19 febbraio 2020

ANCORA SU BEETHOVEN

I concerti a Villa Necchi


viola1Torno per la terza volta nello stesso mese su “Beethovenmania” – l’integrale delle Sonate per pianoforte di Beethoven che si sta svolgendo a villa Necchi Campiglio per iniziativa della Società del Quartetto – perché voglio fugare dubbi e perplessità che ho manifestato nei due precedenti interventi.

Sabato scorso è tornato sul podio (bisogna dire così per via del pianoforte posizionato su un alto praticabile al centro della sala) il bravissimo Andrea Lucchesini, pianista di grande levatura e maturità che nel primo concerto, quello di avvio del ciclo, non aveva convinto del tutto, tanto che, con vivo dispiacere, lo avevo qui fortemente criticato. Questa volta, invece, con grande piacere voglio dire ai miei lettori che l’ultimo concerto è stato magnifico.

Lucchesini ha eseguito con sincera passione, in ordine diverso da quello che qui riassumo, le Sonate numero 5 (do minore), 7 (re maggiore) e 8 (la famosa “Patetica”, in do minore), la deliziosa e breve 19 detta “Leichte Sonate” (leichte sta per facile, leggera) in sol minore – tutte e quattro completate da Beethoven nel 1798, tre anni prima del Testamento di Heiligenstadt, e quindi facenti parte del cosiddetto “primo periodo beethoveniano” – per concludere con la penultima Sonata (la numero 31 opera 110) in la bemolle maggiore, che appartiene invece a un altro mondo.

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Andrea Lucchesini compirà quest’anno cinquantacinque anni ed è nato in un ameno paese della provincia di Pistoia; è stato un grande amico di Berio, che gli ha dedicato varie composizioni, e di Berio è stato l’affettuoso e attento interprete di alcune prime esecuzioni assolute. Di lui ricordo anche un memorabile concerto che tenne due anni fa al LAC di Lugano in cui mise a serrato confronto tre Sonate di Scarlatti con altrettante composizioni “Post-Scarlatti” di Vacchi; un concerto che iniziò con la prima assoluta della bella Sonata numero 1 del compositore bolognese e si concluse con una meravigliosa Ciaccona dalla Partita numero 2 per violino solo di Bach, nella trascrizione per pianoforte di Ferruccio Busoni. Un’esecuzione che non aveva nulla da invidiare a quella, mitica, di Arturo Benedetti Michelangeli.

Fra le cose che più mi hanno colpito del concerto dell’altro giorno a villa Necchi è la lettura del Largo e mesto (in minore) che – insieme al successivo solare Minuetto – rappresenta il cuore della Sonata in re maggiore. Una Sonata che nei due movimenti estremi (Presto e Rondò allegro) non è altrettanto fascinosa e che forse per questo, dell’intero corpo delle 32 Sonate, non è mai stata in vetta alla classifica delle celebrità. Ma il Largo e il suo Minuetto credo siano uno dei capolavori di Beethoven. Wilhelm Von Lenz, il famoso critico beethoveniano, nel suo “Beethoven et ses trois styles” del 1855, asserisce di aver letto su una delle prime edizioni a stampa di quel “Largo e mesto”, una indicazione di pugno dell’Autore che diceva, in italiano, “da suonare come discoprendo la tomba della propria madre”.

Lucchesini ha capito profondamente questa intenzione e ci ha reso partecipi dei suoi risvolti più intimi e commoventi. Con lo stesso spirito, con altrettanta dolcezza ed evidente commozione, ha poi letto l’altro celeberrimo tempo centrale, l’Adagio cantabile della Patetica. Meraviglioso.

Un discorso tutto diverso va fatto per l’opera 110 che – insieme alla precedente 109 e alla successiva e ultima 111 – è uno dei pilastri del cosiddetto “terzo periodo” della produzione beethoveniana. Qui, lasciato l’ambito della dolcezza, della cantabilità, dell’emotività, entriamo nel mondo – fortemente rappresentato dalla Nona Sinfonia e dalla Missa Solemnis – di una musica concettuale – oserei dire vertiginosamente “intellettuale” – con la quale Beethoven sente di portare alle estreme conseguenze logiche la sua ininterrotta ricerca.

La 110 è una Sonata assolutamente rivoluzionaria, completata nel giorno di Natale del 1821 a conclusione di uno dei peggiori anni della vita di Beethoven (un anno afflitto da problemi di salute, familiari ed economici), lontana da tutti gli schemi della Sonata classica; porta indicazioni inusuali, come quel “con amabilità” sulla battuta di inizio, e più avanti sconcertanti come “perdendo le forze”, poi ancora “dolente” e “poco a poco di nuovo vivente” e si conclude – dopo uno sconvolgente “recitativo” – con la potente “fuga” del finale, carica di imprevedibile ottimismo.

Lucchesini ha saputo tradurre questo “viaggio” tanto complesso in un fantastico sogno, condividendolo con il pubblico; ci ha letteralmente sedotto e, come raramente accade, ci ha portato per mano fino al siderale empireo beethoveniano. Una fortissima esperienza.

Se posso tuttavia avanzare ancora una critica a Lucchesini è l’aver ceduto alla moda di correre troppo nei tempi veloci. Sappiamo che esistevano precise richieste di Beethoven in merito ai tempi, che richiedeva di eseguire molto lentamente i tempi lenti e molto velocemente quelli veloci (perdonatemi il bisticcio di parole!). Ma è anche vero che nulla sappiamo della precisione dei metronomi di allora, della capacità del povero Beethoven di poterli apprezzare a causa della sordità, che le meccaniche degli strumenti a cavallo fra il Sette e l’Ottocento non erano quelle di oggi e non permettevano le velocità consentite dagli strumenti moderni.

Queste spasmodiche velocità – che oggi sembrano diventate obbligatorie – forse strappano gli applausi ma non rendono giustizia alla musica, e tanto meno agli ascoltatori che vorrebbero apprezzarla nota per nota, avendo il tempo di registrarla nella mente, di assimilarne le sfumature e di percepirne il significato senza dover soffrire d’ansia come di fronte alle acrobazie da circo. Spero che Lucchesini accolga questo accorato appello.

Paolo Viola



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  1. Giampaolo BertulettiBuongiorno, é prevista una tournée di Lucchini in Francia e a Parigi ?
    26 febbraio 2020 • 08:59Rispondi
    • Paolo ViolaBisognerebbe chiederlo al suo agente ma non so chi sia, mi dispiace.
      26 febbraio 2020 • 11:49
  2. Dino Betti van der NootAppello, assolutamente da condividere, da estendere a un certo direttore d'orchestra.
    26 febbraio 2020 • 10:49Rispondi
    • Paolo ViolaGrazie per la condivisione. Penso che siano più di uno i direttori che corrono troppo, ma i pianisti sono una quantità impressionante!
      26 febbraio 2020 • 11:51
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