4 ottobre 2019

MASSELLI E ASFALTO DIPINTO

Dove si deve restaurare e dove si può fare "tattica"


Mi piace giocare con Facebook, in anni mi sono fatta un giro di amicizie che comprendono architetti, artisti e generici amanti del paesaggio e delle arti di tutto il mondo. Così con comodo riesco a vedere immagini che mi propongono i più svariati interventi urbani e soluzioni internazionali per aree pubbliche nelle città. Da qualche anno si vedono immagini che riguardano il suolo urbano con pavimentazioni dipinte a fiori, figure geometriche, interventi di street art o colorate a campiture contrastanti.

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L’effetto è sicuramente suggestivo anche se le fotografie sono state scattate ad intervento appena finito e bello fresco nei colori e nella realizzazione. Era evidente che questa moda sarebbe arrivata anche a Milano ed è giunta con il nome inglese Tactical Urbanism, un movimento lanciato nel 2012 da Street Plans, uno studio di progettazione architettonica e urbanistica americano che si occupa di azioni e trasformazioni urbane a breve termine e a basso costo, ma con risultati ben visibili.

Non è un caso se si chiama urbanesimo tattico e non urbanesimo strategico perché riguarda soluzioni a breve durata, che rallegrano abbastanza i luoghi, spesso sono anche divertenti ma hanno il decorso di una pittura calpestata da migliaia di persone. Bene, allora se è così, se costano poco e rallegrano molto, pitturiamo tutte le strade che Milano è così grigia e togliamoci dai piedi (letteralmente) quegli antipatici masselli storici sempre li a muoversi, a sollevarsi e far cadere ciclisti motociclisti e chi altro.

Non che non capisca le ragioni di chi vorrebbe asfaltare tutto, ho figli e amici ciclisti, ma mi sembra una cosa simile a quando vollero chiudere i Navigli perché puzzavano (vero) erano malsani (vero) tagliavano la città moderna che si stava sviluppando (vero). Solo che adesso tutti a rimpiangerli e magari a voler spendere milioni per riaprirli.

Cosa facciamo dunque con questi masselli? Evitiamo per prima cosa un dibattito ideologico su Milano del passato e del futuro, prendiamo in considerazione dei siti specifici e vediamo dove sarebbe meglio toglierli, anche se a malincuore, e dove invece sarebbe bene metterli o completare l’area e se, infine, non ci sono soluzioni di buona posa che evitino tutti i movimenti oscillatori e pericolosi.

Per questa ultima motivazione legata alle vibrazioni che determinano le sconnessioni ci sono due casi molto tipici, la vicinanza con le rotaie del tram e i masselli posati direttamente su terra come si usava una volta, modalità molto piacevole perché spunta l’erbetta tra uno e l’altro, ma purtroppo ingestibile in aree a largo traffico.

Vediamo quattro casi: Via Torino, corso Magenta, Cordusio e piazza Castello

Via Torino è particolarmente sofferente perché tolti i marciapiedi e tolte le rotaie non resta quasi niente di lastrico stradale anche se la pavimentazione in pietra non è del tutto messa male perché omogenea su tutto il percorso, i masselli sono fissati a malta e bitume e a parte qualche punto particolare non presentano forti sconnessioni. La strada comunque è ormai un centro commerciale a cielo aperto, percorsa da centinaia di motociclisti e non suscita un senso di storicità.

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Repellini 2Diverso, anche se appartenente alla stessa categoria, è corso Magenta, strada molto bella, storica non solo per la presenza della chiesa delle Grazie e dell’Ultima Cena, ma anche per i bei palazzi che vi si affacciano e per lo stile complessivo poco commerciale. Si tratta sempre di una strada stretta (non come via Torino) con doppia rotaia ma in questo caso la pavimentazione in pietra storica è solo per parti e convivono a fianco tratti di strada in lastroni e tratti in asfalto con un effetto non certo piacevole. Ma togliere i masselli e asfaltarla tutta sarebbe un vero delitto simile alla chiusura dei Navigli. Doppio delitto: stendere asfalto rosso come in piazzale Baracca, a insulsa memoria delle lastre di Cuasso al monte. Il rosso già brutto in partenza smunta con il sole diventa di tinta grigiastra con orrendi rappezzi sui successivi buchi.

Piazza Cordusio , per altro zona solo di tram, un groviglio di tram. Guardiamo con sconforto tutta la pavimentazione in masselli particolarmente sconnessi proprio perché posti direttamente su terra. Questo sarebbe proprio un caso in cui intervenire con una ripavimentazione sempre in pietra, ma con i masselli ben fissati con malte elastiche che oggi permettono la collocazione della vecchia pavimentazione anche vicino ai tram.

Infine piazza Castello, nel tratto da Cairoli che è stato ripavimentato in asfalto durante l’expo, con invisibili disegni determinati dai rompitratta: tutta questa parte fino all’ingresso del castello e intorno alla fontana potrebbe essere pavimentato con pietra storica, almeno in quel luogo a Milano glielo dobbiamo.

E l’urbanesimo tattico? Per me va bene a patto che venga accostato all’urbanesimo strategico come si sa nelle scienze belliche con uno senza l’altro le guerre non si vincono.

Giovanna Franco Repellini



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  1. damianoUn approccio finalmente molto condivisibile e poco ideologico. Un solo appunto. Corso Magenta, tra marciapiedi stretti e binari del tram, resterebbe una graziosa trappola per noi ciclisti e pedoni, a causa del pochissimo spazio di manovra, tra auto e tram. A meno di pedonalizzarla, come la sua indiscutibile monumentalità richiederebbe.
    9 ottobre 2019 • 09:06Rispondi
  2. marco romanoquando ero molto giovane, corso Magenta era pavimentato in masselli di legno: niente giunti, superficie continua come levigata... che fine hanno fatto? Marco Romano
    9 ottobre 2019 • 17:57Rispondi
    • Valerio CozziChe siano gli stessi che si trovano ora nel cortile di un palazzo che si affaccia su Largo Treves?
      10 ottobre 2019 • 16:08
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