15 maggio 2020

UNA DEBOLE STRATEGIA PER LA MILANO POST COVID-19

Uno straordinario mix tra pie illusioni, utopie e scarsa conoscenza della realtà


Ripensare e riprogettare la mobilità in città non deve essere l’obiettivo di trovare visibilità sui media ma frutto di un attento ripensamento generale su chi viene in città e sui limiti della mobilità in bicicletta. Guardare alla realtà.

camagni

Il documento Milano 2020 – Strategia di adattamento appare come una congerie di buoni propositi non assistita da un sufficiente rigore scientifico e tecnico e con una visione urbanistica oltremodo ristretta.

Da quest’ultimo punto di vista è stridente l’enfasi data ad “incrementare drasticamente mezzi di mobilità individuali quali la bicicletta, monopattini e motoveicoli elettrici” in una città che, come Milano, è al centro di un’area urbana di sette milioni di abitanti (come riconosce il PGT; Eurostat ne considera 5,1 milioni, ma nulla cambia) con un raggio di mobilità pendolare che origina anche da 50 chilometri dal centro. Ben più di un milione di spostamenti giornalieri difficilmente riconducibili a questi mezzi, adatti a percorsi relativamente brevi.

Come si può pensare che questi possano usare tutti la bicicletta, giovani e anziani, ma soprattutto, come si possono dimenticare le loro esigenze e i loro problemi? Questo è ancor più sconcertante dopo che la legge Delrio ha attribuito al Sindaco del capoluogo la responsabilità su tutta la Città Metropolitana, compresa la mobilità dei suoi cittadini.

Penso che tutti si rendano conto che la riduzione della capacità dei mezzi pubblici comporterà un maggiore utilizzo del mezzo proprio: un netto passo indietro, ma inevitabile in un’area urbana così vasta e sicuramente temporaneo.

Sembra invece che si voglia, anche in questa situazione eccezionale e provvisoria, continuare con il contrasto all’uso dell’auto, contrasto che genererà congestione e soprattutto disparità di trattamento fra i cittadini milanesi (segnatamente quelli che non abitano troppo in periferia) e i cittadini dell’area urbana milanese-lombarda. Quelli che con il loro lavoro rendono ricca Milano, ma che vengono sempre dimenticati.

Sul piano urbanistico stride anche l’invito a “riscoprire la dimensione di quartiere (15 minuti a piedi) accertandosi che ogni cittadino abbia accesso a pressoché tutti i servizi entro quella distanza”, dopo che i cittadini hanno visto, anno dopo anno, chiudere la gran parte dei negozi di vicinato, strangolati dai grandi centri commerciali lasciati proliferare ai margini della città.

Sarà in grado il Comune di farli riaprire?

Ma quello che appare più debole è l’approccio alle zone 30, le piste ciclabili, le pedonalizzazioni, gli stazionamenti, ovvero la parte importante del disegno della città per gli anni a venire, già trascurata da troppo tempo.

La tecnica internazionale (i) sedimentata da decenni e oggi ignorata a Milano, ma estesamente e da tempo applicata in tutta Europa, ha definito in modo scientifico come debba essere pensata la città a 30 all’ora.

Si deve innanzitutto definire la rete portante, quella destinata agli spostamenti di lunga distanza e interquartiere, che deve essere fluidificata (non velocizzata); all’interno delle maglie di questa rete vanno perimetrate le zone degli spostamenti di destinazione alle residenze ed alle attività, da cui bandire il traffico di attraversamento e da assoggettare al limite dei 30 chilometri all’ora.

Le zone 30, però, non possono essere realizzate inserendo solamente i cartelli di limite di velocità, devono tassativamente essere realizzate con modifiche della carreggiata (all’ingresso “castellane” – ovvero rialzi della carreggiata -, poi deviazioni di asse, parcheggi a pettine, ecc.) in modo da rendere effettivo il mantenimento della bassa velocità, soprattutto, evitare incidenti che altrimenti potrebbero essere causati dalla sensazione di falsa sicurezza dei pedoni e dei ciclisti.

Una pianificazione precisa e strategica, che contraddice il criterio approssimativo della “realizzazione diffusa”, e che utilizza una tecnica efficace e ormai definitivamente consolidata, sempre che la si voglia seguire. Un primo esempio di questo tipo è già stato realizzato in passato a Milano, in un quartiere adiacente al fascio binari della Stazione Centrale, dove l’incidentalità è stata azzerata.

Non a caso il Piano Urbano di Traffico del 2003 prevedeva di organizzare tutta la città su 98 “isole ambientali”, ovvero zone 30, inserite all’interno della rete di scorrimento, ma, dopo i primi progetti e la nuova amministrazione, tutto è rimasto lettera morta.

Secondo questa tecnica, motivi di sicurezza impongono che le piste ciclabili, al di fuori dalle zone 30, ove la bicicletta è privilegiata, debbano essere realizzare in sede propria o, comunque, non sulla rete di scorrimento.

Invece oggi a Milano vediamo zone 30 realizzate con soli cartelli anche su una strada di 10 metri di larghezza (come il caso di Via Borgogna) e senza alcuna gestione della carreggiata.

Mentre ora si sta tracciando una pista ciclabile su un itinerario chiaramente di scorrimento interquartiere e intercomunale come Corso Venezia, Buenos Aires, V.le Monza.

Sono sicuro che si sarebbe potuto trovare un itinerario più sicuro su strade parallele meno trafficate e più facilmente assoggettabili a una diversa e più efficace regolazione, anche passando attraverso i parchi.

A meno che l’obiettivo non sia soltanto la competizione con la circolazione delle auto. Competizione invero pericolosa, soprattutto per le immagini che ci mostrano una pista pedonale interposta tra quella ciclabile e il traffico automobilistico, cosa mai vista e preoccupante.

Non commento l’eliminazione di posti auto per dare spazio ai dehors degli esercizi pubblici, associate ad un bando per trovare ulteriori parcheggi su spazi privati messi a disposizione del Comune; quando la fobia degli anni passati ha eliminato più di cento parcheggi per residenti, già convenzionati e prenotati, che avrebbero eliminato dalle strade circa 25.000 auto, dopo di che si sarebbero aperte maggiori possibilità per pedonalizzazioni, zone 30 e ciclabili (anche questa è una tecnica più che diffusa e consolidata in tutta Europa; non c’è bisogno di andare a Madrid, Barcellona o Lione, basta andare a Lugano).

Cosa dire, poi, delle “pedonalizzazioni temporanee”?. A Milano servono molte ed estese pedonalizzazioni (non singole piazze, o spizzichi e bocconi) ma vanno ben progettate ed essere definitive, conformi alla tecnica internazionale prima citata, e guidate da una ben precisa strategia urbanistica.

Perché non iniziare dalla riapertura dei Navigli, intervento strategico che trasformerà completamente la qualità ambientale del centro, consentendo ulteriori interventi di miglioramento ecologico? E con essa la riapertura del reticolo idrico minore, che sarà elemento essenziale per la decarbonizzazione dei riscaldamenti tramite pompe di calore, più definitiva e forse più urgente della decarbonizzazione dei veicoli.

Il Sindaco vuole riproporre le auto elettriche, ma molti cittadini (quelli non a reddito fisso: artigiani, commercianti, professionisti, lavoratori dei servizi) si ritroveranno assai impoveriti e in difficoltà economiche.

Siamo davvero sicuri che questa popolazione vorrà rottamare le proprie auto per acquistarne di elettriche assai costose e dall’autonomia limitata (per le quali la maggioranza non possiede lo spazio necessario per la ricarica)?

Intanto su Arcipelagomilano del 9 aprile l’articolo di Gianluca Gennai ci ha mostrato che nei giorni scorsi, con traffico quasi assente, le polveri sottili sono ugualmente aumentate ad alti livelli. Una moratoria, anche breve, delle fughe ecologiche in avanti sarebbe preferibile.

In tutto ciò resta il preoccupante dubbio che Milano voglia parlare e agire soprattutto per i suoi cittadini più giovani, abbienti e residenti nelle parti più centrali della città e resti muta per gli altri e per i tanti milanesi di fuori Milano.

Giorgio Goggi

I A partire dal “Chicago Area Transportation Study” del 1961, poi “Traffic in Towns” di C. Buchanan del 1963, le esperienze olandesi dei woonerf degli anni ’80, e, ultimo in ordine di tempo “Progettare il Traffico” di G. Corda, del 2006.



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


  1. walter moniciCaro Giorgio, concordo in tutto tranne che sulla necessità di opere specifiche per le zone 30. Lo so che questa è la prassi comune ma siamo sicuri che sia sostenibile economicamente? Voglio dire che ci si obbliga a costi rilevanti e sopratutto a tempi infiniti di realizzazione. A Parigi mi sembra che abbiano scelto la via opposta: segnale di zona trenta e " sens interdit sauf velo" e basta e a questo ritmo hanno messo a 30 tutta la città in tre mesi. E poi perchè spendere un sacco si soldi pubblici e rovinare il disegno stradale e lo smaltimento delle acque superficiali per convincere un automobilista a rallentare. L'automobilista rallenta quando vede bici davanti dietro e di fianco e capisce che deve condividere la strada di cui non è il padrone assoluto. Di fronte poi alla tragicomica mania dei progettisti nostrani di cordolare, indirizzare, frecciare e tabellare all'inverosimile, preferirei quei modelli di mobilità condivisa che prevedono invece la totale assenza di segnaletica e divisione del traffico come avviene in Germania e in fondo anche a Napoli ed entrambe le esperienza ci confermano che riducono grandemente gli incidenti e le conseguenza gravi. Qui invece la divisione ossessiva delle corsie da alle auto e alle moto la possibilità di accelerazioni e velocità pericolose e ne è testimonianza l'aumento dei morti in città tra gli utenti di mezzi a due ruote e pedoni. In questi tempi di Coronavirus e strade deserte abbiamo visto auto sfrecciare per milano come a Montecarlo quando c'è il gran premio. Per questi motivi la mia proposta pubblicata su Arcipelago e che ti segnalo, https://www.arcipelagomilano.org/archives/55908, chiede invece di portare a 30km la velocità in tutta la città per i prossimi tre mesi. Ps, il titolo lo ha fatto Luca Beltrami e lo ringrazio, io non sarei mai stato così ottimista. Saluti cordiali Walter Monici
    25 maggio 2020 • 10:15Rispondi
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.


Sullo stesso tema





16 maggio 2023

UN RICORDO DI LUIGI MAZZA

Gabriele Pasqui



21 marzo 2023

NOTTE FONDA SUI SERVIZI A MILANO

L'Osservatore Attento



9 novembre 2021

QUANTO TRAFFICO C’E’ A MILANO?

Giorgio Goggi



9 novembre 2021

MOBILITA’ IMPAZZITA, COLPE DI TUTTI

Ugo Savoia





Ultimi commenti