27 agosto 2020

POVERO BEETHOVEN…

Bene il pubblico, meno bene il direttore


Ho lasciato i miei lettori a luglio dopo aver commentato, negli ultimi numeri “regolari” di ArcipelagoMilano, le prime due serate della Beethoven Summer – l’integrale delle 9 Sinfonie e dei 5 Concerti per pianoforte e orchestra di B. programmata dall’Auditorium per i mesi di luglio e agosto – affidate a due pianisti direttori.

viola

Segnalavo anche che le serate successive sarebbero state condotte dal direttore stabile dell’orchestra al quale auguravo di «riuscire a tenere alta la guardia perché la ripresa post (?) Covid e la particolare arditezza del programma – in mezzo alla scarsità e alla povertà di offerta che caratterizza la fine di questa impossibile stagione musicale – capita in un momento magico che sarebbe un delitto sprecare».

Appena rientrato dalle ferie, dunque, con grande curiosità mi sono precipitato alla penultima serata dell’integrale in cui si sarebbero eseguite l’Ottava e la Quinta Sinfonia (la Nona chiuderà il ciclo con un concertone al Castello Sforzesco).

Tre anni fa l’orchestra Verdi aveva realizzato, concentrandole in sole cinque serate molto ravvicinate (fra il 6 e il 19 luglio), l’integrale delle nove Sinfonie beethoveniane, e di esse scrissi che erano «risultate piuttosto scialbe». «L’orchestra sembrava frenata, opaca; trionfava inesorabilmente il metronomo mentre mancava il respiro e la visione d’insieme dell’opera». E aggiunsi: «Una cosa però non può essere taciuta. Eseguire le Sinfonie di Beethoven per la milionesima volta (forse di più), per giunta in una città come la nostra che non è certo sprovveduta, o lo si fa al massimo livello oppure non lo si deve fare. A fine stagione, nel mese più caldo dell’anno, con un rapporto non ancora stabilizzato con l’orchestra, l’integrale delle nove sinfonie in quattordici giorni non è stato un azzardo eccessivo?».

Andando l’altra sera al concerto mi attendevo – dopo tre anni di rapporto stretto fra direttore e orchestra, dopo un lungo periodo di riposo (ancorché forzato a causa dell’odiosa pandemia), con i tempi disponibili per le prove molto più ampi di allora (un programma la settimana), un repertorio che dovrebbe essere pane per i denti dell’orchestra e del suo direttore – un’esecuzione esemplare ed entusiasmante. Le cose purtroppo non sono andate così.

Fin dalle prime battute dell’Ottava, che Beethoven definì amorevolmente “la mia Piccola Sinfonia”, si è intuito che non era stato colto lo spirito fresco, innocente, cordiale, giocoso, di questa specialissima opera 93, in fa maggiore, che Arnold Krug (autore del noto “Premio Sextet”) ha chiamato la “Sinfonia del buon umore” e che Sir George Grove (autore dell’opera “Beethoven e le sue nove sinfonie” e direttore dal 1882 al 1894 del Royal College of Music) – ha spiegato come “… un cuore di bambino racchiuso nel petto di un uomo” (Beethoven aveva quarantadue anni quando l’ha scritta, nel 1812).

Con la mano sinistra esclusivamente impegnata a voltar le pagine della partitura, e quella destra freneticamente e meccanicamente tesa a ritmare il tempo, come ossessionato dal metronomo, il direttore non prendeva mai fiato, si rifiutava a ogni morbidezza, dava scarsissimo peso al fraseggio e non sottolineava il senso dei contrapposti e dialoganti temi della forma-sonata. I quattro movimenti della sinfonia venivano eseguiti uno di seguito all’altro, senza la minima pausa, sconcertando l’ascoltatore che stentava a capire l’improvviso cambio di tempo e di tonalità. (Può darsi che così usasse ai tempi di Beethoven, ma la sensibilità con cui oggi ascoltiamo le sue sinfonie ci fa rifiutare questa continuità salvo alcuni casi – normalmente limitati alla connessione fra il terzo movimento e il finale – in cui diventa quasi obbligatoria).

Con la Quinta, la Sinfonia più eseguita e più universalmente conosciuta di Beethoven, quella che più di ogni altra ne esalta la “volontà di potenza”, nulla è cambiato: stessa mancanza di respiro (la musica deve respirare come quando si leggono i versi di una poesia o come sa fare il bravo attore quando recita a teatro), stessa ossessione … metronomica, stessa assenza di “visione” (proprio la visione è la cifra di quest’opera che inizia nella drammatica/tragica tonalità del do minore e si conclude nel radioso/solare do maggiore come a significare che si possono e si devono vincere le avversità che pone il destino!).

Qualcuno in sala ha osservato che la modestia di queste esecuzioni poteva essere causata dal numero ridotto dei professori di orchestra (un terzo della grande orchestra moderna) reso obbligatorio dalla disposizione per il contenimento della pandemia. Ma abbiamo già osservato che ai tempi di Beethoven le orchestre avevano proprio queste dimensioni, e che il minor numero di strumenti dovrebbe indurre a una maggiore cura di particolari e dettagli, addirittura facilitare l’analisi critica del testo e la cura del suono. Perché questo non è successo?

Azzardo una spiegazione: non avere le nove Sinfonie di Beethoven a memoria e dover stare con gli occhi incollati alla partitura è a dir poco singolare (Claudio Abbado sosteneva di sentirsi in obbligo di mandare sempre a memoria le partiture per non essere distratto dalla loro lettura durante l’esecuzione; anche Richter aveva sempre lo spartito sul leggio, ma si dimenticava di voltarne le pagine perché lo voleva solo per scaramanzia!) e può darsi che questo abbia creato un problema; certamente non si possono addebitare responsabilità all’orchestra che invece, pazientemente e con grande professionalità, ha tenuto botta ed è riuscita a non presentare alcuna smagliatura.

Un plauso speciale va invece al pubblico dell’Auditorium, sempre felice e soddisfatto, mai un buh (che forse non si usa più, sarà considerato maleducato), raramente qualcuno lascia la sala prima del congedo dell’orchestra. Un pubblico generoso, fedele ed entusiasta, che ha adottato come beniamini tutti i professori della “sua” orchestra (che gode ad applaudire singolarmente, a mano a mano che essi vengono indicati dal direttore) e che, lungi dal criticare l’esecuzione, ringrazia tutti per l’impegno e per la fatica profusi. Fantastico! Ma se un ascoltatore (fosse anche impertinente!) avesse un atteggiamento più severo degli altri, gli è riconosciuto il diritto al dissenso, e magari anche al mugugno?

Paolo Viola



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  1. eduardo szegoChe piacere Paolo leggere i tuoi commenti ai concerti, soprattutto per me attento e appassionato della buona musica ma "non addetto ai lavori", e per questo sempre col timore reverenziale di non aver capito bene, o di essere troppo severo. E invece mi ritrovo sempre nelle tue analisi, come questa sulle esecuzioni delle sinfonie di Beethoven, pura operazione di marketing di basso profilo, contando sul fatto che il 95% del pubblico applaude qualunque cosa comunque eseguita, il restante 5% è troppo educato per dissentire apertamente, e un'integrale di Beethoven, sinfonie e concerti per solista e orchestra, sono l'ideale per soddisfare quel 95% a cui basta un pò di melodia orecchiabile. Finalmente, e ho già avuto occasione di dirtelo personalmente, possiamo leggere un critico musicale raffinato, attento al dettaglio, dotato di un ricco archivio mentale di esecuzioni quelle sì magistrali, e soprattutto libero da condizionamenti di qualsiasi genere, localistici in particolare, che queste cose le dice. Condivido tutto quanto hai scritto anche se non ero presente questa volta (e lo sarò sempre meno ormai memore dei limiti non colmabili di questo Direttore stabile). Voglio aggiungere una chicca di aneddoto a quanto hai già ricordato del grande Abbado circa la direzione a memoria, senza spartito davanti: ebbene a chi gli chiedeva come mai la quasi totalità dei Direttori, al contrario suo, dirigeva con lo spartito davanti, rispose " forse perchè non hanno studiato abbastanza"! Al piacere di continuare a leggere le tue illuminate critiche, ti saluto con viva cordialità Eduardo Szego
    2 settembre 2020 • 13:38Rispondi
  2. isabellaMi fa piacere non essere la sola ad aver avuto questa sensazione di scarso impegno... Cito da un commento inviato ad un'amica dopo la serata con I concerto e VII sinfonia: "Pianista supertecnico, ma senza spina dorsale. Direttore moscio. Seconda parte, un po' meglio. Partenza sottotono con movimenti lenti, e un po' confusi. L'orchestra si riappropria del 3° e 4° movimento, più travolgenti. Forse hanno suonato come altre volte, senza badare troppo al direttore". Insisto a frequentare l'auditorium come gesto di amore verso la musica (almeno c'è "la Barocca"); ma a volte è dura...
    2 settembre 2020 • 15:05Rispondi
  3. Alberto Di BelloGrazie all'esimio critico che dall'alto della sua nullità ha concesso graziosamente il plauso al pubblico dell'Auditorium.
    3 settembre 2020 • 20:50Rispondi
  4. Paolo ViolaNon sapevo che il mio amato pubblico dell’Auditorium avesse, oltre alle qualità che ho descritto nell’articolo, anche quella di farsi proteggere da chi ha più dimestichezza con l’insulto che con la critica. Ma sarà una protezione desiderata, o almeno benaccetta?
    5 settembre 2020 • 18:46Rispondi
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