14 ottobre 2019

MILANO DIGITALE: IL GOVERNO DELLA CITTÀ

Opportunità, rischi e limiti e inquinamento nella e-society


Gario_2Jean Haëntjens è un economista e urbanista francese, nato nel 1950, con vasta esperienza operativa internazionale di interventi urbanistici e gestione e sviluppo del territorio per istituzioni pubbliche e imprese, dalla quale ha tratto diverse pubblicazioni, la più recente Comment les géants du numérique veulent gouverner nos villes (Rue de l’échiquier nel 2018). La sua attenzione e preoccupazione, che è anche la nostra, sono la salvaguardia e lo sviluppo della città nella concezione e storia tutta europea di città politica, dove si vive insieme e si litiga, decidendo alla fin fine insieme come farlo, a fronte del modello statunitense della città come agglomerato di individui che sono mercato.

A fronte dei tre scenari che si offrono oggi alla (grande) città – smart city, città di servizi a domanda, wiki-città governata dai suoi cittadini smart che padroneggiano le risorse di rete e civic techs – ai cittadini che vogliono stare insieme anche politicamente oltre che per comprare, Haëntjens suggerisce alcuni princìpi strategici sui quali anche a Milano vale la pena di soffermarsi.

Prima di accogliere qualsiasi ipotesi di espansione digitale (di fatto, perché già forte negli affitti da privato e privato di solito per pochi giorni) l’interesse è di consolidare la base urbana non digitale: il controllo dello spazio urbano, la cura dello zoccolo duro della base culturale e sociale, la visione, la narrazione, i principi di governo.

Inoltre, rafforzare la città politica per ciò che è probabilmente insostituibile, ibridando competenze umane e strumentazioni digitali nella mobilità, nelle tecnologie civiche di miglioramento dei processi politici, nella modellistica, nelle innovazioni sociali e, in particolare, affinando la comprensione dei rapporti tra lavori digitalizzabili e quelli che non lo sono, ambito di indagine fondamentale per la città politica.

Naturalmente, non affrontare da sola i giganti del digitale, ma costruire alleanze con gli altri attori politici: reti di città, regioni, stati, Unione Europea; ed eventualmente annodare partenariati con attori economici ritenuti abbastanza solidi o ancorati al valore della cittadinanza (anche se personalmente fatico a immaginarne qualcuno).

Più semplicemente, la città politica deve interrogarsi su tutti i “fattori di attività” che giustificano la sua utilità: le sue risorse, le sue competenze, la sua specificità culturale, le sue reti, i suoi spazi, la sua capacità di produrre bellezza, legami e senso. Se vi si applica seriamente, la città politica scoprirà che per ognuno di essi ha ampi margini da mettere a frutto.

Mia sola nota personale è che quest’ultimo punto vale in particolare per noi ed è quindi una leva strategica specifica, perché la nostra tendenza a giocare soli, dentro e fuori la città, è una riserva molto importante di opportunità prima trascurate, se riusciamo a superarla; rimane invece un handicap che ci costa la partita, se la tendenza permane. Ci costa la partita per definizione, perché pietra angolare della città politica è da sempre la convergenza operativa sulle scelte fondamentali.

Buon lavoro a tutti noi, anche perché le grandi imprese del digitale consumano sempre più energia per funzionare e ampliare i propri mercati – numericamente e tipologicamente – e anche se sono già oggi tra i maggiori (auto)produttori di energia verde, «certi sviluppi rischiano di aggravare l’impatto energetico del digitale, che già oggi rappresenta dal 6 al 10% del consumo mondiale di elettricità e il 4% delle emissioni di CO2.

Il think tank The Shift Project, nel raccomandare la sobrietà digitale si preoccupa dell“esplosione del traffico di dati, legata all’aumento del traffico video, ma anche dell’Internet degli oggetti, che dovrebbe fare passare il numero totale di apparecchiature collegate dagli 8,4 miliardi nel 2017 ai 20 miliardi nel 2020. Aggiungiamo poi l’intelligenza artificiale o le criptomonete numeriche come il bitcoin o la libra di Facebook, i cui algoritmi sono estremamente avidi di risorse informatiche. “All’inizio associato a un’economia più leggera della vecchia industria, il digitale appare un settore sempre più energivoro. Dopo la flight shame, la vergogna di prendere l’aereo giudicato inquinatore, avremo un giorno una digital shame, un guaio per il digitale, ritrosia a consultare il proprio smartphone per guardare un video di chat o una serie, al prezzo di sprecare energia preziosa?”1

I giochi, come sempre, sono tutti aperti, ma forse mai come oggi, nel mondo globale, nella formula Davide e Golia.

Giuseppe Gario

1Alexandre Picquard, «Après la “honte de l’avion”, la “honte du numérique”?», Le Monde, 27/10/2019, p. 28

 

Gario



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