2 maggio 2020
DOPO LA “MOLTITUDINE DEL BENESSERE”
Tra la “fase 2” dell’urbanistica e una favola
2 maggio 2020
Tra la “fase 2” dell’urbanistica e una favola
“Canzone, io t’ammonisco…”1 In questi giorni di quasi immobilità forzata faccio spesso un percorso di circa 600 metri lungo la via Gozzadini – via di dignitosi edifici a villetta su un lato, e con grandi spazi aperti tra i padiglioni dell’Ospedale Don Gnocchi dall’altro -, fino alla via Pessano. Questa è bella e gioiosa strada, ampliata da un largo controviale alberato, quasi un giardino, che lungo tutto il suo tratto di 280 metri è bordato da un basso edificio giallo, con falda in ardesia, rallegrato da una successione di finestrelle quadrate.
Da questo edificio è delimitata, su via Pessano, un’area grosso modo trapezoidale di circa 28.000 mq occupata da parte delle ex scuderie appartenenti, e come questo dismesse, al sistema del Trotter S.Siro, dalle cui scuderie principali è però separata dall’asse trafficato di via dei Rospigliosi (un lungo asse est-ovest che diverge dall’andamento nord-est/sud-ovest dei tracciati più antichi, come la dolce via Novara – un’altra malefatta del piano Albertini).
A nord su quest’asse, così come sul tratto a ovest sulla via Capecelatro e su piazzale Axum, l’area allinea una serie continua di casettine a chalet che si succedono per più di 300 metri, e si concludono con una più grossa villetta sempre in stile chalet che, dopo un breve scarto, chiude perpendicolarmente il tracciato sulla via Pessano. All’interno dell’area, chiusa attraverso un cancelletto si intravedono altri piccoli edifici dello stesso stile, tra begli alberi e sterpi.
Sarà la primavera, con le vivide macchie bianche e gialle nei prati, sarà quest’aria pulita e leggera e le strade silenziose con le macchine ferme accanto ai marciapiedi, ma questo spazio mi appare come un piccolo villaggio che conserva, pur nel suo attuale abbandono, tutto il sapore di un luogo operoso, che odora di fieno e di letame, e mi provoca una improvvisa, cocente nostalgia per la campagna. E mi evoca ricordi fiabeschi, con voci e visi di bambini affacciati alle finestrelle di una loro conquistata piccola città, come nella storia del Gigante Egoista o nelle filastrocche di Rodari; e ci sono anche quei bambini che così spesso incrocio nelle strade del vicino quartiere, bambini con occhi pazienti e attoniti che seguono la madre nel suo girovagare, una mano sul passeggino o al fratellino maggiore …
Ma mi prende all’improvviso un sussulto di sdegno nel ricordare le recenti vicende del Trotter e di come una decina di anni fa la società che lo possedeva fin dal 1925 – quando con l’appoggio di Mussolini aveva acquistato l’area e costruito l’impianto accanto all’ippodromo completando la cosiddetta “Cittadella dello Sport” – ne avesse decisa la dismissione.
L’operazione era parte di un vasto piano, che si collegava agli altri vasti piani di Expo e del Canale Navigabile ma, nello specifico, ceduta l’area attraverso complesse operazioni finanziarie a una potente società immobiliare e avviate trattative col comune per la modifica della sua destinazione d’uso, rendeva edificabili più di 100.000 metri quadrati che, tolto di mezzo il glorioso Trotter, scorticata e trasferita “un po’ più in là” la famosa pista denominata “la Scala del Trotto”, avrebbe dato luogo a un nuovo quartiere residenziale di pregio dove la moltitudine del benessere poteva avanzare compatta, dai quartieri ricchi di via Caprilli, Ottoboni, Odescalchi…
Riferiscono le cronache giornalistiche che l’area del Trotter S.Siro soggetta al piano di intervento è di 111.000 mq, che con l’indice di PGT di 0,35 mq/mq consente la costruzione di 38.000 mq; che sono previste residenze di lusso – in vendita ma anche in affitto – per anziani e giovani coppie, tutte a moderata altezza, salvo un hotel di dieci piani, e campi sportivi, museo e sala conferenze, e poi spazi commerciali e servizi anche per il nuovo stadio; le scalinate saranno abbattute, mentre le scuderie solo “ristrutturate”, per rispettare quel vincolo ambientale che la lotta del Comitato “Trotter bene comune” ha ottenuto dalla sovrintendenza (vincolo ambientale, non monumentale – in questo secondo caso sarebbe stato più vincolante) .
E l’area delle scuderie su via Pessano? Non so se i suoi 28.000 mq siano compresi negli 111.000 sopra citati ma, sempre secondo le cronache giornalistiche, pare che anch’essa sarà occupata da un complesso residenziale, che sarà collegato a quello maggiore attraverso un sottopasso (com’era un tempo per il passaggio dei cavalli). Sarà veramente così, DOPO?
DOPO la tremenda epidemia che si è abbattuta sul mondo, si dice che niente sarà più come prima: avremo costumi più semplici, maggiore rispetto per la terra, ci sentiremo più responsabili gli uni degli altri. Il denaro non sarà più una variabile indipendente, altri valori si affermeranno: il valore della vita, il valore della bellezza, il valore dei Beni Comuni… Difficile immaginarlo, ma se per caso la storia potesse aiutarci, potesse fornirci qualche suggerimento, vorrei raccontare ai nostri amministratori la seguente favola:
“C’era una volta in Italia, cento anni fa, la Municipalità di un grande centro del nord che, essendo andata fallita una società sportiva, situata in una zona operaia, nella quale si svolgevano le corse al trotto, decise di acquistarne l’area, che aveva una bella e ampia pista ovoidale, per crearvi una scuola all’aperto per i bambini più poveri e più fragili della città.
Incaricò quindi l’ingegnere Capo dell’Ufficio Tecnico Comunale (figura non ricordata nei manuali dell’architettura) di progettare e di costruire una serie di padiglioni distanziati nel verde, tra i quali i bambini delle varie classi potevano muoversi, incontrandosi in un parco che diventerà rigoglioso; potevano altresì lavorare la terra, fare bagni di sole, nuotare in piscina, esercitarsi in palestra, allevare alcuni animali e persino gestire una loro piccola Banca.
Mentre il lungo edificio che prima ospitava le scuderie fu trasformato in un convitto, dove i bimbi più a rischio, figli di genitori tubercolotici, potevano anche restare a dormire. La città ebbe così la sua famosa Casa del sole, costruita secondo principi educativi allora tra i più avanzati in Europa, come nelle scuole Waldorf o ne “La Rinnovata” di Giuseppina Pizzigoni. E il luogo divenne uno dei parchi più belli e amati della città”.
Bianca Bottero
1 ”Italia mia, benchè ‘l parlar sia indarno”, Francesco Petrarca
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