2 luglio 2020

INFORMAZIONE SUI SOCIAL: LIBERI TUTTI?

La linea sottile tra libertà di esprimersi e libertà di odiare


Le dichiarazioni dello psichiatra Raffaele Morelli su Rtl102.5 hanno sollevato quello che ormai si usa chiamare "polverone social-mediatico", suscitando reazioni negative in moltissimi utenti, scioccati dal sessismo delle parole di Morelli. Prima che si gridi alla "dittatura del politicamente corretto" però, è bene fare qualche precisazione.

LaBionda1

L’avvento dei social-media e la popolarizzazione del loro utilizzo per diffondere notizie sta condizionando la qualità e la quantità di informazioni che l’individuo è in grado di ricevere, dando la possibilità a voci narrative differenti di poter esprimere il loro consenso, ma soprattutto il loro dissenso, rispetto a vari fatti di cronaca. Di fronte a tale cambiamento c’è chi, in buona fede o forse no, è oramai convinto che ci troviamo immersi in una pericolosa “dittatura del politicamente corretto” dove la libertà d’espressione sarebbe stata messa a repentaglio.

Non è così. Non ci sono dittatori ad imporci questo o quel modo di esprimerci; abbiamo solo a che fare con un nuovo sistema di comunicazione mediatica. I media “di una volta” – stampa, cinema, radio, televisione -, fornivano informazioni alla popolazione nella sua quasi totale interezza, ma le fonti da cui queste comunicazioni venivano trasmesse erano gestite tramite un sistema ancora gerarchico.

In parole povere: le persone poste nella possibilità di diffondere notizie attraverso i mass-media erano – e ancora sono – scelte secondo sistemi di organizzazione come le redazioni, la dirigenza delle aziende di telecomunicazione e via discorrendo, che si permettevano, e tuttora lo fanno, di selezionare certe voci anziché altre, in maniera mai del tutto ingenua. Un individuo qualunque non poteva servirsi, ad esempio, della televisione per comunicare fatti di cronaca secondo il suo determinato punto di vista.

Si può dire che la libertà di espressione ci fosse, ma che certe espressioni, strategicamente scelte, avessero una risonanza enormemente maggiore. Con i social-media, invece, ogni singolo individuo ha, quantomeno in potenza, la stessa possibilità di un giornalista di comunicare agli utenti del web i suoi propri contenuti, perché la struttura di diffusione dei contenuti nel web non è gerarchica: è reticolare.

Dal momento in cui ogni individuo ha libertà “social-mediatica” di espressione, ogni voce può diffondersi all’interno della rete ed espandersi sempre di più, trasformandosi da crepa in voragine. Certo, gli algoritmi dei social-network favoriscono i contenuti più comuni e dominanti, molto simili a quelli che hanno dominato i media fino ad adesso, perché queste voci sono ancora le più popolari in circolazione, ma esiste oggi la possibilità di creare e ascoltare voci narrative differenti, che possono diventare rilevanti con l’appoggio degli utenti.

Ecco com’è possibile che, in una sola settimana, si sollevino così tanti polveroni social-mediatici: spesso personaggi noti fanno affermazioni in TV o alla radio, che causano poi migliaia di commenti, post, etc. sui social-media. Proprio questo è successo con le dichiarazioni dello psichiatra Raffaele Morelli.

Il 24 giugno la redazione di RtL102.5 ha pubblicato su Twitter l’aforisma di Françoise Sagan Un vestito non ha senso a meno che ispiri gli uomini a volertelo togliere di dosso e ha poi ricevuto una serie di critiche e insulti – gli insulti sono sempre da condannare – da utenti di Twitter indignati. Ma se RtL102.5 aveva fino a quel momento solo pubblicato un mediocre aforisma di cattivo gusto, la radio è riuscita a peggiorare la situazione invitando come ospite lo psichiatra Morelli, famoso per essere uno psichiatra da salotto più che per essere brillante nel suo mestiere.

Nel giustificare l’aforisma, Morelli ha sostenuto che il principio fondamentale della psiche di una donna sia quello di apparire sessualmente appetibile allo sguardo maschile, per strada, anche se si è avvocati, medici o altro. Ecco, se questa fosse stata una battuta, atta ad enfatizzare il ridicolo di tale affermazione, sarebbe stata un grande esempio di black humor. Peccato che Morelli non stesse scherzando, era serissimo, e ha colto l’occasione di essere lui il ridicolo in persona.

Ora, Morelli nel suo intervento a RtL102.5 non ha sostenuto le sue parole con fondamenti psichiatrici, anche perché la psicologia e la medicina hanno ormai fatto enormi passi avanti, fortunatamente, e, come ha tenuto a sottolineare l’Ordine degli psicologi della Lombardia sul suo profilo Facebook ufficiale, da circa 50 anni è ormai acclarato che le differenze individuali (per esempio nei gusti, nei comportamenti, nel modo di pensare e di vivere) sono generate dal contesto socio-culturale più che dal sesso di nascita e Visioni e teorie che pretendano di assegnare ruoli, funzioni e interessi in ragione del sesso biologico sono da considerarsi ormai superate e non sono in grado di spiegare grandi differenze presenti tra gli individui dello stesso sesso biologico, aggiungendo infine che:L’Ordine degli psicologi della Lombardia considera lesivo della dignità delle persone suggerire che esiste una sola forma di autorealizzazione per le persone che appartengono a un determinato genere.”1

Non sono tardate ad arrivare le critiche di personaggi pubblici del mondo del web sconcertati dall’accaduto, che hanno ribadito come l’esistenza e il valore di una donna sia concepibile anche al di fuori del desiderio e dell’approvazione sessuale maschile. Non siamo oggetti.

In molti si sono sentiti feriti da queste affermazioni e hanno avuto modo di esprimere il loro dissenso attraverso i social-media, dissenso comune a così tante persone che è riuscito a creare il cosiddetto polverone social-mediatico. Ma c’è stato anche chi ha giudicato le critiche a Morelli come eccessive, affermando che “ora non si possa più dire niente”.

Ciò che non comprende chi afferma che “ora non si possa più dire niente”, è che ai discriminati non sia mai piaciuto essere discriminati: alle donne non è mai piaciuto essere relegate a oggetto sessuale dopo anni di faticosa autodeterminazione, così come agli afroamericani non è mai piaciuto che la schiavitù fosse romanticizzata dal cinema. Semplicemente ora queste persone, come tutti gli altri, hanno strumenti per far sentire il proprio dissenso, ormai troppo rumoroso per essere ignorato. I social-media ci danno oggi l’impressione che tutto, dissenso e consenso, sia amplificato; ma se Morelli avesse detto le sue castronerie 20 anni fa, le persone si sarebbero indignate tanto quanto: solo, non c’era Twitter.

È quando una critica passa dall’essere ragionevole all’essere un’offesa che nasce il problema, perché non si parla più di dissenso, bensì di odio, il vero nemico da combattere per rendere il web un posto più piacevole da navigare.

Il fenomeno dell’odio online pervade ogni filo della rete di internet, non conosce distinzioni di appartenenza politica, razza, genere o religione, e va condannato, sempre. Bisogna però non dimenticare mai che le prime vittime sono anche in questo caso le fasce di popolazione marginalizzate.

Basti pensare al “revenge porn“, fenomeno che in Italia ha recentemente visto come protagonisti oltre 40.000 maschi, che si scambiavano contenuti pornografici di donne e bambine, ovviamente senza che la condivisione di tali foto e video fosse consensuale, per poter mettere in scena rituali di stupri collettivi online. Numerosissimi sono anche i casi di odio online a sfondo omofobo e razzista.

Chi non lo vede è in malafede. Non si può e non si deve paragonare la libertà di esprimere dissenso con l’incitamento all’odio. Per questo sono la prima a condannare l’odio anche quando si scaglia contro le persone che non stimo. Sarei la prima a difendere Morelli se dovesse ricevere minacce di morte – nessuno vuole fare a gara a chi sta messo peggio in rete -, ma è una precisazione, quella che ho appena fatto ribadendo la gravità della condizione dei discriminati online, necessaria da fare nel momento in cui la libertà di espressione viene semplicemente usata come strumento retorico.

Ora che è finalmente anche nelle mani di chi è stato in silenzio per secoli, questa libertà di espressione fa paura a chi non riesce a distinguere la libertà di odiare dalla libertà di replicare. Ad essere veramente in pericolo è la comodità di pensare che le proprie azioni non abbiano conseguenze e che il pensiero dominante sia l’unico esistente, privo di contestatori.

LaBionda2Tranquillizzo chi è terrorizzato dalla fantomatica dittatura del politicamente corretto: i tanto temuti “nuovi contestatori” sono molto più a favore della libertà di espressione di quanto lo sia chi ha determinato il punto di vista della narrazione dominante dei media, perché ci si rende conto di quanto sia prezioso un valore solo se si ha sperimentato cosa significhi non poterne usufruire. Cremonini ha la libertà di dichiarare che ribattezza una persona perché la paga e quindi può farlo (mi sto riferendo alle sue affermazioni del 23 giugno durante la trasmissione “E poi c’è Cattelan” su SKY), ce l’avrà sempre, ma questa stessa libertà non può essere negata neanche a chi invece vuole far notare, sempre con educazione, quanto questa affermazione sia classista. Ciò che cambia per Cremonini è che ora dovrà affrontare le conseguenze delle frasi che ha detto in diretta nazionale.

Spesso le persone che più urlano alla libertà di espressione, senza sapere a cosa si stiano realmente riferendo, sono diffusori di odio online che non muovono un dito quando a essere messo a tacere è chi non va loro a genio, omofobi che guardano dall’altra parte quando le statistiche testimoniano loro che c’è una considerevole possibilità che una coppia omosessuale rischi di essere pestata a sangue se esprime il proprio orientamento sessuale in pubblico.

Insomma, libertà di espressione, il principio più importante da difendere, ma unicamente se a essere messa a repentaglio è la possibilità di continuare ad odiare. E questo, sia chiaro, vale per ogni fazione.

Maria Sofia La Bionda

1 vedi post Facebook dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia



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