23 settembre 2019

TUTTI PAZZI PER GAIA

Donna, "rider" o studentessa? Una ventiduenne nel ciclone dei media nazionali


Tremolada (2)Gaia Giannini è alla sua terza intervista quando entra nella redazione di Arcipelago: nel giro di una settimana è stata contattata da La Repubblica, Radio24, Studio Aperto, Radio1, Uno Mattina: insomma tutti (o quasi) i grandi media italiani.

Gaia non è un personaggio pubblico, né voleva diventarlo: ha 22 anni, studia Scienze Sociali all’Università di Milano e fa una vita assolutamente normale. Perché, dunque, tutti vogliono parlare con Gaia?

Bisogna tornare allo scorso mercoledì, il 18 settembre, quando questa giovane milanese si è ritrovata involontariamente al centro dell’ormai nota polemica sui “riders”, ossia i fattorini che consegnano cibo a domicilio per aziende quali Deliveroo, Glovo, JustEat e compagnia. Da quel giorno, Gaia è diventata la faccia dietro le parole di un articolo pubblicato sul quotidiano La Repubblica, dal titolo: “Io, rider italiana, non mi arrendo a un algoritmo”.

Oggi esploriamo con lei gli avvenimenti dietro quelle due pagine stampate e le imprevedibili conseguenze che hanno avuto.

Gaia, puoi raccontarci perché hai parlato con La Repubblica?

Ti dirò la verità: è successo per puro caso.

Ed è davvero così: Gaia ci racconta che è stata contattata dal quotidiano dopo aver condotto, in qualità di studentessa di Scienze Sociali all’Università di Milano, un’indagine sui “riders”. La contattavano, in qualità di “rider”, per avere informazioni su quello che lei vede solo come un lavoretto con cui mettere da parte i soldi per uscite e vacanze con gli amici.

Come ti sei sentita leggendo l’articolo, che ti presenta (foto in divisa compresa) come l’ “unica rider italiana” sopravvissuta all’influsso di migranti nel settore?

Leggendo l’articolo e osservando come avevano “inquadrato” le risposte, mi sono sentita usata. Non mi fraintendere: non hanno inventato nulla. Hanno preso quello di cui abbiamo parlato e lo hanno utilizzato all’interno di un pezzo il cui taglio, per me, è stato del tutto inaspettato e, a tratti, sgradito.

Quando ho accettato di parlare con il quotidiano non avevo idea che ne sarebbe venuto fuori un testo così polemico. Non lavoro regolarmente come “rider” ormai da tempo, non ho pregiudizi verso i migranti e di certo non pensavo di diventare oggetto di tante (indesiderate) attenzioni da parte dei media.

Gaia ha iniziato a pedalare per Deliveroo nell’ormai lontano 2017, quando l’azienda non offriva un’assicurazione ai dipendenti, i “riders” non potevano sapere in anticipo se avrebbero dovuto consegnare il cibo in luoghi molto lontani da dove veniva preparato e le loro condizioni non interessavano quasi nessuno.

La pubblicazione dell’articolo in cui compare il tuo nome e la tua foto ha dato il via a molte discussioni sui “riders”, di cui ora inizia ad occuparsi anche la politica. Ci troviamo quindi, più che davanti a una giovane lavoratrice poco tutelata che cerca visibilità tramite l’informazione, davanti ad un quotidiano che sfrutta un “caso” per farne una storia appetibile nell’attuale clima politico?

Assolutamente sì. Hanno trovato una ragazza (caso effettivamente raro in questo campo), italiana, studentessa e bianca, e mi hanno usata per attirare l’attenzione. Se avessero messo la foto di un ragazzo egiziano nessuno lo avrebbe contattato. Basta guardare su Internet: è pieno di interviste a ragazzi stranieri che fanno questo lavoro, ma nessuno di loro fa notizia.

E’ perlomeno vero che sei l’unica rider italiana?

No. L’altra ragazza presentata nell’articolo, venezuelana che lavora da anni in Italia, non è neppure la mia unica collega femmina; conosco personalmente almeno un’altra donna che fa lo stesso lavoro a Bologna e so che ce ne sono altre.

Il giornalista voleva una bella espressione forte e ha ignorato queste informazioni, trasformando Gaia in uno strumento mediatico: se nella categoria dei “riders” è presente anche una ragazza giovane, cittadina italiana, di buona famiglia e che non fa questo lavoro per mera necessità, ci si sente subito in colpa per le loro condizioni di lavoro. Se il fine è quasi nobile (portare alla ribalta la questione “riders”), è poi un ignaro mezzo (Gaia) a patirne le poco nobili conseguenze.

Quest’esperienza ha cambiato la tua percezione dei media e delle loro potenzialità per i cittadini?

Mi sono sempre tenuta lontana dai media, un po’ perché avevo poca familiarità con quest’ambiente e un po’ perché avevo paura che, com’è successo, le mie parole venissero usate per scopi diversi da quelli per i quali erano state pronunciate. Sono una “figura piccola” ed è quindi facile manipolarmi.

Cosa intendi con “figura piccola”?

Ho trovato strano che un quotidiano si affidasse all’opinione di un’unica persona, una ragazza normalissima come me, per rappresentare una categoria a livello nazionale. Io sono una “figura piccola” di fronte a chi fornisce informazione ad un pubblico di decine di milioni di persone, un volto scelto ad hoc per scrivere la storia di migliaia di “riders”, dei quali non sono neppure un esempio comune.

L’esperienza di Gaia, grande o piccola che vogliamo chiamarla, non è stata raccontata per intero nel quotidiano. Non hanno raccontato come ci si sente ad essere una “figura piccola” in giacca e zainetto catarifrangente sulle strade milanesi al buio (l’orario delle consegne è tipicamente dalle 7 alle 10 di sera), non hanno raccontato le sue disavventure con il pavé poco curato di Via Ludovico il Moro o le sue rocambolesche consegne nella tristemente famosa Via Gola, sui Navigli, dove gli spacciatori pubblicizzano a squarciagola la cocaina come ortolani al mercato.

Cosa ti è dispiaciuto di più non vedere raccontato nell’articolo?

Hanno trascurato la mia esperienza come donna, quella che volevo davvero esporre e che mi ha spinto a parlare con loro. Ci sono stati più casi in cui camerieri di ristoranti dove andavo a prendere le consegne mi hanno stalkerata sui social media tramite il nominativo che vedevano sul monitor; su due pagine di articolo a questo è stata dedicata una sola frase, mentre il problema dell’aumento di stranieri nel settore, del quale ho detto poco o nulla, occupa quasi tutto il resto del pezzo. Questo ha generato uno “scandalo” per cui sono stata contattata da altri grandi quotidiani, radio e TV, interessati a parlare con la ragazza che il giornalista ha “creato” nell’articolo: una ragazza sfruttata e arrabbiata che io non sono.

Gaia non è arrabbiata davvero con nessuno, né con Repubblica né con i suoi datori di lavoro, ma solo stupita che una chiacchierata si sia trasformata in un’intervista sul rapporto tra Deliveroo e i suoi dipendenti immigrati. Speriamo che il suo intervento su Arcipelago possa dare uno spunto sia ai giornalisti che agli amministratori della città: per conoscere i problemi, che siano dei “riders” o dei cittadini, bisogna lasciare i pregiudizi in ufficio e uscire a farsi un giro. Magari in bicicletta.

Elisa Tremolada



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