7 dicembre 2021

LE “BUONE INTENZIONI” DI MARAN SULLA CASA

Un patto di solidarietà cittadino?


d'agostini

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Lunedì 29 scorso il “nuovo” responsabile dell’Assessorato alla Casa e al Piano Quartieri, che riaggrega in modo nuovo funzioni dei Lavori Pubblici, dell’Urbanistica e della Casa, ha presentato al Meet le prime “intenzioni” del suo Terzo Mandato consecutivo, in un compito in gran parte diverso dai precedenti.

E ha dichiarato che la “Casa popolare, casa per tutti” sarà il fulcro del suo impegno.

Naturalmente non c’è da dubitarne, anche se non si può fare a meno di ricordare come altri solenni impegni sul tema, come l’” ossessione” di Sala per le periferie o le “zero case pubbliche sfitte”, certamente formulate in buona fede, abbiano finito per dimostrare quanto il problema sia complesso e come sia illusorio formulare obiettivi “risolutivi” col respiro di un mandato.

Di questo si rende certamente conto l’Assessore Maran se ha presentato la situazione attuale con dati così drammatici, da indurlo a sostenere che, per affrontare il problema, non vi sia altra via che scardinare e probabilmente mandare in pensione il modello attuativo e gestionale della casa popolare.

Se qualcuno avesse la pazienza di riguardare alcuni miei articoli precedenti vedrebbe che sono almeno dieci anni che sostengo la stessa cosa, o più precisamente che, per salvare e ridare dignità alla casa popolare, è necessario “contaminare” l’Erp, portandovi dentro la città, altre funzioni, altri soggetti sociali, liberandola così dal magnifico isolamento in cui la gestione elefantiaca e burocratica di Aler, non contrastata ma anzi agevolata – sia pur con le migliori intenzioni – dai Sindacati Inquilini, ha finito per rinchiuderla.

E purtroppo i dati presentati da Maran mostrano come anche la gestione MM del patrimonio comunale, non sia riuscita a incidere granché sul vecchio modello, se è vero che in cinque anni la percentuale di patrimonio sfitto sul totale non solo non è diminuita ma è probabilmente aumentata. Una cifra spaventosa, più di 5000 alloggi sfitti su un totale di meno di 30.000 alloggi: più del 18%, addirittura di poco superiore a quella registrata nello stock Aler.

In totale, nel patrimonio pubblico della città, vi sono ben 12.000 alloggi non occupati, una cifra in qualche modo confrontabile con quella delle domande di casa popolare. Senza parole.

Ma allora, tornando al solo patrimonio gestito da MM, dove sono finiti i 3500 alloggi ristrutturati nel precedente mandato (e di cui va dato atto al tenace impegno dell’assessore Rabaiotti)? Dice Maran: sono stati praticamente sostituiti dai 600 alloggi all’anno che si liberano e che non sono in condizioni di abitabilità. Se ne deve dunque concludere che neppure un impegno straordinario come questo ha spostato di una virgola la situazione. D’altra parte, anche ammesso che i 3500 alloggi ristrutturati siano stati tutti già assegnati, possiamo essere certi che, con gli attuali criteri e graduatorie, non abbiano neppure scalfito la condizione di isolamento e segregazione dei quartieri in cui sono collocati; semmai sono andati ad aggiungere condizioni di disagio, povertà ed emergenza dove già ce n’era in abbondanza.

Si dirà: ma allora non è forse giusto assegnare i primi alloggi disponibili a chi ne ha più bisogno? Difficile negarlo.

Ecco perché è necessario modificare radicalmente il modello storico dell’Erp, ad esempio affidando a contributi ad personam l’integrazione o il pagamento del canone, concordato, moderato o addirittura di mercato, alle famiglie più disagiate, consentendo loro di abitare in case come le altre e, perché no, anche in zone centrali.

Qualcosa del genere è adombrato dalla legge 16 regionale, che ha se non altro riconosciuto che la casa sociale è un servizio e che i servizi abitativi, inclusi quelli a canone sociale, possono essere realizzati e gestiti anche da privati. Stiamo a vedere se i regolamenti attuativi avranno il coraggio di dare fattibilità concreta a questa prospettiva, allo stato controversa e comunque difficile.

La cooperativa Dar Casa, che ha 30 anni e che ho presieduto fino a qualche anno fa, ha dimostrato, nel suo piccolo e operando in rete con altri soggetti di Terzo Settore, che ridare dignità e qualità all’Erp è possibile, con due modalità: da un lato introducendo negli interventi di nuova costruzione quantità importanti di canone sociale (57 alloggi in un complesso di quasi 300 alloggi, per la metà in affitto: ViVi Voltri alla Barona, dal bando “Otto Aree” e terminato nel 2018); dall’altro riqualificando porzioni di quartieri popolari per introdurvi diversificazione dell’utenza e accompagnamento sociale (200 alloggi assegnati a canone concordato a seguito della ristrutturazione delle Quattro Corti nel Quartiere Stadera, terminata nel 2004).

E a proposito di quest’ultimo intervento, che era centrale nella strategia di riqualificazione complessiva prevista da un “vecchio” Piano di Recupero Urbano del Comune di Milano, va notato che i riflessi positivi nelle Quattro Corti e via via sull’intero quartiere, si sono avuti soprattutto da quando è terminata, qualche anno dopo l’entrata degli inquilini, la ristrutturazione delle “parti comuni” col recupero degli spazi verdi e di due edifici ex lavatoi adibiti a locali per riunione e ad attività di servizio capaci di attirare utenti anche dall’esterno del quartiere.

Appunto: portare la città dentro i quartieri popolari; come hanno sottolineato nel dibattito colleghi architetti (famosi), chi insistendo sull’importanza della qualità formale e “suggestiva” dello spazio risultante, chi sottolineando soprattutto l’importanza della partecipazione degli abitanti alla formazione delle scelte.

Su quest’ultimo punto Maran, che ha frequentato molto il quartiere San Siro in questi giorni, sottolineava la difficoltà di far partecipare realmente alle iniziative e agli incontri la maggioranza della popolazione, che è per lo più di origine straniera e ha difficoltà, oltre che a sbarcare il lunario, spesso anche a capire e parlare la lingua italiana. Ed è certamente vero, come ben sanno le numerose associazioni, alcune promosse dal Politecnico, cha da tempo operano nel quartiere. Ma sanno anche che, per stimolare la partecipazione occorre tempo e pazienza e che bisogna partire da aggregazioni più piccole, di vicinato, di cortile, ecc., Quando, nella corte di Stadera, si organizza una festa con cibi etnici di varie parti del mondo, c’è una corsa a far conoscere le proprie specialità e c’è sempre stata una partecipazione quasi totale delle 16 diverse nazionalità rappresentate fin dai primi tempi di insediamento (e questo perché la relazione e conoscenza fra gli assegnatari è stata curata anche prima della consegna dell’alloggio).

E’ solo un esempio, ma per me contiene anche un insegnamento e contemporaneamente un allarme. Per organizzare la partecipazione e la convivenza bisogna decentrare, articolare, partire dal basso. Mi spavento quando sento parlare di un gestore unico per gli alloggi di Aler e di Milano, temo il carrozzone burocratico. Un organo di coordinamento ci vuole ma preferirei un gestore per ogni quartiere (o forse addirittura porzione di quartiere per i più grandi). In ogni caso, l’eventuale carrozzone sia fortemente articolato in opportuni organismi decentrati con elevata autonomia.

Ma c’è di più: nei citati interventi di via Voltri e di Stadera il tasso di morosità è assai contenuto, sempre al di sotto del 5%, a conferma del fatto che, se sono seguiti e accompagnati in case gradevoli e manutenute e aiutati nelle modalità di recupero delle morosità, anche le famiglie meno abbienti danno priorità al regolare pagamento del canone rispetto ad altre spese. Proprio il contrario di quel che avviene nelle case pubbliche, dove per molti la casa popolare è un diritto acquisito per sempre (anche in caso di perdita dei requisiti) e dove non è raro vedere auto lussuose in mano a chi occupa abusivamente o a chi è moroso anche da più anni. La conseguenza di tutto ciò, con tassi di morosità intorno al 40%, è quella insanabile voragine del deficit degli enti gestori, che deve essere continuamente ripianata con risorse pubbliche.

E’ possibile andare avanti così? Evidentemente no, è necessario smontare la macchina per rimontarla in altro modo. Ma è anche evidente che è un’impresa titanica e Maran non è Superman (e lo sa benissimo, anche se il consenso della platea a volte ha dato la situazione di ritenerlo tale). E’ necessario sapere che è un percorso lungo e che bisogna costruire consenso intorno ad esso e intervenire sinergicamente su una pluralità di leggi, consuetudini, livelli istituzionali, soggetti pubblici e privati, e così via.

A cominciare con la richiesta allo Stato di tornare a farsi carico del problema casa, almeno nelle grandi aree metropolitane, per proseguire con la richiesta agli operatori del social housing di saper contenere i canoni entro i 6/700 euro al mese, ai privati delle grandi aree di trasformazione di realizzare direttamente anche la pur misera quota obbligatoria di canone sociale (bene la partnership pubblico-privato, notava Emilio Battisti, purché  la regia sia saldamente in mano pubblica!), ai piccoli proprietari che accettino di affittare a canone concordato (coi nuovi valori si perde poco o nulla in quasi tutte le zone della città) fidandosi del Comune di Milano e di Milano Abitare (che però deve funzionare meglio), stipulando con la città una sorta di patto di solidarietà per la casa per tutti.

Sembra fantascienza, ma si può provare. E a mio avviso l’assessore Maran ha cominciato bene presentando la situazione per quel che è e chiedendo aiuto e consenso sulle difficili prospettive ai propri elettori in primo luogo ma anche in certo modo alla città tutta. E frequentando di persona i quartieri difficili.

Sergio D’Agostini

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  1. Annalisa ferrarioFa piacere che dopo tanti anni di oscurantismo (nel senso che il problema della casa popolare veniva oscurato o negato) si torni perlomeno a parlarne. C'è ancora molto da fare però, almeno per sgombrare il campo da alcuni pericolosi equivoci. Ricordo ad esempio che lo stesso Maran, appena insediato, dichiarava che il suo compito principale sarebbe stato dare casa al "ceto medio impoverito" dimenticandosi del tutto dei ceti popolari (che, dichiarandosi di sinistra, un minimo dovrebbe conoscere...), ceti che costituiscono la parte preponderante ma poco seguita del problema. Davvero inserendo funzioni private e alloggi non sociali nei quartieri popolari li si riqualifica? Davvero è la gentrification la soluzione? Può essere; ma intanto i poveri dove vanno ad abitare? Servirebbero perlomeno anche nuove case, certo fatte bene, ben inserite nel tessuto urbano, non ghettizzate: la domanda è: qualcuno se ne sta occupando? Perché altrimenti gentrificare i quartieri esistenti vuol dire solo ridurre i margini di manovra dei ceti popolari. Fornire contributi pubblici agli affittuari di edifici privati? Se l'autore dell'articolo mi sa fornire un solo caso in cui questo abbia funzionato e non si sia trasformato in un trasferimento di soldi pubblici alla rendita privata (i prezzi come noto non hanno un valore assoluto, si formano sulle capacità di spesa dell'acquirente, i contributi quindi non fanno altro che sostenere i prezzi...), lo ringrazio. Davvero infine non c'è alternativa fra Aler e privato? Ricordo che a Milano ci sono state alcune esperienze storiche significative, quali quelle delle cooperative a società indivisa, che non si capisce bene perché siano state abbandonate a favore di quelle finalizzate alla vendita (ah già, perché sono più lucrose, dimenticavo...). Perché non recuperare quell'esperienza (o qualcosa di simile)? Infine, mi fa piacere che Maran faccia gli incontri su meet. E magari qualche incontro pubblico? Dove magari non partecipino sempre e solo i soliti noti? Così, giusto per il gusto della novità. Saluti.
    8 dicembre 2021 • 09:11Rispondi
  2. Giampaolo ArtoniSostieni Maran! Saltando le parafrasi dichiaro il mio sostegno, insieme a circa altri novemila elettori milanesi, all'assessore in esplorazione del nuovo continente "Assessorato alla casa e Piano quartieri". Se ne uscirà vivo bene altrimenti qualcuno dirà: pazienza. Peccato, avanti un altro. Ho poca simpatia invece per chi, avendo più che bisogno di riequilibrare un grande albero sbilanciato, si siede sull'unico ramo decente segandolo dalla parte verso il tronco. L'articolo di D'Agostini, e non certo quello di Schena (sempre in questo numero di Arcipelago), sollecita a riflettere sulle nostre periferie, tanto strane e fisicamente meno malmesse di quanto è il malessere sociale che le abita. Che la/le macchine che le amministrano non siano all'altezza del loro compito è palese da lungo tempo. Mi chiedo come mai l'attenta commentatrice Ferrario, suggerendo soluzioni diverse da quelle private non si sia accorta che ricordando la cooperazione edilizia indivisa si ricade in un'esperienza privata. Collettiva certo ma privata, aggiungerei di orgogliosamente appartenenza di classe, diversa da quella d'istituzione pubblica. Con tutta probabilità non si è accorta che il privato si intende coinvolgere è spesso attivo nel terzo settore, impresa sociale, cooperativa di abitazione ecc. ecc. - Più o meno realtà sociali ed economiche che si potrebbero ritenere l'evoluzione di quella grande esperienza che fu la proprietà indivisa e che oggi purtroppo mostra le corde. Non credo che con il termine "privato" si intenda l'ultimo immobiliarista di turno che, in abiti da benefattore, in realtà spilla denaro ai poveri. Almeno lo spero. Ce ne accorgeremmo subito. Ricordiamo anche i Piani Casa a riscatto che hanno permesso l'accesso alla casa a generazioni di "operai ed impiegati" spesso appartenenti alla pubblica amministrazione . Alla orgogliosa esperienza edilizia cooperativa, nei primi del novecento la speculazione edilizia illuminata offriva alloggio in affitto (talvolta in beneficenza cristiana) ai ceti popolari a prezzi che comunque permettevano di far fronte alla pigione. E questo è il punto: il prezzo della casa oggi a Milano. Fa piacere che anche altri ritengono le periferie (no: tutta la citta!) bisognose di essere "mischiate", ri-portando ceti popolari in centro e altri ceti verso l'esterno, dove centro ed esterno non sono per forza luoghi fisici di gentrification. Probabilmente occorre avere una visione che esca dai soliti punti di vista coinvolgendo tutti e non rivolta ad particolare ceto sociale che, se pur più bisognoso di altri, non si salva da solo. Una maggiore mixeté è auspicabile anche per quanto riguarda le politiche urbane che si dovrebbe mettere in atto per dare corso ad una giustizia abitativa. Il tema periferie però è anche altro, soprattutto altro: socialità, integrazione, emancipazione dai poteri familiari o di clan. Un esempio recente a tale proposito: l'atteggiamento propositivo del Prefetto nella vicenda della rivolta dei giovani e del rapper in P.za Segesta in opposizione ad più semplice intervento repressivo. E se occorre un altro esempio: con un appartamento da affittare, mia moglie ed io ci siamo posti il problema: affitto breve/lungo, studenti, turisti e viaggiatori? Abbiamo scelto il canone concordato che ha risolto ogni dubbio di legalità, garanzia, equità economica, etica. Ma che fatica! A iniziare da Milano Abitare che andrebbe riformata e sostenuta. In pochi conoscono i pregi di di questo tipo di contratto ma per arrivare in fondo occorre la pazienza di Giobbe e una buona dose di testardaggine. Anzi no, basta essere dei milanesi.
    8 dicembre 2021 • 14:15Rispondi
    • Annalisa ferrarioOvviamente so che le cooperative a proprietà indivisa sono soggetti privati. Ma so anche che molte (troppe) cooperative di abitazione e operatori del terzo settore con la casa popolare e con le necessità dei ceti poveri non hanno nulla a che fare, ne abbiamo viste troppe. E il Maran che come primo discorso di insediamento, cita il "ceto medio" come suo soggetto di riferimento? Voce dal sen sfuggita, ma abbastanza rivelatrice sulle reali intenzioni. Si è sempre detto poi che nuove case popolari non si potevano costruire perché mancavano i soldi (falso), adesso ci sono i fondi del pnrr, quanti sono stati dedicati alla nuova edificazione? Zero, solo recupero dell'esistente, lodevole per carità ma non basterà, tutti lo sanno. E quindi, come ci si fa a fidare? Ricordate, l'elettore ha gambe di lepre e memoria di elefante. Se lo prendi in giro non torna più. Saluti
      8 dicembre 2021 • 19:40
    • Annalisa ferrarioSull'idea di riportare i ceti popolari in centro, ricordo esperienze come il PZ di via zecca vecchia 4 o la convenzionata di via scaldasole. Provi ad informarsi sulle dichiarazioni dei redditi di chi abita lì (non è facile) e poi ne riparliamo. Se l'housing deve essere una scusa per fare pagare meno la casa ai ceti più abbienti, allora meglio il libero mercato. Giusto? Saluti
      10 dicembre 2021 • 12:11
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