22 settembre 2019

A PROPOSITO DI PIAZZE

Riflessioni sullo spazio pubblico


Nella piazza di Uruk, la città dei Sumeri, c’era il mercato, ma nei giorni di festa le ragazze si vestivano tutte eleganti in vista di mettere su famiglia con qualche giovanotto di bell’aspetto. Quattromila anni dopo i fiorentini decideranno di erigere il loro palazzo municipale in mezzo a una valletta ai margini dell’abitato, e nel solco di una esaltazione ottocentesca per la – ancorché dubbia – democrazia dei comuni noi, in visita a Siena, immaginiamo la conchiglia della piazza lì davanti come fatta apposta per convocarvi la pubblica assemblea.

Ma i maggiorenti di allora la chiamavano, nei documenti conservati nell’archivio civico, piazza del mercato: era sì vero che la frequentazione quotidiana delle bancarelle – fitte fitte fino ad addossarsi alle case – comportava un vivace scambio di opinioni non soltanto sulla qualità e il prezzo degli ortaggi, ma anche sulle sempre discutibili decisioni dei maggiorenti, che nell’intimità delle loro case altro non potevano poi fare, proprio come oggi, che adeguarsi alle vox populi delle loro donne, sempre peraltro saldi nella convinzione che le deliberazioni del consiglio civico sarebbero state frutto soltanto dell’avvedutezza maschile.

Del resto tutti sapevano la vacuità delle donne, tutte lì a chiedere la legna per il fuoco, a chiedere mezz’etto di pepe, e si intende quel vestito nuovo che non le faccia sfigurare: donne vanesie che accorrevano alle prediche dei santi più rinomati per sfoggiare le loro toilette davanti agli occhi invidiosi di altre donne e ovviamente seducendo il loro vicino: così a buon conto i magistrati senesi divideranno accortamente le piazze dove predicava san Bernardino con un grigliato di castità.

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Tutto questo per sottolineare come le piazze che incontrate a Milano abbiano un loro significato, quelle destinate ai mercati rionali presidiati dalle chiese conventuali e beninteso piazza del duomo nella sua versione di quei tempi: e dobbiamo credere, perché la piazza della chiesa dei domenicani è affollata di peccatori, che le donne del popolo si sentano meno peccatrici perché molto meno nel caso di dover gettare nel rogo delle vanità vesti libri giochi. Ma anche il predicatore è poi appollaiato su un castelletto ligneo appena coperto da un panno, mentre il palazzo municipale, che costituisce il tema più clamoroso del Campo, è vistosamente quasi occultato da un vistoso apparato decorativo che lo copre.

Ma ci dicono qualcos’altro, più attinente ai casi nostri: entrambe le piazze sono dominate da un edificio monumentale, la chiesa dei francescani con la porta aperta per sottolineare l’appartenenza di Bernardino a quell’ordine, mentre poi per sottolineare la sua santità è stata figurata su un supporto mobile la facciata dipinta di una chiesa, la cui porta è questa volta chiusa.

Dunque, se vogliamo suggerire il modo di guardare quanto possiamo fare senza venire accusati di voler distruggere le tracce del nostro passato, una prima riflessione ci suggerisce di modificare l’aspetto di una piazza soprattutto o soltanto con materiali palesemente reversibili. Chi ricorda le pubblicità luminose sull’intera facciata di fronte al duomo ricorderà anche che non vi furono allora clamorose proteste, scontata la loro rimozione.

Allo stesso modo davanti alle botteghe della piazza del mercato i bottegai costruiranno, davanti alla propria, un portico che consentisse alle donne di esaminare bene i vestiti in mostra senza inzaccherarsi nella fanghiglia, a Lodi o a Pavia, fino a quando Ludovico il Moro deciderà di costruirli lui tutti insieme tutt’attorno alla piazza di Vigevano, dove nell’Ottocento le facciate e i camini verranno aggiunti in uno stile quattrocentesco, piazza che sarà un esempio di piazze con una cortina muraria omogenea dilagato in tutta Europa, le place royale francesi o le plaza mayor spagnole, il cui carattere monumentale rinviava implicitamente all’autorità del committente, i sovrani stessi ma anche le città che volevano mostrare una certa condivisione dello stile architettonico degno dei loro sovrani: questa implicito significato di sottolineare il dominio di un potere autocratico delle capitale fu colto dai contemporanei, gli scapigliati milanesi con le loro critiche al progetto della piazza del duomo

Fatto sta che rendere più belle le piazze antiche diventerà un programma diffuso con esiti spesso poco convincenti perché proprio le critiche al progetto del Mengoni suggeriranno di non ricorrere più all’uniformità delle facciate, prediligendo lo schierarsi di palazzi della migliore architettura ma diversi tra loro, come piazza Cordusio o piazza della Scala.

Ma il ventaglio delle belle piazze andrà allargandosi quando i reduci della repubblica napoletana trovarono asilo in Inghilterra – a Londra, dove fiorisce l’amore di Carlino con la Pisana – e lì videro per la prima volta la sequenza degli square, quei giardini cinti da un’inferriata davanti alla schiera delle case e accessibili soltanto ai loro abitanti.

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Sarà la folta colonia inglese fiorentina – c’è per l’appunto un cimitero inglese dove potrebbe essere stato sepolto il marito della povera Isabel Archer – a legittimare questo cambiamento, a dare alle piazze il nuovo statuto di giardino pubblico circondato di case con facciate diverse.

D’altra parte l’Ottocento non poteva non adottare il programma delle piazze alberate come uno square e sopratutto corredate da larghe panchine possibilmente a doghe di legno facendo del prato una sorta di salotto alberato come sarà il Bois de Boulogne.

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Così alla fine del secolo che cosa distinguesse un giardino pubblico era quanto codificato in molti esempi in tutte le città europee, nell’essenzialità di un prato, delle panchine, di un boschetto e di un largo sentiero di accesso: così come, per esempio, lo svettare di un campanile ci suggerisce la presenza di una chiesa. I piani regolatori milanesi avevano fatto ampio ricorso a una rete di larghi boulevard, una rete che comportava il loro frequente incrocio per adeguarli alla figura radiocentrica della città, incroci per loro natura costituiti fondamentalmente da ampie piazze di solito nella forma di un giardino, più o meno grande, contornato da strade circolari o rettangolari.

Tornato questa estate dalla campagna ho visto nella televisione zampettare il negativo di una zebra, di colore scuro anziché bianco e punteggiato di chiazze rotonde e bianche anziché nel consueto nero su bianco: può darsi che si tratti di un semplice caso – comunque tutto da spiegare – o anche l’esito di qualche esperimento biologico, come fu la pecora Dolly, a rendere a me irriconoscibile questa bestia a pois, se me la fossi trovata in campagna, per una zebra.

Ma ho visto a Milano anche sorprendenti piazze tutte riabbellite mentre ero in campagna, che riconoscevo perché sapevo dov’erano, con i loro vialetti colorati a larghe chiazze circolari proprio come la zebra, una innovazione per renderle irriconoscibili, forse proposte e accettate nel solco degli esperimenti nel solco dei biologi della pecora o della zebra. Solo che se in campagna mi si fosse presentato quell’animale a pois non avrei saputo dargli un nome e così credo non avrebbe saputo il mio veterinario.

E così non avrei mai davvero creduto che quei cerchi colorati qualcuno avrebbe davvero pensato avrebbero rese più belle le nostre piazze, che in genere sono già sulla via di venire completate come si deve con le panchine i praticelli le aiuole le fontane i vialetti nei pochi casi in cui non ci sono ancora, sicché mi è venuto in mente che quei cerchi avrebbero potuto essere le tracce di uno stormo di droni, magari proprio quelli destinati a bombardare i pozzi petroliferi dell’Arabia Saudita.

Marco Romano



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  1. walter moniciChe dire, vedere queste piazze colorate a pois o a settori come se fossero l'ingresso di un luna park piace a molti. come a molti piacciono le gondole luminose, i pupazzi di babbo natale, la scimmietta di vetro di murano. Pensare che un architetto abbia potuto pensare di realizzarle mi mette i brividi, e che le abbiano fatte credo sia equiparabile alla istigazione al suicidio. Per fortuna la mia età non mi consentirà di godere di queste bellezze ancora molto a lungo. Amen.
    25 settembre 2019 • 11:02Rispondi
  2. Cesare MocchiSi tratta di un intervento, quello delle piazze a pois, che sarebbe comprensibile in situazioni di emergenza. Ho poco tempo, ho pochi soldi, ho ereditato una situazione disastrosa dai precedenti amministratori: in mancanza di meglio, faccio i pois. Ma nessuna di queste condizioni è presente ora: ci sono i soldi, il tempo, l'amministrazione è stabile da tempo. I pois devono essere temporanei. Poi si deve passare a sistemazioni definitive, come è nella tradizione delle città.
    25 settembre 2019 • 11:47Rispondi
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