21 ottobre 2019

ARCHITETTURA E SENSO DI APPARTENENZA

I grandi assenti nella "Milano 2030"


I ponteggi installati da qualche tempo sui fronti dell’edificio sito lungo i binari della ferrovia, dopo la stazione di Porta Garibaldi, preoccupano molto. Considerato il destino subito dall’edificio a torre sito poco più a nord, irrimediabilmente sconciato qualche anno fa da un rivestimento di piastrelle da bagno, temo che la stessa mano ignorante intervenga anche su questo.

caruso

E’ uno degli edifici moderni più belli di Milano (l’autore è forse uno del gruppo dei valenti progettisti della stazione?), con la doppia sequenza di lunghe finestre a nastro e l’aggetto continuo sulla strada. E’ alto il rischio di perdere un altro pezzo di valore della Milano postbellica, travolto dalla moda della varietà disordinata.

Spero di sbagliarmi e che l’esito sia diverso. La preoccupazione deriva dalla caduta di attenzione che la città e la sua amministrazione hanno per l’architettura, ormai da diversi anni. Non mi riferisco, ovviamente, alle recenti opere dei soliti più noti, celebrate e premiate in ogni occasione. Mi riferisco al l’architettura della città, quella diffusa in tutte le strade, all’oggetto della pratica quotidiana degli architetti e ingegneri milanesi e dei tecnici comunali che la esaminano e autorizzano. E mi riferisco all’assenza della progettazione urbana, del progetto pubblico diretto a dare forma alla città.

La variante al PGT appena approvata rafforza, se possibile, la mancanza di centralità di questo tema nelle norme di attuazione del Piano e nella cultura che le ha concepite.

Il regime della perequazione urbanistica, con il conseguente mercato dei diritti volumetrici che possono essere traslati dovunque moltiplicando fino a tre volte l’edificabilità, produce il disordine più incontrollabile, sul quale la commissione del paesaggio interviene a posteriori, cercando di ridurre disarmonie e di connettere relazioni con il contesto. Se è condivisibile che nelle aree di più forte accessibilità la densità abitativa sia maggiore (da due a tre volte rispetto all’indice unico, secondo la variante), è previsto che ciò avvenga all’interno dei grandi cerchi indicati dal PGT attorno alle fermate dei mezzi di trasporto.

Perché cerchi? Il cerchio è più democratico di altre figure geometriche? Di fatto all’interno del cerchio il puro caso, la roulette delle occasioni del mercato determina la posizione delle maggiori densità e delle case più alte. Il puro caso determina il paesaggio cittadino.

Il concetto di fare città attraverso il progetto pubblico è assente dallo scenario dell’urbanistica milanese. Eppure la perequazione urbanistica offrirebbe uno strumento efficace per il disegno della forma della città, se i diritti fossero acquistati e rivenduti dal Comune, per realizzare le previsioni di un piano disegnato, che preveda dove realizzare case più alte e dove più basse e in quale relazione con gli spazi pubblici.

Nel caso della rigenerazione degli scali ferroviari – a parte la gravità della gestione privatistica di sedimi espropriati dallo Stato per pubblica utilità – la progettazione a grande scala di questi grandi vuoti è prospettiva obbligata, ma il suo esito, come nel caso limite del progetto OMA per lo scalo Farini, è pervaso dalle ragioni del mercato.

Qui il progetto planivolumetrico è “flessibile”, cioè può variare a seconda che all’epoca dell’attuazione il mercato immobiliare sia vivace, e richieda forti densità, oppure critico, e si accontenti di densità minori per ridurre i rischi. In questo caso la cultura del progetto non ha la finalità di interpretare un’idea di città, una tensione progettuale collettiva, dibattuta e condivisa, ma si piega e diventa strumento della dinamica immobiliare.

La disciplina morfologica negli Ambiti contraddistinti da un disegno urbano riconoscibile (ADR) e negli Ambiti di rinnovamento urbano (ARU), che costituiscono la grande parte della città costruita, prevede qualche indirizzo sulla forma degli edifici – più chiaro negli ADR che negli ARU – relativo alle cortine, ai frontespizi ciechi, agli inviluppi. Ma si tratta sempre di un indirizzo difensivo, minimale, rispetto al disegno urbano riconoscibile: quando nei lotti adiacenti preesiste un edificio a cortina situato a confine, la norma invita a riproporre la cortina. Negli altri casi la norma concede la licenza di edificare dove meglio si crede, al centro del lotto, senza relazione con la strada.

Il grande tema eluso dal PGT è quello del sentimento di appartenenza, il sentimento che trasforma il residente in un cittadino. Credo che l’appartenenza si fondi sulla riconoscibilità del luogo dove si realizza la vita sociale. Il disorientamento, al contrario, è favorito dal disordine del paesaggio urbano. Il carattere di Milano, della città compatta compresa tra la cerchia dei Bastioni e la circonvallazione più esterna – e anche oltre – è formato soprattutto dall’edificazione a cortina.

E’ la relazione degli edifici con le strade, alla quale fa da contrappunto la dimensione e ricchezza morfologica degli spazi privati interni agli isolati. Una semplice norma generale, che preveda che i nuovi edifici devono avere un fronte confinante con lo spazio pubblico, potrebbe favorire un indirizzo della progettazione diretto a fare città.

Non voglio proporre di tornare alla città costruita in un’altra epoca: se la norma generale, infatti, richiedendo una relazione con lo spazio pubblico, prescindesse dall’allineamento stradale, potrebbe favorire nuove interpretazioni del concetto otto-novecentesco di isolato. L’esito costruito del progetto Eisenman – Degli Esposti in piazza Carlo Erba, dove il nuovo edificio ha proposto un perimetro curvilineo anziché poligonale dell’isolato, ha deluso le aspettative non solo perché l’aspetto dei suoi fronti è immotivatamente monumentale, ma soprattutto per la mancata relazione dell’edificio con lo spazio pubblico, che è stato recintato secondo l’allineamento stradale poligonale.

La nuova iniziativa immobiliare privata Seimilano in via Bisceglie, progettata da Cucinella e Desvigne, propone invece – come sembra di capire dalle immagini pubblicate in Urbanfile – edifici fondati attorno ad uno spazio pubblico importante, anche se questa qualità non compensa il vizio congenito di enclave, separata dal resto della città.

Da tempo il carattere di Milano si è indebolito, la diffusione insediativa ha aggredito dall’interno la regola che lo ha formato. E’ forte la contraddizione tra il potenziale liberista del PGT e il compito impossibile della Commissione per il paesaggio che deve inseguire e aggiustare le scelte private. Continua a mancare un’idea di città, un progetto visionario intorno al quale mobilitare le risorse intellettuali di Milano.

Alberto Caruso



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  1. Maurizio SpadaParole sante, bravo Caruso. Tuttavia non è da oggi che l'architettura va contro la città, tutto, o in buona parte, del cosi detto Movimento moderno è un esercizio narcisistico di contrapposizione al costruito. E' vero che la forma della città la dovrebbe determinare l'amministrazione comunale ma qui entriamo in un tema molto delicato che comporta richiami alla gestione del potere. Comunque se ti interessa il mio ultimo libro L'altro architetto, ed. Casagrande tratta anche di questo. Ti basti il fatto che qualche anno fa avevamo organizzato in Umanitaria un corso di sensibilizzazione ambientale ed estetica per le commissioni paesistiche e l'allora assessore all'urbanistica iscrisse cinque o sei funzionari a pagamento che non ho mai visto.
    23 ottobre 2019 • 06:48Rispondi
  2. walter moniciOttime osservazioni di Alberto Caruso di cui purtroppo ai nostri amministratori non importa nulla. In germania si abbattono gli edifici in vetro e cemento del dopoguerra per ricostruire i centri storici così come erano tramandati dalle fotografie e dai documenti ancora reperibili. Si cerca di ricostruire l'immagine della città antica che ha un valore intrinseco e riconscibile. In cina addirittura si copiano pezzi di villaggi o edificazioni storiche europee. Qui l'architetto non è contento se non riesce a distruggere o sconvolgere o provocare o comunque far parlare di se per una qualche stranezza. E tutti ad incensare le cosidette archistar per questo lavoro di distruzione e omologazione di Milano a tutte le brutte città del mondo. Quando avranno finito di distruggere ci accorgeremo di tutto quello che abbiamo perso.
    23 ottobre 2019 • 12:49Rispondi
  3. Giorgio FortiIo non sono un esperto di architettura, quindi i miei giudizi sono basati su due criteri: uno estetico, ed uno che deriva dal disastro attuale dell'edilizia residenziale, per cui sia gli italiani poveri che i lavoratori stranieri nostri ospiti e necessari alla vita sociale della città ( parlo di Milano, ma ovviamente il discorso si estende a tutta l'Italia e l'Europa) non riescono a trovare un alloggio dignitoso, nonostante il loro lavoro sia indispensabile alla vita della nostra società. Pensate, ad esempio, a cosa succederebbe se a Milano sparissero di colpo le badanti ed i badanti che accudiscono le persone incapaci, per malattie e per età, di provvedere a sé stesse. Due esempi che mi sono in questi giorni più vicini: una straniera non più giovane, assistente di una novantenne, e persone della classe media, che sperano che il trasferimento all'Expo della Facoltà di Scienze dall'attuale Città Studi faccia risalire i prezzi degli appartamenti privati situati in questa zona. A parte lo scempio di ghettizzare l'Università fuori città, la speculazione la più infame sui suoli oggi universitari di Città Studi. Quanto ai criteri estetici, ai vertici delle mie preferenze sono la facciata di S.Maria Novella a Firenze, il capolavoro dell'Alberti; S. Zeno a Verona e i Duomi di Parma, Modena,. Ma qui smetto, perché non debbo occupare troppo spazio. Le cose nuove mi piacciono anche molto: ma detesto che il loro apprezzamento sia così legato alla divizzazione dei loro costruttori, anche meritevoli. Ed i premi Nobel o altri simili che li debbono santificare.
    30 ottobre 2019 • 09:22Rispondi
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