18 gennaio 2020

CASE POPOLARI DI MILANO. RITRATTI DI PERSONE

Un ricordo di Angelina Piccinin Nicotra


Le storie vere, quelle che si trovano raramente nei libri di sociologia urbana. Un mondo che va conosciuto personalmente, vivendolo, come fa Franca Caffa. Questa è la periferia milanese.

Le 8 del mattino, suona il cellulare. E’ Anna, la figlia di Angelina. Il suo pianto, prima delle parole, mi dà la notizia della morte di sua madre. Poi le parole mi restituiscono vita: “mia madre parlava sempre di te…ho voluto dirtelo…non sai come ti nominava nella nostra famiglia…”.

Angelina Piccinin Nicotra, 85 anni, Quartiere ALER Molise, una protagonista dei trent’anni di resistenza del Comitato Molise-Calvairate-Ponti nella città. Non è stata soltanto una vicenda di impegno contro il degrado e l’esclusione, condiviso con altre e con altri, è stata la storia di un’amicizia, di relazioni di bene fra vecchie inquiline e inquilini che per tre decenni hanno suonato alla porta del Comitato per entrare a casa loro: la nostra sede, centro d’incontro di persone che dispiegavano in basso, nella società, la loro integrale umanità. Una vicenda di storie personali e familiari che nelle case popolari intessevano una comunità di destini, per richiamare la lezione di Luciano Gallino.

Angelina, a 15 anni in filanda insieme con la sorella maggiore, a San Giovanni Ilarione, Verona. Mi aveva raccontato: “il primo giorno abbiamo pianto tutto il giorno”. L’avevo di fronte e nel suo volto serio, mentre parlava del pianto di tutto quel primo giorno la vedevo ragazzina di un altro tempo, di altre condizioni, in una filanda! Il tono della sua voce parteggiava per quella ragazzina operaia, le rendeva giustizia.

Filandere Caffa

Vengono a casa mia Anna e Gianna, le figlie, raccontano. A 20 anni Angelina era arrivata a Milano, cameriera, poi sarta con Piero, dopo il matrimonio, tutti e due sarti. Era stata custode dell’Istituto delle Case Popolari, poi, dopo la nascita del terzo figlio, aveva deciso di dimettersi e di dedicarsi ai figli.

Semplice e umile, la loro mamma, si prodigava sempre per gli altri. Alla vigilia del pranzo di Natale organizzato per oltre venticinque anni nella sede del Comitato in collaborazione con la Parrocchia di San Pio V e la Parrocchia di Sant’Eugenio, lei puntuale si presentava a ritirare tre panettoni per vicini di casa in condizioni difficili. Dava aiuto a una vicina che aveva due figli, di cui uno accolto in adozione. Angelina accompagnava la vicina ai bagni comunali a fare la doccia, le portava olio, zucchero… La casa era sporca, abitata da scarafaggi, e Levino, il figlio di Angelina, l’aveva imbiancata. La vicina poi è morta, e suo figlio, che lavorava all’ortomercato a scaricare i polli, è morto anche lui. Nelle case popolari del nostro tempo, molti funerali, pochi fiocchi che annunciano nascite.

Le pizzate, quando era iniziata la storia delle pizzate nel Comitato? Dieci anni fa, quindici? Forse l’idea era stata di Gianna Casiraghi, che vedeva il dominio del televisore sempre acceso, nelle case popolari, e pensava che qualcosa bisognava fare per contrastarlo. La pizzata, una cena al Comitato, fra amiche. Quando era diventata nonna, alle pizzate Angelina portava il nipotino Alessandro. Si dedicava a lui e alla nipotina Giulia, senza viziarli. Anna e Gianna ripercorrono i momenti di vita associata della loro mamma: il ballo al Centro Anziani di viale Molise, la tombola, il Centro Multiservizi Anziani di via Zante, il gruppo di amiche della palestra presso l’oratorio della Parrocchia di Sant’Eugenio…

Era devota di padre Pio, nella sofferenza degli ultimi due anni in questa devozione aveva trovato sollievo, speranza.

Infine, la gita con tutti i figli a Valencia, dove Alessandro lavorava: una felice festa della famiglia unita nella sua costante ispirazione di bene.

Da San Giovanni Ilarione, la sorella di dieci anni più giovane, Rosanna, risponde alla mia chiamata e racconta: “Eravamo sette figli, cinque sorelle e due fratelli. C’era tanta povertà, ma tanta! In filanda i bachi erano versati in grandi vasche di cemento piene di acqua bollente e con una piccola scopa bisognava girarli. Veniva fuori la seta, la agganciavamo all’aspo che girava e si faceva la matassa. Bisognava mettere le mani nell’acqua bollente, sganciare l’aspo e metterne un altro per fare un’altra matassa. C’era uno stanzone, l’essicatoio, dove si asciugava la seta. Non sai le scottature…e poi le capette erano cattive, ti buttavano addosso l’acqua bollente e lo facevano anche le compagne di lavoro.

Guglielmo Sperotti, i più ricchi del paese, erano i padroni. Era un lavoro che durava tre, quattro mesi, quando gh’era i bachi pronti da raccogliere nelle famiglie, non era un lavoro continuo…La sera andavimo al bar a vedere la TV e poi a letto l’Angelina la me faseva dire tante di quelle preghiere che no se sa, era impressionante…lei era nell’Azione Cattolica. La nostra mamma è morta a 55 anni e tutti quanti qui al paese la pensa ancora che l’era una santa, la se faseva voler ben, lavava i panni per le spose giovani nella quarantìa, perché non dovevano toccare l’acqua, se no diseva che poteva ammalarse. Adesso stemo ben ma allora erano tempi che no gh’era lavoro, no gh’era diritti, no gh’era niente…Angelina però era sempre allegra, de compagnia”…

Angelina Piccinin NicotraVado a casa di Gianna, nel suo amato Calvairate. Sì, Angelina è stata una donna briosa, allegra, spiritosa. “Al Comitato nelle nostre pizzate praticamente lei era la protagonista. Scendeva gli scalini del salone con una rosa in bocca, con il vassoio, e noi a ridere e a battere le mani. Quando si ballava era uno spasso, con la sua allegria. C’era armonia. Un giorno, di un’inquilina che partecipava alle pizzate, mi ha detto: “se noi la invitiamo ancora, lei viene a raccontare tutte le malattie…”. Noi volevamo che la nostra serata della pizzata fosse allegra. Tutte le malattie, volevamo dimenticarle. Non l’abbiamo più invitata…Angelina raccoglieva i soldi per il Comitato, passava con il vassoio, con un sorriso. Venivano amiche che non abitavano nelle case popolari, da piazzale Martini, e dal Molise e dal Calvairate venivano Rosy, Germana, Nelly, Anna, Concetta, Anna Maria…Poteva succedere qualche momento di gelosia… se per esempio l’amica gelosa vede che parlo con te e subito si altera perché l’hai lasciata sola, che cosa fai? Angelina era dolce, era brava, capiva il carattere, faceva finta di niente… Per la pizzata, venivamo al Comitato alle 18, Angelina, Anna, io, preparavamo i tavoli, l’antipasto, poi alle 20 ordinavamo la pizza. Lei ha lasciato un vuoto. Da quando si era ammalata, basta pizzate, non sapevamo più da che parte cominciare”.

Beppe Severgnini, il suo giro del mondo in 80 pizze, con gli italiani che vivono all’estero, nei cinque continenti. Gli avevo scritto, lo avevo invitato alla pizzata nelle case popolari. Troppa distanza, nessuna risposta.

Anche Nelly, dall’ospedale di San Donato dove è ricoverata, al telefono ricorda Angelina con l’ispirazione della comune fede religiosa, questa vita che finisce, vissuta bene, nel segno di una particolare letizia: “ci teneva allegre”.

Nel locale del Comitato in cui per trent’anni ho ascoltato chi si presentava – era “la politica della porta aperta”, dalla mattina alla sera, per 10 ore di presenza quotidiana, che potevano diventare sedici ore… – lei compariva nel vano della porta con un foglietto in mano. Segnalava le sregolatezze di ALER, dei vicini di casa, le lampadine bruciate da mesi, le scale e i ballatoi al buio, la portineria chiusa, da anni, il vicino del primo piano che si sentiva piangere da quando gli era entrata in casa una coppia di sconosciuti, e dunque bisognava proteggerlo, fare un’ispezione… poi posava sulla scrivania il foglietto in cui tutto era scritto.

Sapeva che subito sarebbe partita la segnalazione ad ALER, al Comune, a tutti quanti i responsabili istituzionali delle politiche che producevano degrado ed esclusione, ognuno per la sua competenza, e che le risposte in qualche caso sarebbero arrivate, in altri casi no, perché questo è il degrado nelle case popolari a Milano, avere in alto la discrezionalità assoluta delle risposte e delle non risposte, ignorare il potenziale di saperi, di capacità e di buona volontà che è in tanta parte degli abitanti. La portineria chiusa da anni, lei sapeva che chi decide una cosa tanto insensata è responsabile del degrado. Quando ho proposto l’invio di una lettera per la riapertura delle portinerie chiuse e per il corretto funzionamento di tutte le portinerie, sottoscritta anche dal Sicet, dall’Unione Inquilini, dalla parrocchia di San Pio V, dalla Parrocchia di Sant’Eugenio, lei in una settimana ha raccolto le firme degli inquilini del suo caseggiato, scala per scala. Nella lettera chiamavo alla responsabilizzazione dei sindacati dei dipendenti ALER. Nessuna risposta.

Dopo la telefonata di Anna, ho affisso nell’atrio e nel cortile del caseggiato di Angelina l’annuncio della sua morte. Quanti annunci, in trent’anni…Nella chiesa di san Pio 5 la mattina del funerale una massa compatta di presenze, il senso di una profonda persuasione, di una gratitudine.

Tempo fa ho letto un manifesto di Clochard alla Riscossa. “Parliamo di persone”, questo era il titolo scelto da Wainer Molteni. L’ho ripreso, l’ho ripetuto nel corso di anni, a voce, per scritto: risponde compiutamente al progetto d’impegno politico che, inquilina del Calvairate, ho proposto quarant’anni fa nell’area delle case popolari di Milano. Finirà questo tempo di sconfitta che si aggrava da decenni, tempo “della lotta di classe senza la lotta di classe”, per richiamare ancora Luciano Gallino? Verrà il tempo della riscossa? Gli inquilini, gli abitanti delle cosiddette periferie ne saranno i protagonisti?

Pessimismo della ragione, ottimismo della volontà, non possiamo fare altro che costruire la risposta su questa traccia.

Franca Caffa



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  1. Guido TassinariBuongiorno, C’è questa cosa che tendiamo a dimenticare: ci sono persone buone. Magari, se sei fortunato, le incontri. Poi, se sei come me, fortunato ma smemorato, le lasci in un cassetto, finché qualcuno, come Franca, come Gianna, ti dice oh figge vai a cercare quella cosa che è importante. Se sei fortunato, poi l’amore ti ritrova, le persone buone ti ritrovano, e la possibilità che questo accada nei quartieri dove ci si conosceva tutti (e chissà, possa risuccedere, ojala detto all’arabaspagnol). Ma continuiamo a dimenticarlo: l’unica cosa che dovrebbe spingerci a a coabitare, a essere città, e negli ormai antichi IACP era così, era volersi bene, guido
    23 gennaio 2020 • 12:01Rispondi
  2. DonatellaTutta una storia da scrivere, quella dei comitati delle case popolari o delle case di cooperativa. Attuavano, in cose semplici ma concrete, una politica quotidiana per il bene di tutti, l'attuazione, in piccolo, di un modo diverso di stare insieme.
    26 febbraio 2020 • 08:21Rispondi
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