8 maggio 2021

MILANO E IL VIRUS TRA COMUNE E CITTÀ METROPOLITANA

Quale sarà la scelta del sindaco o - chissà quando - due sindaci?


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Città

I limiti della città contemporanea, pensata dalla pianificazione della separazione e del distanziamento delle funzioni e basata su un’idea di sviluppo illimitato, sono tornati in evidenza proprio mentre la pandemia si stava diffondendo nei grandi agglomerati urbani. Oggi si invoca una città che in un quarto d’ora sia in grado di offrire a chiunque ogni tipo di bene e servizio senza bisogno di un mezzo motorizzato.

Parigi e Milano, ad esempio, stanno puntando su questa idea di prossimità per ripensare il modo in cui i quartieri funzionano e consentire a chi li abita una migliore connessione con le loro funzioni. Le abitazioni, diventate nel frattempo anche luogo di lavoro e di studio, vanno connesse funzionalmente all’ambiente urbano e non più considerate macchine per abitare, secondo una vecchia idea novecentesca.

L’idea della 15-minutes city si basa sul presupposto che sia possibile isolarsi sapendo che appena fuori dalla propria abitazione, nel proprio quartiere, si può trovare tutto ciò di cui si ha bisogno. E’ una consapevolezza che sottende la nozione di comunità come insieme di persone che condividono un certo ambito spaziale – generalmente identificabile come il quartiere – , e consentono che in esso esistano le varie funzioni vitali. E’ un modo ecosistemico di considerare gli ambienti di cui si compone la città che cela però un rischio, quello che passi una nozione immunitaria della comunità.

Comunità

Nello stilare l’annuale classifica dei quaranta quartieri più attraenti delle maggiori città del mondo, la rivista londinese di turismo e intrattenimento Time Out ha preso in considerazione le iniziative attuate durante la pandemia per rispondere ai bisogni della popolazione locale. Al trentacinquesimo posto vi appare anche il quartiere milanese di Porta Venezia, che oltre alla vocazione per lo shopping e gli aperitivi, dimostra grande apertura verso la comunità LGBTQ+1.

Sostiene la rivista nel suo rapporto annuale che, ora più che mai, i quartieri sono diventati importanti come luogo in cui affrontare l’emergenza sanitaria e rafforzare il senso di comunità. Iniziative come, da una parte, la distribuzione di cibo e medicinali a soggetti in difficoltà durante i mesi più duri della pandemia e, dall’altra, il confinamento degli individui hanno fatto sia (ri)emergere un senso di appartenenza a una comunità che trova la sua dimensione spaziale nei differenti settori urbani dove i negozi, le scuole, i giardini pubblici o semplicemente le strade sono diventati i luoghi autorizzati per l’incontro con propri simili.

Il filosofo Roberto Esposito ha indagato l’etimologia della parola comunità, che viene dal latino communitas2. La sua radice munus rimanda al dovere di dare qualcosa, al dono e al reciproco essere in debito che lega i suoi componenti. Gli individui sono parte di una comunità quando esiste questo legame. Esserne privi definisce, al contrario, la condizione dell’immunità3.

Immunità

In una intervista rilasciata all’Istituto Italiano di Studi Filosofici nel pieno della prima ondata del contagio, Roberto Esposito ha sostenuto che bisogna “ritrovare un equilibrio virtuoso tra communitas e immunitas. Come nessun corpo individuale, così nessun corpo politico potrebbe vivere senza un sistema immunitario. Tutto sta a non oltrepassare i limiti oltre i quali l’immunizzazione finisce per distruggere lo stesso corpo che dovrebbe difendere, per esempio negandogli la libertà. Dopo avere attivato, per necessità, il principio immunitario, come accade in questo periodo di isolamento forzato degli individui, bisogna riattivare, appena la situazione lo consenta, il principio comunitario. Già fin d’ora, del resto, nella crisi immunitaria che attraversiamo, l’esigenza del munus comune – della condivisione e del dono – è praticata. Per esempio dagli operatori sanitari – medici, infermieri, volontari – che rischiano la propria vita per salvare altre vite. Quando tutto questo sarà finito, bisognerà fare uno sforzo ulteriore in questo senso. Che coincide di fatto con una riattivazione della democrazia4.

In Immunitas Esposito definisce paradigma immunitario la pratica di attrarre e risucchiare la comunità nel proprio opposto. «L’immunità, insomma, è il limite interno che taglia la comunità ripiegandola su di sé in una forma che risulta insieme costitutiva e destitutiva: che la costituisce – o ricostituisce – precisamente destituendola»5. Il comunitarismo immunitario, che ha nelle gated community l’esempio più estremo della sua concretizzazione paradigmatica, destituisce il concetto di comunità perché identifica nella condizione urbana il contagio dal quale mettersi al riparo.

Quando si additano le grandi città come luoghi pericolosi a causa della loro densità che favorisce la diffusione delle malattie contagiose, quando si fa appello al paradigma immunitario del ritorno al mondo rurale e alla sua presunta integrità (peraltro senza accorgersi che proprio lì, tra gli allevamenti intensivi e le sostanze inquinanti prodotte, si sono sviluppati numerosi cluster di infezioni da coronavirus), o al rifugio nella parodia degli eco-villaggi, oppure al semplice rimedio della diluizione della densità, si fa appello a quelle forme costitutive e insieme destitutive della comunità a cui fa riferimento Esposito. Anche nella città metropolitana di Milano sono presenti luoghi che incarnano il paradigma immunitario, e sarebbe forse più interessante capire cosa è successo lì, piuttosto che nel solito quartiere cool del centro, durante le varie ondate della pandemia.

Densità

Il mito della densità di popolazione come indicatore che meglio aiuta a tracciare il diffondersi del contagio nell’ambiente costruito viene sfatato da uno studio della banca mondiale6. Esso utilizza il percorso della linea 7 della metropolitana di New York City per identificare come cambia la diffusione del coronavirus spostandosi sulla tratta che connette, da una parte, alcuni quartieri occidentali del distretto urbano del Queens e, dall’altra, Midtown Manhattan.

Tra i due estremi del percorso, che normalmente implica un viaggio di 24 minuti, vi è una differenza di 78.000 dollari di reddito annuo medio dal punto di partenza a quello di arrivo. Sarebbe interessante che un analogo studio fosse condotto, ad esempio, sullo stesso lasso di tempo che, lungo la linea 1 della MM, separa l’enclave metropolitana di Pero, il grande quartiere popolare del Gallaratese da una parte e, dall’altra i quartieri centrali da piazzale Lotto a Duomo.

Ciò che emerge dallo studio della banca mondiale è che a fare la differenza è il reddito medio del quartiere e la dotazione, oltre che di alloggi, anche di infrastrutture e servizi. E’ qui che passa la linea di confine tra un luogo sovraffollato e un altro densamente abitato ma vivibile. E’ la geografia economica, quindi, e non quella fisica a determinare il rischio di contagio. La densità, se incrociata con la geografia della diffusione del virus, intercetta inevitabilmente le disuguaglianze. La pandemia costituisce quindi un’enorme lente d’ingrandimento delle disparità sociali e spaziali all’interno dei grandi agglomerati metropolitani.

Equità

Come è noto da tempo, esiste una relazione tra il luogo in cui le persone vivono – centri densi delle metropoli, città medie e piccole, aree suburbane ed “exurbane”, territori rurali – e il modo in cui esse votano. Gli abitanti delle aree urbane più dense dal punto di vista demografico e più complesse e diversificate dal punto di vista insediativo tendono a orientarsi verso proposte politiche che mettono al centro l’iniziativa pubblica, perché di essa hanno evidentemente maggiore bisogno.

Chi abita dove la densità è maggiore, e dove l’accesso alle risorse può essere fortemente disuguale in relazione al reddito e alla condizione sociale, riserva quindi una maggiore attenzione all’orientamento dell’azione amministrativa verso i beni pubblici, ovvero quelle attrezzature che possono mitigare l’impatto della densità sulla vivibilità dei differenti settori urbani7. Orientarsi verso la mitigazione delle disuguaglianze, oltre a l’equo accesso allo spazio e ai beni pubblici, può quindi essere una misura di prevenzione delle future forme di contagio alle quali sarà esposta l’umanità urbanizzata di cui facciamo parte.

Il modo in cui saranno governate le metropoli, che oggi sono diventate gli hotspot della diffusione del virus, potrà produrre conseguenze più grandi dei loro confini amministrativi. Le dinamiche dei casi di Covid 19 a Milano e nei territori della Lombardia maggiormente interconnessi con la sua area metropolitana sembrano supportare questa ipotesi. Con la ripresa dei contagi nella cosiddetta seconda ondata, che ha fatto registrare un’impennata di casi nella città metropolitana di Milano, anche il territorio della provincia di Varese, ad essa estremamente connesso e che durante la prima ondata aveva registrato un numero molto basso di casi, ha segnato un’analoga percentuale di infezioni rispetto alla popolazione residente.

Anche in questo caso ciò che emerge è che non è la densità, molto più alta nell’area metropolitana rispetto all’assetto più suburbano della provincia di Varese, l’elemento più correlato alla diffusione del contagio, ma l’equo accesso alle risorse, soprattutto il lavoro e quelle funzioni pregiate di cui è molto ricca la città capoluogo della Lombardia . Laddove il lavoro deve necessariamente essere svolto in presenza, risulta evidente che al crescere della la distanza tra il luogo di residenza e quello d’impiego si innalza la possibilità che il virus infetti le persone. Lo stesso può dirsi per le funzioni pregiate e la distanza che le separa dai propri utenti.

Alla luce del fatto che l’Italia è uno dei paesi più colpiti dalla pandemia, Milano e la sua regione metropolitana, che si diffonde su buona parte della Lombardia, vanno considerati come il più importante hotspot nazionale della diffusione del virus ma anche come avamposti delle strategie del suo contenimento. Le prossime elezioni amministrative eleggeranno sia il sindaco del comune capoluogo che quello della città metropolitana e, dato che forse affidarsi solo alle vaccinazioni potrebbe non bastare a fronte delle mutazioni del virus, sarebbe interessante capire quali idee a questo proposito arrivano da coloro che si candidano alle due cariche.

Michela Barzi

1 James Manning, The 40 coolest neighbourhoods in the world, Time Out, 06.10.2020, https://www.timeout.com/coolest-neighbourhoods-in-the-world, ultimo accesso 17.12.2020.

2 Roberto Esposito, Communitas. Origine e destino della comunità, Torino, Einaudi, 2006.

3 Id. Immunitas. Protezione e negazione della vita, Torino, Einaudi, 2020.

4 Torbjörn Elensky, Roberto Esposito – Immunitas, Istituto Italiano di Studi Filosofici, 18.03.2020. https://www.iisf.it/index.php/attivita/pubblicazioni-e-archivi/diario-della-crisi/immunitas.html.

5 Roberto Esposito, Immunitas. Protezione e negazione della vita, cit., p.10.

6 Somik Lall, Sameh Wahba, No Urban Myth: Building Inclusive and Sustainable Cities in the Pandemic Recovery, The World Bank, 18.06.2020 https://www.worldbank.org/en/news/immersive-story/2020/06/18/no-urban-myth-building-inclusive-and-sustainable-cities-in-the-pandemic-recovery.

7 Emily Badger. The Real Reason Cities Lean Democratic, Bloomberg CityLab, 15.11.2012. https://www.bloomberg.com/news/articles/2012-11-15/the-real-reason-cities-lean-democratic.



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