28 maggio 2019
DOPO QUESTE EUROPEE LE AMMINISTRATIVE
Milano e la sindrome di Pisa
Commentare il risultato elettorale milanese è certo più piacevole dopo aver tirato un sospiro di sollievo: i timori della vigilia non erano infondati. E’ andata bene,persino sopra le aspettative, ed è rassicurante il commento di Sala che non sfiora nemmeno l’autocompiacimento e rileva invece che il lavoro da fare da qui al 2022 è molto. Stesso tono Silvia Roggiani segretaria del Pd Milanese: entrambi non dimenticano certo che al ballottaggio delle scorse amministrative Sala prevalse per poco di più di un punto e che comunque, rispetto alle ultime europee, il Pd ha perso 50.000 voti e la Lega ne ha guadagnati 115.000.
Da dove riprendere il lavoro di consolidamento dell’amministrazione di sinistra a Milano e cosa tenere presente?
Una Amaca di Michele Serra del 23 maggio scorso parla di una ricerca recente dell’Osservatorio dei Conti Pubblici italiani (CPI) dell’Università Cattolica di Milano diretto da Carlo Cottarelli, uomo prima incaricato e poi non molto gradito a Renzi ma molto stimato da Mattarella che pensò a lui per la Pres1denza del Consiglio. E poi a un articolo di Salvatore Settis su la Repubblica Milano del 24 maggio scorso.
Michele Serra commenta la classifica delle città finanziariamente meglio gestite in Italia, dove gli investimenti fatti hanno garantito la miglior qualità urbana ma sottolinea un fatto in qualche misura clamoroso: Pisa, la prima in assoluto con forte distacco dalla seconda – Milano al 29° posto -, alle ultime elezioni comunali ha visto la sinistra cedere il campo alla destra leghista. Serra attribuisce la sconfitta al prevalere del valore identitario del voto rispetto a un voto razionalmente “civico”: possiamo chiamare questo fenomeno battezzandolo “sindrome di Pisa”, pericolo latente ma da non sottovalutare.
A questo, pensando a Milano, io aggiungerei due o tre considerazioni. Prima di tutto, ma questo è nazionale, gli italiani sono dispettosi e a loro piace buttar giù chi spicca: un mix tra invidia e insofferenza verso qualcosa che somiglia a una élite/casta. Quest’ultimo aspetto, l’odio per le élite, è uno dei cavalli di battaglia di Salvini e continuerà a giocarlo anche a Milano.
Poi c’è la negazione del famoso adagio di Andreotti – “Il potere logora chi non ce l’ha” – perché è anche vero che il potere logora chi ce l’ha ma soprattutto se si tratti di un “potere” tenuto molto lungo che tende a rinchiudersi in sé e genera cerchi magici che indispettiscono chi, magari politicamente affine, si vede escluso malgrado una notevole competenza personale. Gestire generosamente il potere è difficile.
Veniamo ora all’articolo di Salvatore Settis, un suo contributo all’ Arch Week, la settimana di eventi dedicati all’architettura promossa da Triennale Milano insieme al Politecnico e al Comune di Milano, in collaborazione con Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.
Salvatore Settis non è un architetto, non fa parte del mondo troppo autoreferenziale degli architetti urbanisti: è quello che potremmo definire un “saggio” a tutto tondo. Dal suo articolo possiamo trarre alcune frasi importanti e illuminanti.
La prima: ” La città è infatti per sua natura fondata sul lavoro: sul lavoro delle generazioni passate, sulla capacità di creare lavoro per le generazioni future. E quando i confini dentro e fuori la città si fanno difficili, la soluzione non è auto segregarsi in una qualche gated community che ci faccia sentire protetti e al sicuro (nemmeno nella turris eburnea delle intellettualità e delle accademie); ma al contrario mettersi in discussione sfidando quei confini”.
La seconda: ” È venuta l’ora di sfidare il pensiero unico di una «modernità» senza immaginazione che propugna per ogni dove un modello unico di sviluppo. L’ora di vedere nelle città, nei paesaggi, nell’habitat degli uomini, nello spazio non una merce passiva da sfruttare, ma vivo scenario di una democrazia futura. [….] Perciò non può darsi rigenerazione urbana che non sia insieme rigenerazione umana”.
Dopo aver letto queste frasi, ovviamente anche tutto l’articolo, mi faccio qualche domanda: si può affrontare l’ultimo mezzo mandato di Sindaco e Consiglio senza tener conto di queste parole? Posiamo guardare alla Città Metropolitana andando velocemente oltre il perimetro comunale? Di fronte ai nuovi progetti immobiliari possiamo guardare allo spazio “non come una merce passiva” da sfruttare”? Possiamo smettere di pensare alla rigenerazione urbana come ambito prevalente di architetti e urbanisti? Dove e quando rigeneriamo l’uomo?
Ecco perché guardo con grande preoccupazione alla prossima scadenza elettorale, in pratica a ridosso delle europee e la vedo avvicinarsi in un clima di quasi tranquillità cittadina che non mi lascia intravedere un percorso di politica amministrativa chiaro e rassicurante.
Spero di sbagliarmi.
Luca Beltrami Gadola
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