26 ottobre 2021

LA COOPERATIVA DAR CASA COMPIE 30 ANNI

Una tappa nella costruzione del Terzo Settore Abitativo


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Domenica 26 settembre Dar Casa ha festeggiato il suo Trentennale nel bellissimo spazio di Rob de Matt a Dergano in una giornata purtroppo piovosa ma tuttavia assai partecipata e qualificata da un interessante confronto sulle politiche abitative.

Dieci anni prima, lo slogan della festa dei 20 Anni era stato “Dar è la dimostrazione che è possibile”, per celebrare un risultato che sembrava irrealizzabile quando nel 1991 un gruppo di volenterosi cittadini decideva di mettersi in gioco per sussidiare l’ente pubblico a rispondere alla domanda abitativa sociale, in particolare a quella espressa allora dalla nuova immigrazione. Il fondatore Piero Basso ne scrisse allora la storia in “Dar Casa: cronaca di un sogno realizzato”. La cooperativa era riuscita a dare risposta a oltre 200 famiglie che altrimenti non avrebbero trovato casa, ma soprattutto aveva messo a punto e sperimentato un modello di gestione abitativa integrata, attenta alle persone, alle relazioni sociali e all’integrazione nel contesto urbano, che si dimostrava di grande efficacia nella riqualificazione delle aree degradate e svantaggiate: un modello che molti operatori pubblici e privati dell’area milanese, e non solo, avrebbero poi richiesto a Dar di replicare.

Così, ad oggi, Dar Casa gestisce circa 1000 alloggi, tutti offerti solo in locazione a canoni contenuti a famiglie non solvibili sul mercato, in misura minore realizzati in proprio e per la maggior parte ottenuti in affitto o in comodato per 15/20 o più anni con l’impegno di ristrutturarli da soggetti pubblici (Aler e Comune di Milano) o da soggetti privati (variamente legati al Sistema dei Fondi di CDP). Tutti interventi derivante dalla partecipazione a bandi generalmente indicati come modelli di buone pratiche: le Quattro Corti a Stadera, Vivi Voltri alla Barona, Cenni di Cambiamento, Villaggio Grazioli, Ospitalità Solidale, per citarne alcuni, tutti connotati da elevato mix sociale e grande attenzione alla convivenza e alla coesione.

E’ dunque soprattutto in questi ultimi dieci/quindici anni che Dar ha potuto impegnarsi, da sola o in rete con altri soggetti cooperativi e del privato sociale, nel tentativo – direi riuscito – di realizzare un segmento importante di risposta alla domanda abitativa sociale, sussidiario e integrativo dell’intervento pubblico, e dunque di contribuire a costruire un Terzo Settore Abitativo che nell’area milanese e in alcune parti del Paese ha cominciato ad assumere una consistenza significativa.

Tutto bene dunque? Certamente no, sappiamo tutti come il bisogno arretrato e insorgente di abitazioni sociali disponibili a Milano sia enorme; tanto più in una fase in cui – dopo una pandemia che ha aumentato le disuguaglianze e messo in evidenza il maggior disagio di chi non disponga di abitazione adeguata – i valori immobiliari sono di nuovo in forte aumento.

Cosicché, i 3500 alloggi pubblici ristrutturati dal Comune e assegnati o in assegnazione a canone sociale – di cui va dato atto all’amministrazione come di una sfidante e per nulla scontata promessa elettorale mantenuta – e i circa altrettanti alloggi offerti in affitto in una delle diverse forme di canone “controllato” dal settore privato, non riusciranno a scalfire più di tanto quel numero impressionante, intorno a 15.000 unità, delle domande Erp.

Che cosa manca? Innanzitutto, cospicui finanziamenti pubblici per la casa sociale. L’assessore Rabaiotti nel dibattito di domenica ricordava come da anni ormai non si abbia più traccia dei piani triennali PRERP (Piano Regionale Edilizia Residenziale Pubblica) che pure nei primi anni Duemila avevano distribuito risorse per oltre un miliardo di euro andati non solo a incrementare e/o ristrutturare il patrimonio Erp, ma anche a sostenere importanti quote di canone sociale e moderato negli interventi privati, ad esempio sulle aree a standard del Comune con i bandi Abitare a Milano 1,2 e 3. Nell’intervento di via Voltri (bando “otto aree”) ad esempio, si poterono realizzare, mantenendo in equilibrio il piano finanziario, ben 57 alloggi a canone sociale e 56 a canone moderato grazie un contributo regionale a fondo perduto rispettivamente dell’80% e del 40% del costo convenzionale (che andava ad aggiungersi all’area a costo zero).

Ora, con il PNRR – ci ha ricordato Laura Colini, Urbact Programme Expert – risorse non esigue arriveranno e potrebbero mobilitare anche altre risorse private per l’affitto sostenibile. E qui, evidentemente, l’occasione è da non sprecare e spetta alla prossima Amministrazione Comunale saperle spendere con il massimo di tempestività e di efficacia sia per incrementare l’offerta a canone sociale e per completare il recupero dello sfitto pubblico, sia per sostenere l’intervento del Terzo Settore, sia per accompagnare la mobilità fra le diverse forme di locazione.

La legge 16 regionale considera la casa sociale come servizio e inserisce in un unico sistema le diverse forme di affitto, pubblico e privato, aprendo la strada alla mobilità fra di esse, anche se mancano ancora diverse regolamentazioni e i criteri di accreditamento dei soggetti privati per la loro gestione.

Ma ci vuole soprattutto, a livello comunale e metropolitano almeno di prima cintura, un progetto complessivo, che è mancato in questa Consiliatura e che deve coinvolgere anche il privato sociale (prima della pandemia era stato proposto un Tavolo Permanente, poi sfumato) per rendere massimo e sinergico il suo contributo. Altrimenti anche i 3500 alloggi riqualificati rischiano di non avere l’efficacia attesa, se non inseriti in un quadro di mobilità abitativa che miri a ridurre le sacche di concentrazione del disagio e dell’abusivismo e a restituire qualità e dignità all’edilizia pubblica.

L’operazione è evidentemente complessa e non priva di rischi e difficoltà. Basti pensare che l’auspicato trasferimento – più o meno forzoso – al canone concordato di chi abita nel sociale non avendone più i requisiti tende di per sé, con le attuali regole, ad aumentare la concentrazione del disagio e non certo a una sua riduzione.

Rabaiotti dice: l’operazione mobilità non è mai potuta partire perché manca quell’offerta intermedia, a canone concordato, che il privato, sociale o meno, dovrebbe fornire. E che manchi o sia insufficiente è certamente vero, anche se è un po’ ingeneroso, come a volte sembra fare l’Assessore, attribuirne la responsabilità al Terzo Settore.  Io penso invece che la mobilità dal sociale non sia stata neppure tentata soprattutto per l’obiettiva difficoltà di convincere – o costringere – le famiglie a trasferirsi in alloggi magari più piccoli ad un canone sensibilmente maggiore. (Ho in mente la difficoltà incontrata da Aler, nel primo decennio del nuovo secolo a trasferire nelle Quattro Corti, passando così dal canone sociale al concordato, famiglie assegnatarie di Stadera che non avevano più i requisiti per rimanervi: credo che nessuna o forse una o due, su 100 alloggi disponibili, abbia alla fine accettato).

Ma ripeto, senza un progetto – anche urbanistico – complessivo e senza una modifica dei regolamenti di assegnazione che consentano a un ente sovraordinato e partecipato di guidare la mobilità secondo criteri condivisi e perseguendo maggiore equità e mescolanza sociale, non è il caso neppure di provarci. Certo non ho la soluzione, e credo comunque che sia un percorso lungo.

Ma d’altra parte non può essere continuamente rimandato. Forse si potrebbe cominciare a sperimentare qualcosa dando maggiori risorse e poteri anche in questa direzione alla nuova Agenzia per l’Affitto “Abitare Milano”.

In conclusione mi auguro che la prossima Amministrazione vorrà confermare il felice connubio fra Assessorato alla Casa (Servizi Abitativi appunto) e Assessorato ai Servizi Sociali, che riconosce, al di là di chi ne sia il titolare, una relazione inscindibile fra le due problematiche.

Sergio D’Agostini

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