26 ottobre 2019

PGT: PER UN ATLANTE E IL SUO OSSERVATORIO PERMANENTE

Gli strumenti per comprendere le trasformazioni della città metropolitana


Nel dibattito che sta accompagnando l’approvazione dell’aggiornamento del PGT di Milano, il cui peccato originale come si sa spetta alla giunta Moratti, ma se il grado 0 della riforma De Cesaris era una rapida toppa ricamata attorno ad esso, a questo turno si persevera. Molte cose sono state dette e alcune credo valga la pena ribadirle. Per farlo prendo spunto dall’incontro che si è svolto martedì 22 ottobre presso Assimpredil, che ha visto schierati i quattro assessori all’Urbanistica milanesi che si sono succeduti dal 2006 ad oggi, di cui dobbiamo ringraziare la sagace regia di Paolo Galuzzi e Piergiorgio Vitillo, coordinatori del ciclo.
De Agostini_29.10

In un sol colpo ecco l’intero braccio armato che ci ha condotto nell’arco degli ultimi 13 anni nel magico mondo del Piano di Governo del Territorio ex Legge Regionale 12/2005 ,di cui per molti versi, sia detto a margine anche se è stato sottolineato da tutti i presenti, stanti le numerose modifiche e integrazioni oramai subite (leggo di 297 note, tra emendamenti e specifiche) si sente la necessità di rinnovamento.

In tale quadro, incalzato con energia dal padrone non solo di casa Marco Dettori, se l’aspetto di cui si è più dibattuto come principale critica al nuovo Piano è la riforma della macchina amministrativa a garanzia di un reale governo che garantisca tempi certi, comandamento numero uno per aprire le porte alla finanza internazionale che investe, l’aspetto che vorrei qui approfondire è invece quello che da titolo all’incontro, ovvero Visioni per Milano.

Considerato soprattutto le premesse di principio giuridico alla macchina PGT, che citando nel suo efficace massimalismo Carlo Masseroli si fonda su principi di libertà – svincolo dalla destinazione d’uso ed equità – indifferenza funzionale e indice unico per tutti (i proprietari), appare improbabile se non contraddittorio dare una visione fisica al territorio, se non quella piuttosto astratta ma a mio avviso piuttosto efficace che possiamo sintetizzare nel più classico quanto vago: liberi tutti.

L’esito concreto è una città dove, volendo cercare una identità fisicamente riconoscibile, si finisce col parlare di grandi progetti, Garibaldi Repubblica, Citylife, Scali. Interventi che di fatto sono molto diversi tra loro, legati a storie e procedimenti e contrattazioni con indici anche molto diversi, comunque frazioni infinitesime rispetto al territorio della città metropolitana, oltre che provenienti da una traiettoria che con il Piano non ha nulla a che vedere. Una analisi di tali fenomeni comunque necessaria, sottolineo per poi tornarci, che se condivisa permetterebbe di comprendere gli strumenti più generali che regolano la trasformazione fisica della città – che è ricordiamolo di tutti – e codificare concetti apparentemente astratti, come ad esempio densità o consumo di suolo.

Sandro Balducci ha ricordato, nel merito della visione, come Milano non si sia dotata di un piano strategico preliminare a questa nuova generazione di Piano, citando Bruno Dente riguardo le buone pratiche dei processi decisionali in ambito pubblico (policy), e la turbina di Giancarlo De Carlo (1963) come ultimo disegno condiviso della città metropolitana. n conclusione ricorda anche come la città ideale della Parigi storica abbia una densità media di 3mq/mq.

Illuminante. Poiché se nella città compatta storica tale indice rappresenta qualcosa di compiuto e – diciamolo – positivo, nella città contemporanea, se per esempio composta da edifici isolati e non in cortina, può dare esiti opposti a quelli immaginati in relazione al primo esempio -pensiamo ad esempio alle ex Varesine, con le sue torri fino a 37 piani, dove vi è un indice di 2,57mq/mq, secondo i dati forniti.

Significa insomma che ancora dobbiamo studiare molto della città contemporanea, da una parte conoscere meglio i nuovi fenomeni, ma più in generale conoscere per meglio amministrare quanto sta succedendo sul territorio, soprattutto condividendo con la cittadinanza tali proposte e orientamenti in tempo reale.

In questo senso vorrei allora ricordare qui la sezione del sito web dell’Ordine degli Architetti Milano che cambia, concepita proprio come strumento per la comprensione delle dinamiche in corso proprio quando informazioni riguardo tali trasformazioni scarseggiavano del tutto, di cui altrove ho raccontato  e a cui rimando per il funzionamento.

Da oltre 2 anni stiamo cercando di far ripartire in seno all’Amministrazione uno strumento analogo, rinnovato nella strumentazione, che di concerto con l’Assessore Maran si diceva dover allineare Amministrazione e società civile nel farsi carico di implementare e condividere le trasformazioni territoriali non solo con la cittadinanza ma anche con chi da fuori guarda a Milano città metropolitana come opportunità, espressione di aspettative alla scala più ampia.

Di più. Maran ha poi sottolineato come la visione non possa essere vincolata a un disegno congelato di città, citando – forse un tantino forzosamente – Cino Zucchi e la sua  Campsite Shower Theory – In Praise of Just-Out-Of-Time Architecture che molto più semplicemente spiega, attraverso il paradossale esempio della doccia comune nei campeggi,  che gli aggiustamenti sono intrinseci al ritardo che sussiste tra la necessità espressa dal piano o dal programma e la risposta del progetto e della sua realizzazione, che in edilizia ha inesorabilmente bisogno di tempi lunghi rispetto ad altre dinamiche, quali quelle economiche o sociali, dunque alla domanda e offerta, che compongono un ciclo.

Questo significa anche che è necessario che gli edifici e la città abbiano la capacità di modificarsi nel tempo, dovendo magari accogliere ruoli e funzioni per i quali non erano stati inizialmente pensati. Dal 2006 e le previsioni di Masseroli, passando per Expo ad oggi le cose sono cambiate, alcune anche in meglio, per cui le dinamiche trasformandosi devono essere incentivate in direzione ogni volta diverse. Dunque oltre che una visione aperta deve essere anche dinamica, aperta a sviluppi inattesi, da cui una ulteriore difficoltà di rappresentazione.

È un fatto poi che proprio nei tessuti più esterni la densificazione volumetrica spesso ha maggiori difficoltà ad essere compresa: e proprio per questo uno strumento come l’Atlante delle trasformazioni sarebbe ampiamente efficace a raccontare il progetto alle diverse scale, dandone appunto maggior comprensione, facilitandone dunque la trasformazione e, perché no, dando l’opportunità di raccogliere ulteriori spunti.

Quando Masseroli infine propone di creare un tavolo comune di discussione su queste visioni e dinamiche urbane e le relative questioni, tema che nel dibattito col pubblico viene rilanciato a più voci, mi viene da pensare che allora quanto proposto oltre due anni fa all’Assessore Maran e che ancora non ha trovato luogo sia, più che maturo, urgente: un Osservatorio delle trasformazioni cui fa capo l’Atlante, di cui è strumento di feedback di informazione e conoscenza, ovvero un tavolo partecipato da tutte le componenti della filiera e delle associazioni che lavorano sulla trasformazione fisica e no della città che sia in grado di orientare e definire in tempi più adeguati le dinamiche sempre più veloci della società.

Vogliamo tutti insieme far lo sforzo di farlo finalmente atterrare?

Francesco De Agostini

 



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