17 dicembre 2019

RISCHI E TECNOLOGIA RIMEDIARE O ANTICIPARE?

Per misurare i Rischi, dobbiamo agire Ex Post (Big data) o Ex Ante (Small data)?


La gestione dei rischi e la loro valutazione apre un dibattito che vedrà certamente opinioni diverse e fronti opposti: ignorarle comunque non è possibile da parte dei decisori ma sarà un compito arduo arrivare ad una sintesi utile.

bizzotto

“Un mondo di tecnologie embedded [ben integrate] intorno a noi. Sensori e meccanismi di comunicazione che consentono di spargere l’intelligenza artificiale ovunque: nei muri, sulle sedie, nei tavoli, negli elettrodomestici, in auto. Sistemi digitali che ti riconoscono e organizzano È il mondo immaginato da Peter Schwartz, ingegnere Usa già consulente tecnologico di Steven Spielberg (Minority Report) e di altri registi.

Vicepresidente di Salesforce, gigante di servizi informatici per le imprese, manco a dirlo, esplora il futuro ed è ottimista. Non crede ma simpatizza per la “singularity” (la fusione uomo – macchina a opera di genetica, nanotecnologie, robotica e Intelligenza artificiale). Alle domande, ai timori di Massimo Gaggi (intervista al Corriere della sera – La Lettura dell’8 c.m.) sulla “tecnologia che sorveglia” e che viene usata “per reprimere”, riconosce che c’è una “crisi di fiducia” e “ci sono problemi di privacy e di possibili pregiudizi negli algoritmi che gestiscono i processi”. Aggiunge: è certo utile “una commissione etica” e le imprese “devono essere più trasparenti e sentirsi più responsabili per le conseguenze sociali”. Chiede Gaggi: regole esterne o autoriforma? “Bisogna reinventare il capitalismo (risponde …) pensando alla comunità e alla qualità del lavoro, oltre che al profitto degli azionisti”. Reinventare mi piace. Schwartz è attento.

Ma, ritiene che si tratti di problemi (e incidenti) superabili, gestibili, in un radioso percorso tecnologico; si deve tener meglio conto del contesto e dei processi. Intende: cose esterne, di funzionamento. La sua idea: implementare tutto il possibile e essere trasparenti, responsabili. Pensa: i problemi si risolvono; facciamoci una buona assicurazione. Vedo apertura nell’idea della commissione etica, ma anche questa finisce separata. Ritengo che non siano cosette a cui si possa rimediare in itinere, ex post, facendo i bravi, stando attenti, assicurandosi. Non è così. Le Possibilità (incrociate con le libertà) sono talmente grandi che il vecchio approccio ex post (il rimedio) non basta. Il problema è la valutazione del rischio. È una sfida anche per l’Assicuratore: deve agire per misurare avanti. Bello e difficile.

“Le modalità di calcolo del rischio, come sono state sinora definite dalla scienza e dalle istituzioni legali, collassano.” Ulrich Beck, La società del rischio, Carocci, ‘00, p. 29

“Più non è possibile quello che era possibile nelle epoche passate dove, per una razionale previsione del futuro bastava guardare il passato.” Umberto Galimberti, Psiche e techne, Feltrinelli, ‘04, p. 52

Cos’è la Possibilità se non Potenza, ora scatenata dai luoghi del sacro e del potere politico e posta nelle mani del potere economico? Ne parla Mauro Magatti in Oltre l’infinito, Storia della potenza dal sacro alla tecnica, Feltrinelli, ’18. Ma, “ciò che è in potenza è in potenza gli opposti”, diceva Aristotele e ci ricorda Emanuele Severino (L’embrione e il paradosso di Aristotele, Corriere della sera, 01.12.’04). Oggi la Possibilità (un foglio a due lati) va gestita per quello che è: aperta a nuovi vantaggi e a perdite e danni. Vantaggi e danni della Possibilità sono stati separati ma non sono distinguibili; sono luce e ombra. Servirebbe un ideogramma, un’immagine. I danni possibili, poi, sempre meno sono valutabili nello spazio di una gestione economica classica, e sempre più come imprevedibili conseguenze indesiderate di lungo termine. Il geniale Joseph Schumpeter, ad esempio, non vede necessario che l’impresa si assicuri, perché pensa al rischio in termini di stabilità ciclica: basta guardare al passato. Lo pensano tutti (tranne, mi pare, Giulio Giorello). Non è così.

A ben vedere, “the dark side of the moon” (album dei Pink Floyd del ‘73), ovvero il lato oscuro, contraddittorio, folle e necessario della Possibilità / Potenza si presenta come:

A. Pericolo (opaco, incerto, vago; si sa poco; chi decide? – Niklas Luhmann, Sociologia del rischio,

Mondadori, ‘96), oppure

B. Rischio (si sa, è valutato / misurato, atteso, gestito; una probabilità responsabile), oppure

C. Azzardo (un agire smisurato, tracotante, esagerato, aggressivo; un bluffare), oppure

D. Cigno nero (Possibilità positiva e negativa di enorme impatto, impensabile, imprevedibile, dirompente, ansiogena – Nassim Nicholas Taleb, Il Cigno nero, Il Saggiatore, ‘08).

È evidente: navighiamo tra Pericoli e Azzardi, e percepiamo l’acre odore del Cigno nero. È chiaro ora perché gli Assicuratori vogliono occuparsi dei piccoli rischi? Gli sfugge la misura.

Dunque, le Possibilità, per quanto mirabolanti nel loro lato in fiore, vanno viste (insieme) anche nel lato in ombra, e ridotte a misura, cioè a Rischi, a probabilità. Non possono più essere Pericoli (chi, come decide?) o Azzardi. E la misura? Basta la probabilità frequentista che – per dire del futuro – guarda agli eventi del passato? No. La probabilità che serve esce dal misurare avanti: è una valutazione (soggettiva e di gruppo) attiva; un grado di attesa, dice Bruno de Finetti (Filosofia della probabilità, Il Saggiatore, ’79). Attendere significa tendere a, darsi un obiettivo, anticipare: “Dare un’attendibile misura di ciò che non si può misurare oggettivamente” (idem, p. 70). È questione di motivazione, azione e fiducia, non solo di informazioni. Infatti informarsi, relazionarsi, implica influire, formare. Ci vuole altro che una bella squadra di ingegneri per gestire questa Potenza!

I Risk manager Usa hanno posto la questione delle scelte strategiche (partono da qui). Attendo che scendano apertamente in campo a dire: rallentiamo, fermiamoci, respiriamo, riflettiamo; perché il rischio in molti ambiti può dar luogo a eventi tragici e senza rimedio. Anche il vecchio Risk Management collassa. Qui, il primo nemico è il multitasking (la multiprocessualità; fare più cose insieme). Serve piuttosto pacatezza, concentrazione e interdisciplinarietà; serve spirito (laico) contemplativo, per osservare e vedere e capire bene (vedere avanti, appunto, anticipare). Servono specialisti con visione larga.

Non bastano certo i Big data, buoni, ottimi, per percorsi e processi ripetitivi, tecnici. Questi all’uomo vanno bene se gli ritornano in un formato comprensibile e accessibile, utile alla sua vita offline dice Deborah Estrin. Perché quando pensa e decide, è libero e nuovo; “qualcosa di qualitativamente unico”, “totalmente incalcolabile” (Monica Martinelli, L’uomo intero, la lezione inascoltata di Georg Simmel, Il Melangolo, ’14). Egli in realtà procede per Small data, per indizi, intuizioni che fanno uscire dagli schemi, scoprire i trend, vedere oltre.

Ha detto Federico Faggin (fisico, inventore e imprenditore italiano naturalizzato statunitense) al Corriere della sera del 20 novembre scorso: l’Intelligenza artificiale non deve piegarsi a “far soldi o controllare le persone”; “serve uno statuto etico”; “le ripercussioni sono largamente imprevedibili”; “stiamo giocando con il fuoco”.

Dunque, accanto agli ingegneri, ai Peter Schwartz (per curare the dark side del pensiero tecnico) serve un nuovo Risk management (per un nuovo capitalismo). Servono – dice l’ONU – decisioni strategiche e governance condivise. Verba docent, exempla trahunt. Prima di ritrovarci senza Assicuratori e senza libero mercato. E andare a sbattere

Francesco Bizzotto

Docente di Risk management

Master Università Mediterranea di Reggio Calabria



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