29 aprile 2020

MUSICA, VIRUS E TELEVISIONE

La musica può avere un grande effetto sui sentimenti collettivi


Come critico musicale di questo giornale – o più precisamente come “impertinente ascoltatore” e commentatore di musica classica –, mi è difficile vedere la crisi che stiamo attraversando dal punto di vista etico o sociologico, come forse sarebbe più interessante e utile fare. Vedere cioè che cosa è cambiato – se è cambiato – nella scala dei valori, e magari riflettere su che cosa potrebbe cambiare in un prossimo futuro.

viola

Tornando invece alle considerazioni fatte le settimane scorsa a proposito di lockdown e di musica registrata, faccio una considerazione diversa, cercando di ragionare su quanto ci manchi la grande musica e quanto ne avremmo bisogno in queste settimane di isolamento e di scoramento. E’ ben noto che la musica classica può avere, e molto spesso ha, un grande effetto sui sentimenti collettivi, nei momenti più significativi della vita delle comunità, ed anche sullo stato d’animo delle singole persone. Si pensi agli straripanti significati che, di fronte alla sofferenza e al dolore, assumono opere come lo Stabat Mater di Pergolesi, i Requiem di Mozart e di Verdi o le Passioni di Bach (giusto per citarne alcune, le più celebri); o al contrario alla grande forza espressa dai Te Deum (di Palestrina, Cimarosa, Purcell, Händel, Bruckner, Berlioz, Mendelssohn, Mozart, Haydn, Verdi, Dvorak, anche qui, solo i più famosi) nell’accompagnare una gioia collettiva o per celebrare la fine di un incubo sociale.

Questo potere catartico non è solo della musica così detta sacra: altra musica – altrettanto nota e amata – ha avuto ed ha non minore capacità di liberarci dalle paure e dall’angoscia e di trasmetterci grandi quantità di energia positiva, dall’Inno alla Gioia della Nona Sinfonia di Beethoven al coro del Nabucco di Verdi, per non parlare della maggior parte delle opere di Mozart, è tutto un fiorire di musiche tonificanti.

In questi giorni di pandemia, in cui avremmo bisogno di assorbire positività da tutti i pori, si può osservare – con un disappunto più acuto del solito – quanto poco sia diffusa in Italia la cultura della musica classica, ridotta, di fatto, a privilegio per pochi, quei pochi che ne hanno studiato i rudimenti (quando ancora s’insegnavano a scuola) o che da giovani hanno avuto una famiglia capace di trasmetterne l’amore. In questi giorni le nostre case avrebbero dovuto trasformarsi in sale da concerto, la musica avrebbe dovuto riempire le nostre vuote giornate e riecheggiare ovunque, per colmarci di gioia o almeno aiutarci a tener lontana la malinconia. E invece, quanti di noi ascoltano musica in questi giorni?

Si badi bene, però. Sono poche le persone che riescono a “ascoltare” la musica registrata, alla radio o dai dischi, comunque solo con l’udito: normalmente più che ascoltarla, la sentono. Ascoltare significa prestare la propria attenzione a una qualche forma di comunicazione, mentre sentire significa avvertire o provare sensazioni fisiche (si sente con l’udito ma anche con il resto del corpo, si sente freddo, si sente anche rabbia). E’ difficile riuscire a concentrarsi nell’ascolto della musica, anche se si è isolati in uno spazio privato, uno spazio che di norma è abitato da altri pensieri, dove inevitabilmente ciò che ci circonda attira una consistente quota della nostra attenzione. La musica classica impegna tutti i sensi, compresa la visione degli strumenti che la producono e dei musicisti che la eseguono, è una musica che ha assoluto bisogno di essere ascoltata “dal vivo”. (D’altronde questa considerazione non vale solo per la musica classica. Come si spiegherebbero altrimenti le masse che si accalcano ai concerti rock? In quel caso, però, più che prestare attenzione alla musica in sé, come comunicazione, si viene presi dalla potenza delle sensazioni fisiche prodotte dai suoni; è una cosa assai diversa.)

Potrebbe venirci in aiuto la televisione, tanto più se abbiamo la fortuna di poterla ascoltare in un ambiente dedicato, senza i rumori della cucina o dell’aspirapolvere, senza figli o nipoti che cercano a buon diritto la nostra attenzione distogliendola dall’ascolto. Ma quanta musica classica ci offre la televisione? Vi sono, è vero, canali televisivi dedicati alla cultura sui quali è possibile trovare registrazioni di opere e di concerti. Non sono molto pratico di programmi televisivi ma ho la sensazione che della buona musica la si trovi più facilmente nelle ore del mattino, quando nessuno l’ascolta. Mentre la sera, quando è più usuale trovarci davanti al televisore sui canali “mattatori” – quelli che vediamo più spesso se non altro perché danno i telegiornali che sono (nostro malgrado) una sorta di quotidiano imperativo categorico – siamo massacrati dai talk show in cui si parla solo di Covid-19: sempre gli stessi personaggi che ripetono sempre le stesse cose, perfetti inoculatori di malumore e di crisi depressive! Per non dire di com’è diventata insopportabilmente oscena, in questi giorni già così monotoni, la pubblicità ripetuta infinite volte, fino alla nausea, di servizi e di prodotti che nessuno oggi pensa di volere o potere acquistare (e quanto è volgare quando, violando ogni intimità, si occupa delle nostre funzioni corporali!).

C’è invece la possibilità, se si è nativi digitali o se si è opportunamente assistiti, di utilizzare la tecnologia per ricevere – passando attraverso il computer e internet – filmati di opere e concerti in streaming, on demand o in diretta, e magari ascoltarli su apparecchiature di buona qualità. Ma qui il diavolo ci mette la coda. Perché – come teme Nicoletta Geron, fino a ieri raffinata responsabile della comunicazione della Società del Quartetto – potrebbe succedere la stessa cosa che sta accadendo con il cinema: ci si abitua a vedere i film a casa e si svuotano le sale cinematografiche. Solo che nel caso del cinematografo il problema riguarda solo l’economia di un settore dello spettacolo, mentre nel caso della musica – soprattutto classica – il danno sarebbe immenso e riguarderebbe l’intera filiera della produzione artistica e dell’interpretazione musicale. Si può immaginare un’opera o un concerto eseguiti senza la presenza viva del pubblico, davanti alle sole cineprese o telecamere?

Tornando a queste giornate di reclusione, come sarebbe civile che fossero cadenzate dalle migliori esecuzioni di concerti e opere, quelle che magari ci siamo perse dal vivo; che questo virus diventasse la grande occasione per spingere tanta gente ad avvicinarsi alla musica o approfondirne la conoscenza, soprattutto coloro che non abitano nelle grandi città dove la buona musica si può facilmente ascoltare dal vivo.

Non poter ascoltare musica dal vivo per chi – come me – la considera al pari dell’aria che respira, è forse la peggiore privazione che ci impone quest’antipatico virus. Perché è proprio l’ascolto della musica che può modificare il nostro stato d’animo, farci restare o diventare positivi, aiutarci a rendere la nostra scala dei valori più solida per il futuro. Riascoltare per l’ennesima volta i CD che abbiamo in casa non è una soluzione, fa solo venire una grande malinconia.

Paolo Viola



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  1. Vittoria MoloneCaro Paolo, hai proprio ragione. Non mancano le possibilità di sentire buona musica a casa, ma, come dici giustamente tu, non si tratta di ascoltare ma di sentire anche piacevolmente musica mentre altri ci parlano, suona il telefono o si controlla la cottura della minestra. Tutta un’altra cosa. Non ci resta che aspettare, come per tanti altri aspetti della nostra esistenza.
    6 maggio 2020 • 08:49Rispondi
  2. tiziana rivasono d'accordo: la musica viva mi manca molto ma, da aprile, rai5 ha un programma ricco di opere (anche due al giorno), concerti, balletti. Ho visto opere da Festival e da teatri lontani in streaming e riproposizioni della Scala. Inoltre anche il sito Operavision ha un ricco programma; poi ci sono stati, gratuitamente, i concerti dei Berliner e dei Wiener. Purtroppo non si riesce a seguire tutto... ma posso dire che ho riempito tutto il tempo possibile di ottima musica
    6 maggio 2020 • 15:32Rispondi
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