24 giugno 2020
5G UN PERMESSO MAI DATO
Nessuno ci ha chiesto se eravamo d’accordo
Nessuno mi ha chiesto il permesso, nemmeno un parere. E a nessuno è stato chiesto. Parlo del permesso di irradiarmi, di irradiare tutti con il 5G e di modificare nel contempo l’impianto della società, mediante l’implementazione di una tecnologia decisamente invasiva, non soltanto per via delle radiazioni. Il 5G è una tecnologia totalizzante, ideale per i totalitarismi esistenti o futuri.
Nessuno mi ha chiesto il permesso, nemmeno un parere, per quanto riguarda il mio cosiddetto “futuro”. Le Telco, i governi, le istituzioni sovranazionali danno per scontato che tutti debbano essere d’accordo, che tutti debbano essere convinti, o perlomeno che tutti debbano adeguarsi, secondo un diktat che si ammanta delle “magnifiche sorti e progressive” del presunto avanzamento tecnologico, perché la linea tracciata sarebbe ineluttabile.
La linea, però, non è ineluttabile: è il frutto di scelte precise, dettate da interessi economici che si traducono in imperativi politici.
Nessuno mi ha chiesto il permesso, nemmeno un parere, per quanto riguarda la prospettiva di trasformare tutto, dai modi di produzione alla mobilità, dallo svago alla comunicazione interpersonale, tutte cose che il 5G promette di cambiare, anzi di rivoluzionare, automatizzando le fabbriche, rendendo superflui gli autisti, accrescendo la dipendenza sociale da schermo, con conseguente istupidimento generale, senza dimenticare che con la diffusione della cosiddetta intelligenza artificiale perfino i controlli di polizia potrebbero fare a meno degli agenti.
Con il 5G non è solo in gioco la salute di tutti, ma anche alcune delle caratteristiche che fanno di ognuno di noi un portatore di prerogative umane e sociali. Dobbiamo capire che la spinta all’installazione delle reti 5G e la conseguente diffusione di dispositivi collegati è un attentato ai diritti umani.
La vulnerabilità dell’individuo e delle società evidenziata dall’epidemia Covid-19 avrebbe dovuto comportare una maggior consapevolezza, una maggior umiltà nei confronti del creato e delle sue leggi, quelle sì immutabili, ma temo che il meccanismo sia inverso. La diffusione del coronavirus ha dato ulteriore slancio agli appetiti legati alla diffusione di tecnologie digitali e soprattutto al paradigma “tutto wireless”, come se non ci fossero limiti all’accrescimento della connettività e della ricchezza. Mi riferisco all’arroganza sconfinata dell’uomo nei confronti dell’ecosistema. Proprio la diffusione del virus Sars-Cov-2 ha reso ancor più evidente che non possiamo estendere all’infinito la depredazione delle risorse naturali. E la connettività via onde radio non è un bene, non è innocua; non possiamo dilatare all’infinito lo snaturamento dei rapporti personali e delle attività umane.
L’ecosistema planetario non è una variabile da evocare elegantemente al bisogno, il suo funzionamento si basa su equilibri da rispettare categoricamente; spingere sulle tecnologie basate sulle radiofrequenze nel preciso intento di accrescere il controllo autoritario su individui e gruppi cozza con elementi fondanti dell’essere umano, dei tessuti sociali e dell’equilibrio del nostro pianeta.
La digitalizzazione forzata di quasi tutti gli aspetti della vita umana configura un’imposizione per la quale, ripeto, non mi è stato chiesto il permesso. E invece, per questo come per altre cose, il mio permesso è imprescindibile, in uno Stato di diritto (e, chiariamoci, io non do il mio permesso). Quando dico “mio” non mi riferisco solo a chi scrive ma anche a chi legge queste righe.
Subire passivamene l’imposizione del 5G comporta accettare l’oscuramento dei diritti umani (indisponibili, non li possiamo barattare per nulla al mondo!). Questo è il momento di difendere la nostra dignità umana, non possiamo accettare di tornare al feudalesimo.
Diego Símini
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