1 febbraio 2021

VERSO LE ELEZIONI COMUNALI

Beppe Sala sindaco di tutte le stagioni?


ucciero

Manca poco al prossimo voto comunale, ma non sembra. Sarà che il COVID occupa gran parte dell’attenzione pubblica, sarà che la ricandidatura di Beppe Sala ha tranquillizzato il campo democratico, sarà che il centrodestra non trova ancora un serio competitor, sarà che non ci sono le primarie, sarà che neppure la data delle elezioni amministrative è certa, fatto sta che tutto pare come ovattato, distratto, dormiente. Milano vive come se non dovesse scegliere fra pochi mesi il suo prossimo Sindaco, come imbambolata. Narcisisticamente, solo desiderosa delle care vecchie abitudini della movida e dell’aperitivo. Business as usual?

Ci prova Beppe Sala a dare una bella sveglia a chi si attarda, e sono tanti, o a chi, nel centrosinistra, neppure è sfiorato dal pensiero che le elezioni si possono vincere ma anche perdere. Anche il PD, in effetti, incassata la ricandidatura, pare lasciargli il compito di tessere in prima persona la rete dei rapporti politici e delle liste che tutte insieme dovrebbero portare a casa i voti per la sua conferma.

Eppure, non mancano problemi, rischi, linee di faglia e questioni di non facile sintesi. Non bisogna dimenticare che nel 2017 il centro sinistra, a parte il Municipio della buona borghesia, ha perduto 5 municipi su 8, segnale grave di caduta del consenso nelle periferie milanesi. Cosa è cambiato da allora? È meno forte il risentimento delle classi e dei ceti più deboli e marginalizzati? Dove soffia il vento della rabbia e del rancore? Se le vele di Salvini paiono afflosciate, angoscia, dolore e sofferenza sociale sono aumentate: un anno di provvedimenti restrittivi ha gettato molti in grande difficoltà, mentre la crisi del commercio butta benzina alla catasta di legno.

A chi si rivolgerà questa domanda inevasa di rappresentanza? Dobbiamo chiedercelo non solo per vincere le prossime elezioni, ma perché questa vittoria avvenga sotto un segno diverso, sotto il segno della rinnovata capacità del campo democratico di farsi riconoscere come portatore di una nuova visione di Milano. In breve, di un vero progetto di trasformazione innovativa.

Ben vengano allora le manovre di piccolo cabotaggio per unire sotto lo stendardo di Beppe Sala le diverse anime e sensibilità del centrosinistra, ben vengano le 5 liste (per ora), del PD, di Alleanza Civica del nord, (Franco d’Alfonso) di Milano Unita (Paolo Limonta), di Europa Verde (Elena Grandi) e della lista Beppe Sala Sindaco (un ragazzo ed una ragazza ………), ma la loro sommatoria non è di per sé proposta politica, potrà contribuire, forse, ad aggiungere voti ma non capacità di innovazione di fronte ad una crisi così acuta nel corpo cittadino e metropolitano.

La questione vera è la nuova visione della città, dei suoi bisogni, delle principali questioni da affrontare, consapevoli che sarà Milano il luogo dove si gioca la partita del rinnovamento del profilo politico della sinistra nazionale, offrendosi una volta ancora come scenario privilegiato per cambiamenti che hanno modificato il senso di marcia del Paese: anche oggi è così, ma vi è coscienza adeguata e diffusa?

Beppe Sala parla di Milano come laboratorio del nuovo post covid, ma è davvero consapevole della discontinuità radicale rispetto al modello da lui finora perseguito nel dopo EXPO? Un modello verticale piuttosto che orizzontale, un modello che concentrava funzioni ed attrattività nel centro cittadino piuttosto che allargare reti sul territorio metropolitano, un modello che in buona sostanza focalizzava l’investimento immobiliare, e le rendite, come principale motore dello sviluppo. Ed ora, bisogna pur chiedersi a cosa servono le torri di UNICREDIT se gli impiegati non vengono più a lavorarci. E cosa sarà poi delle migliaia di micro imprese della ristorazione se non potranno più contare sul flusso dei 700.000 city users che ogni benedetto giorno che dio mandava in terra si affollavano alla ricerca di un pasto?

Ripensare la città, le sue funzioni, il suo rapporto con il territorio, i tempi ed i modi della mobilità: questo il compito che ci ha posto drammaticamente il COVID, ma che era ben presente prima della pandemia, solo che non si voleva ascoltare, non si voleva vedere, non si voleva capire. Certo, bisogna guardarsi dalle visioni millenaristiche e mediare le problematiche nei contesti effettivi dove le politiche sanitarie (vaccini + farmaci innovativi) ridurranno l’emergenza, la conta quotidiana dei morti, dei ricoveri, delle terapie intensive, lasciando però in eredità un quadro di profonda insicurezza sanitaria.

Comincia a prendere forma nell’immaginario collettivo il sogno di una città distribuita, dove i luoghi del lavoro, dei servizi, del divertimento e del sociale, non sono più concentrati ma diffusi. Si intravvede la possibilità di ridisegnare le strategie della mobilità, dove lo sviluppo di infrastrutture del movimento urbano – suburbano dovrà trovare sintesi con la visione alternativa della città in 15 minuti, una logica spaziale completamente nuova dove il lavoratore ed il cittadino trovano, così si spera, i luoghi del lavoro e dei servizi, a pochi passi da casa. Ma sarà davvero così, saranno in grado partiti, amministrazione e grandi infrastrutture del sapere e dei servizi, di progettare e gestire un passaggio epocale di questo genere, o tutto si ridurrà ad uno slogan elettorale?

La montagna partorirà il topolino? E soprattutto quale peso troveranno le istanze della protezione sociale e del lavoro? E chi se ne farà effettivamente carico? Dall’offensivo “fuori dalle grotte” si è passati in pochi mesi all’amichevole “lavorate vicino a casa”, ma il sospetto che dalle parole ai fatti il passo sia molto lungo non è campato per aria. Questa trasformazione radicale della città, della sua relazione con la metropoli e con le reti regionali e interregionali di cui negli ultimi decenni Milano è divenuta centro direzionale, sembra riportarci al mondo passato di un contesto territoriale pluricentrico, a bassa integrazione, dove la minore mobilità dei fattori della produzione, degli scambi e del sociale, consentiva una maggior sostenibilità dell’ecosistema. Ma è un’illusione ottica, il ritorno al passato in realtà potrà essere solo un ritorno al futuro, dove le nuove tecnologie possono garantire, con opportunità di autonomia, anche gravi minacce di segregazione e controllo.

In questo scenario, tirato giù a colpi di accetta, cala la chance del Recovery Plan, non priva di rischi però. Per esperienza, grandi risorse pubbliche possono generare forti spinte positive ma anche drammatici fenomeni di degenerazione, spreco e corruzione. Beppe Sala si candida a Sindaco per essere il regista della ricostruzione, gestendo il nuovo Piano Marshall, ma farebbe bene finora a pensare ed a dirci quali saranno non solo le principali direttrici di investimento e spesa (i progetti), ma soprattutto la gestione dei flussi finanziari comunitari (la governance).

L’uomo, non senza qualche ragione, indulge a visioni marcatamente manageriali, con qualche venatura autocratica. La ragione pubblica del Recovery Plan chiede però a lui ed ai partiti che lo sosterranno una piena trasparenza progettuale e gestionale: il come spendere vale almeno il dove spendere. Renzi, di cui non condivido nulla, a ragione contesta a Conte l’abuso delle task force come protesi personali del potere, e non è sbagliato allora chiedere ai candidati per il comune di Milano quale è la loro idea di governance.

Un esempio per tutti: la Città Metropolitana, il vestito istituzionale della rappresentanza dei territori con cui Milano condivide trasporti, strade, ambiente, servizi, sarà coinvolta? È adeguata? Richiede innovazioni istituzionali e tecniche? Se dovessimo fidarci delle proposte sul Recovery Fund trasmesse qualche mese fa in fretta e furia al Governo, non dormiremmo a cuor leggero, a partire dalla questione della cosiddetta “riapertura” dei Navigli nel centro di Milano.

Ce lo dica ora Beppe Sala, mentre Milano ancora un po’ sonnecchia prima delle elezioni.

Giuseppe Ucciero



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  1. Annalisa FerrarioUna nuova visione? Bisognerebbe iniziare rifacendo l'orribile PGT. Sala in proposito che dice?
    3 febbraio 2021 • 08:17Rispondi
  2. stefano cozzaglioLa ripresa delle attività importanti non può avvenire se non si abbandonano tutta quella serie di variabili che , in seguito al Covid , hanno sconvolto il nostro modo di vivere . Con il lavoro a distanza oppure molto informatizzato si è rallentata e resa caotica gran parte della gestione amministrativa . Ora si vive in una specie di limbo nel quale non si riescono a trovare i funzionari e la pratiche si perdono in attesa di avere una risposta . E questo vale per gli ospedali , i tribunali , la pubblica amministrazione , le banche , le grosse multinazionali , mentre molte altre attività come la ristorazione , il turismo , la cultura , lo spettacolo , lo sport , la scuola in presenza ed altre sono state criminalmente dimenticate .
    3 febbraio 2021 • 11:06Rispondi
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