2 gennaio 2021

REGIONE, CITTÀ METROPOLITANA E COMUNE

La pandemia mette in evidenza l’inadeguatezza degli enti e dei loro rapporti


La gestione del territorio e delle sue funzioni è argomento difficile da trattare: gli enti territoriali e la difficoltà dei loro rapporti renderanno la ripresa del dopo Covid tutta in salita ma si scopriranno vecchi e irrisolti problemi.

Bosio

Il dibattito aperto negli ultimi tempi su ArcipelagoMilano ha messo in evidenza come il tema della Città metropolitana sia stato rimosso dalle agende politiche della Regione e del Comune di Milano, il cui assessore Pierfranceso Maran avrebbe affermato che “abbiamo visto il sostanziale fallimento della Città Metropolitana che altro non è che il depotenziamento rispetto alla Provincia”, dichiarazione che confermerebbe la sottovalutazione del tema, con suo il porre l’accento unicamente sull’aspetto istituzionale anziché sulla natura dell’oggetto.

Nel numero di dicembre della rivista, Ugo Targetti, con la competenza che gli deriva dall’essere stato protagonista del dibattito che accompagnò la nascita della Città Metropolitana, ricorda un po’ di storia e avanza importanti proposte che dovrebbero essere attentamente considerate e possibilmente attuate.

Se Milano intende essere città europea, come affermato dai suoi amministratori, deve necessariamente fungere da magnete di un sistema metropolitano. Piuttosto che farsi incantare da suggestioni d’oltre oceano quali il Tactical urbanism, in questi ultimi tempi presentato come strumento urbanistico principe, sarebbe più utile (ri)leggere un libro dall’illuminante titolo Milano capitale economica d’Italia, pubblicato quasi mezzo secolo fa ma che, come tanti “vecchi” studi, costituisce ancora un eccellente esempio di lavoro scientifico.

Il geografo francese Etienne Dalmasso, in seicento pagine fitte di dati, descrive esemplarmente la struttura sociale ed economica della Milano degli anni Sessanta. In uno degli ultimi capitoli l’Autore, ricordando brevemente la storia e ruolo del Piano Intercomunale Milanese, sottolinea che nel progetto alla scala metropolitana (1) Dalmasso racconta anche di un rapporto tra le istituzioni positivo come in pochi altri momenti.

La Regione Lombardia, da poco istituita, pone mano con la presidenza di Piero Bassetti a leggi importanti come quella urbanistica e quella istitutiva dei Comprensori, organismi che dovrebbero traghettare le Provincie verso una diversa forma di Ente intermedio. Frutto di questa legge sarà una esperienza breve che produrrà tuttavia analisi approfondite e una importante e articolata proposta di piano comprensoriale e che contribuirà a far maturare negli amministratori locali la consapevolezza che il futuro dei loro territori deve essere costruito in comunanza d’idee e d’impegno, senza lasciare spazio a rivendicazioni localistiche come quella per la creazione della provincia di Monza.

Con la cancellazione dei Comprensori (mai motivata) si esaurisce velocemente la funzione catalizzante svolta fino a quel momento dal Piano Intercomunale Milanese. Racconta Targetti che l’equilibrio precario tra spinte innovatrici e resistenze conservatrici si spezza quando escono allo scoperto gli avversari del cambiamento, di cui fa i nomi, stringendo un’alleanza vincente che salva lo status quo e istituisce la Provincia di Monza e Brianza.

Alcuni anni prima, lo squasso provocato sulla classe politica dall’azione di Mani pulite aveva giovato più ai fautori della conservazione che ai sostenitori di un necessario cambiamento. I comuni dell’hinterland, che all’inizio degli anni Sessanta avevano saputo opporsi allo strapotere di Milano, si mostrano quasi tutti indifferenti a quella che è una regressione non troppo strisciante e così il calendario della riforma dell’ente intermedio torna indietro di vent’anni, dimenticando le valide ragioni che inducevano ad accelerare il processo di costruzione della Città Metropolitana e alla redazione del suo piano urbanistico.

Per avviare una riflessione sulle attuali vicende è necessario ricordare brevemente alcuni aspetti della storia degli ultimi decenni. All’inizio degli anni Cinquanta la cintura milanese è formata da comuni che hanno, salvo alcune eccezione tra le quali spicca Sesto San Giovanni, centro siderurgico di rilevanza nazionale, una modesta dimensione demografica e sono collocati all’interno di un paesaggio connotato ancora dall’agricoltura.

Diventati nei successivi vent’anni meta per decine di migliaia di immigrati dalle regioni meno ricche del Paese, subiscono una trasformazione fisica e sociale, come accade a Cinisello Balsamo – comune paradigma di questo fenomeno – che dai 15 mila abitanti del 1951 passa ai 77 mila abitanti del 1971.(2) Inizialmente cresciuti come dormitori per Milano,(3) questi comuni, impegnati inizialmente in una faticosa costruzione del necessario sistema di servizi pubblici, assistono e quasi sempre incoraggiano l’insediamento sul loro territorio di tante piccole e medie aziende e sforzandosi di governare il fenomeno con piani urbanistici redatti in un clima di emergenza, così che con il passare degli anni si riduce la loro dipendenza per il lavoro dalla città centrale, e a diventare, quando il rapido sviluppo del settore terziario allontanerà da Milano tante attività produttive, un naturale approdo per il loro reinsediamento.

Il panorama dei tempi recenti è quello di una Milano che, impegnata a ridisegnare lo skyline di alcuni suoi quartieri, abbandona ogni interesse residuo per un rapporto fattivo con gli altri comuni della metropoli per concordare le linee di un progetto di sviluppo e crescita unitario. Conseguenza inevitabile di questa scelta è un liberi tutti non contrastato dai deboli poteri della Provincia, che spinge i comuni minori, anche qui con poche eccezioni come quella di San Donato Milanese, sorta di porto franco dell’ENI, a rispondere alla progressiva chiusura di tante attività industriali accelerata dopo la crisi del 2008 con la trasformazione delle aree industriali in ambiti per la residenza o per l’insediamento di più o meno grandi centri commerciali, confidando in questo modo di arginare la crisi occupazionale e di rinsanguare gli esausti bilanci comunali.

Mentre Milano diventa sempre più attrattiva per il lavoro dei colletti bianchi, in gran parte dell’area metropolitana si chiudono le aziende dove lavorano i colletti blu, innescando un processo che provoca una grave crisi economica e occupazionale dei cui effetti devastanti avremo una chiara percezione quando si riuscirà a uscire dalla pandemia. La sensazione, corroborata da diversi elementi, è che Comune di Milano e di conseguenza la Città Metropolitana non siano adeguatamente attrezzati per affrontare i difficili anni che ci attendono, sensazione accresciuta dalla lettura delle relazioni del PGT di Milano e del Piano Strategico Metropolitano, documenti che procedono paralleli senza neppure accennare, sfidando l’ossimoro, a una possibile futura convergenza e all’interno dei quali è impossibile trovare indicazioni per un progetto urbanistico dai contenuti innovativi, improntato alla ecocompatibilità e, soprattutto, fondato sui dati reali che la condizione attuale ci consegna.

Da quanto è dato leggere sui giornali, dovremo aspettarci una campagna elettorale con dove sarà preminente il problema della periferia. In verità questo tema, come tanti altri di rilevanza locale e nazionale, viene regolarmente ripreso in occasione delle campagne elettorali e poi lasciato riposare; pochi elementi c’incoraggiano a ritenere che così non sarà anche in futuro, poiché in Milano, all’attivismo dimostrato dall’Amministrazione nel rapporto con i privati per l’edificazione degli ambiti indicati come strategici non sono corrisposti atti di una qualche rilevanza volti a incoraggiare e incentivare nella periferia la crescita di nuovi luoghi per il lavoro (innovativo, ecocompatibile, smart, ecc. ma soprattutto lavoro).

Ancora più vago su questo tema è il Piano Strategico della Città Metropolitana che, trattando di quelli che indica come Progetti Operativi per la pianificazione territoriale e la rigenerazione urbana, non fa cenno alla necessità di assistere e consolidare il settore produttivo. Anche nell’elenco dei 10 Progetti Strategici si sorvola sul problema dell’erosione delle zone artigianali e industriali e sui conseguenti effetti sull’occupazione, preferendo trattare di Incubatori metropolitani, di stakeholders, di Smart Land.

Le allarmate previsioni degli economisti, ampiamente riportate dalla stampa nazionale e internazionale, suggerirebbero, almeno per il momento, di riporre nel cassetto documenti come quelli citati, indubbiamente ben confezionati ma inadeguati a fornire realistiche proposte per affrontare l’attuale situazione e consiglierebbero di non dimenticare che, salvo poche e particolari eccezioni, la struttura urbana è sempre stata determinata dalle forme e dall’organizzazione del lavoro e che a loro sono legate le fortune e le sventure di città e regioni.

A riprova di questo osserviamo che in molti comuni dell’area metropolitana, a una crisi dell’occupazione dovuta anche alla chiusura di attività industriali piccole e medie è corrisposta un’analoga crisi del mercato immobiliare. Nel corso di un anno epocale come il 2020 è apparso con chiarezza come la resilienza di un contesto urbano sia determinata principalmente dalla coesione dei suoi comuni e dalla ricchezza e diversificazione delle forme del lavoro e dell’economia.

Ne consegue che eccellere in pochi settori e non affidarsi a un modello fondato sulla interazione delle diversità determina, in presenza di eventi gravi e imprevisti, un crollo repentino della qualità urbana. Anche a questo, piuttosto che a destino cinico e baro, dobbiamo imputare le cause della perdita del primato di Milano che scende, nel 2020, al dodicesimo posto nella classifica delle province italiane stilata dal Sole 24 Ore. Peggio accade alla provincia di Monza-Brianza che perde addirittura venti posizioni, scivolando al sessantunesimo, a dimostrazione di quanto fosse stata avventata la scelta di volersi provincia. (4)

Sussistono, dunque, fondate ragioni per passare da un’urbanistica consegnata quasi esclusivamente ai progetti di grande dimensione e di grande effetto mediatico a un’urbanistica che si fondai sulla ricerca, sulla raccolta paziente dei dati, sul censimento delle risorse, sull’aggiornamento puntuale e continuo di carte tematiche che raccontano della struttura del territorio. Perché non provarci, assegnando, tanto per cominciare, la funzione di banche dati costantemente aggiornate ai Nuclei d’Identità Locale individuati dal Comune di Milano?

Ancora, perché non affrontare il tema della mobilità e dei trasporti pensando alle trasformazioni prodotte dal Covid 19 sulle modalità del lavoro soprattutto nei settori terziario e direzionale? Non tanto per portare ulteriori e superflui contributi alla forse troppo enfatizzata discussione intorno allo smart working, quanto per ritrovare le fila di un ragionamento sul problema della mobilità, riflettendo anche su alcune obiezioni che all’avvio della progettazione del Passante Ferroviario vennero sollevate in ordine al suo essere poco passante e troppo metropolitana urbana, così da ridurne l’efficacia nei confronti di uno sviluppo del territorio pensato in chiave metropolitana e regionale.

Oggi più che mai si avverte la necessità è un’azione amministrativa che governi le trasformazioni urbane prestando maggior attenzione agli aspetti strutturali anziché all’effetto pubblicitario e che si ponga come principale obiettivo la rigenerazione del lavoro, anziché quella delle aree e degli immobili.

Un’azione concentrata su quegli ambiti industriali e artigianali che si sono svuotati o che rischiano di farlo, prestando a essi un’attenzione analoga a quella posta ai vuoti degli scali ferroviari. Non tutti, forse, hanno notato che da anni tanta parte delle trasformazioni di Milano è avvenuta e continua ad avvenire per forza di spostare: si sposta la Fiera e si liberano aree per nuovi edifici, si rende disponibile l’ambito occupato dall’Expo 2015 e si progetta lo spostamento di un importante pezzo di Università Statale liberando, così, un’altra grande area sulla quale, però, non si sa ancora cosa spostare.

Che dire poi delle virtù taumaturgiche attribuite agli eventi eccezionali? Nel 1990 i Campionati mondiali di calcio, con l’affannosa corsa ai nuovi alberghi (gli ultimi scheletri sono stati demoliti da non molto tempo); poi l’Expo, della cui eredità si è appena detto; adesso le Olimpiadi invernali del 2026, come occasione per riempire il vuoto dello Scalo Romana. Sorvolando, per amor di patria, sulla grottesca discussione relativa alla ricostruzione (?) dello stadio di San Siro, quasi si trattasse di edificare un novello Altare della Patria.

Quando Milano si convincerà che il proprio futuro è quello della Città Metropolitana e vorrà assumere l’impegno che compete a un primus inter pares per lavorare alla sua costruzione, anche gli altri comuni, qualcuno forse recalcitrando, si assoceranno all’impresa e capiranno che nessun’altra strada è percorribile per affrontare le sfide che ci attendono. Non possiamo nasconderci che l’impresa non sarà facile, in primo luogo per il livello di esasperata conflittualità raggiunto dai partiti tanto a livello nazionale quanto a livello locale, dove ogni elezione per il rinnovo dell’amministrazione comunale viene vissuto come una Crociata. In secondo luogo per la difficoltà di ripristinare un rapporto che non sia di vassallaggio tra Milano e i comuni della metropoli (qualcuno, prima o poi, si ricorderà dell’apologo di Menenio Agrippa?).

Per superare questi ostacoli sarà indispensabile produrre iniziative concrete, organizzando una task force che associ le strutture di ricerca comunali e sovraccomunali, gli Atenei, i centri e gli istituti di ricerca, anche privati, disponibili a impegnarsi in un progetto strategico per la Città Metropolitana. Un progetto non tecnocratico ma politico nel senso più profondo e civile del termine, di ampio respiro e di lunga prospettiva come tutti i grandi progetti urbanistici (non mancherà tra gli immaginifici amministratori comunali milanesi chi saprà trovargli un nome conveniente).

Un progetto che si faccia interprete, con responsabilità, impegno e passione, della necessità avvertita in tanta parte del Pianeta d’immaginare il nuovo mondo che uscirà della pandemia. Avvertiamo alcuni segnali positivi in questa direzione, come quello recentemente lanciato in provincia di Pavia da Assolombarda, che ha presentato un Piano Strategico per il rilancio del territorio finalizzato a “ridisegnare il ruolo di questo territorio all’interno della nuova geografia economica che si andrà delineando nel dopo la pandemia”(5). Scorgiamo, purtroppo, anche messaggi che non ci confortano, come quello trasmesso da A2A, azienda energetica per eccellenza della Lombardia che nei programmi pone ai primi posti il progetto e la realizzazione della smart city, e poi, per simboleggiare la propria immagine, si affida alla banalità dell’ennesimo grattacielo.

Soltanto alcune considerazioni su Regione Lombardia. In un contesto dove l’economia, la ricerca, la cultura, la produzione sono materia intima del paesaggio, dove le dinamiche dei metadistretti della produzione e dell’innovazione determinano le mutazioni dei territori, sarebbe impossibile pensare a un decollo della Città Metropolitana senza una convinta, e conseguentemente attiva, partecipazione della Regione, cui competerebbe avviare e promuovere ricerche e programmi di sviluppo (anche utilizzando al meglio l’IReR). Non sembra, purtroppo, la strada imboccata fino a questo momento: ne è testimonianza la legge promulgata un anno fa in materia di rigenerazione urbana.

Una legge più immobiliare che urbana, che non affronta il tema del recupero dei tanti ambiti industriali e artigianali dismessi ma che promuove la semplice sostituzione di edifici perlopiù industriali con nuove costruzioni che, è facile profezia, saranno prevalentemente residenziali. Tutto questo, ricorrendo a un termine calcistico, entrando a gamba tesa sulle competenze degli Enti Locali; non solo negando loro l’applicazione degli oneri di urbanizzazione deliberati (cosa che pare preoccupare più di altro l’assessore all’urbanistica di Milano) ma, soprattutto, consentendo agli operatori privati di ignorare le regole deliberate dai Comuni.

Sarebbe opportuno e utile un ripensamento della Regione, inteso a sanare il vulnus prodotto da un comportamento senza precedenti che ha suscitato legittime proteste e provocato una sorta di resistenza passiva da parte degli Amministratori comunali. Siamo consapevoli che non sarà cosa facile, alla luce della prova offerta dall’attuale governo regionale – non guidato da un Piero Bassetti – nella gestione dell’epidemia ma, anche se l’intelligenza induce al pessimismo, la speranza è sempre l’ultima a morire.

Elio Bosio

 

1) Dalmasso E. Milano capitale economica d’Italia Franco Angeli, Milano 1972

2) Istat, Censimento generale della popolazione, anni 1951 e 1971

3) Ormai un classico il libro di Franco Alasia e Danilo Montaldi Milano, Corea, meritoriamente ripubblicato dall’editore Donzelli.

4) cfr. Il Sole 24 Ore, Lunedì 14 dicembre 2020

5) https://www.assolombarda.it/media/comunicati-stampa/il-piano-strategico_pavia-verso-il-futuro



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.


Ultimi commenti