capaci di apprendimento e invenzione, come i fenotipi, mettono in scena le mutazioni rapide adattate ai casi.  

Si tratta di informazione, che non consiste nel digitalizzare moduli e archivi, ma nel capirne il funzionamento e i potenziali (e non lasciarli nelle mani delle big tech, che lo hanno capito benissimo). In questo spazio non praticato, teatro di una pianificazione nella complessità, l’unica possibile, c’è anche la struttura amministrativa. Il problema non è tanto il sistema nelle sue gerarchie, quanto le interazioni con cui opera, nate ed efficienti in altri tempi e che oggi sono divenute uno spreco di risorse, intelligenze, potenzialità, oltre che concausa delle scorciatoie improprie e dei tempi lunghi che deprechiamo, e di una riduzione di senso delle professionalità coinvolte.

Luca Imberti

Note:

(1) Sabino Cassese, Il legislatore dissoluto, Il Foglio, dicembre 2019

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  1. XavierMolto interessante e ben scritto. Grazie
    27 ottobre 2021 • 07:50Rispondi
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