7 maggio 2019

IL VELO DI MAYA

Lavoro, capitale e falsa neutralità della tecnologia


Ha ancora senso la festa del primo maggio? E se ce l’ha, quale? Così si chiedeva e ci chiedeva Luca Beltrami Gadola, mettendo sul tavolo la principale questione della nostra epoca: la crescente marginalizzazione, simbolica e concreta, del lavoro. Se qualcuno osserva che il numero degli occupati in Italia è perfino superiore al 2008, data di inizio crisi, altri a maggior ragione evidenziano che spesso si tratta di lavoro debole, precario, intermittente, mal pagato, quasi che la presenza del lavoratore sia divenuta un accessorio del processo produttivo, manipolabile e sostituibile a piacere: più lavoratori, meno ore lavorate ed ancor peggio retribuite.

I riders in lotta si autodefiniscono braccianti in bicicletta: davvero viene in mente la condizione del bracciante agricolo, privo di qualificazione tecnico professionale, forte solo delle sue braccia (gambe), in competizione con altri mille come lui, chiamati o lasciati a casa per il capriccio del caporale.

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Qui cascherebbe l’asino per gli apologeti dell’algoritmo a pedali: non siamo in presenza di un capriccio individuale ma piuttosto di un’applicazione tecnologica che neutralmente (?) stabilisce il miglior percorso, il tasso ottimale di risposte positive nell’unità di tempo data (da chi ?), addirittura l’importo del compenso la cui unica sostanza scientifica sembra in realtà consistere nell’individuare il punto oltre il quale il ciclo – proletario non sarebbe in grado di presentarsi alla mattina con le forze adeguate al so mestee.

E’ certo di interesse che i riders siano dipendenti o lavoratori autonomi, ma la maggior questione consiste nel controllo del processo produttivo che li governa e sfrutta e prima ancora nel riconoscimento della sua “parzialità. In definitiva che differenza sostanziale troviamo tra la gestione “impersonale” di una app e l’occhio rapace del caporale se entrambi sottraggono il governo del processo produttivo al suo attore? E se entrambi si pongono l’obiettivo essenziale di raggiungere il massimo profitto possibile, riducendo con il salario anche le condizioni di sicurezza ed infine la stessa dignità della persona? Come nelle pianure padane di fine ottocento, il ciclo – bracciante è chiamato quando serve, lavora come e dove vuole il padrone, mangia il tozzo di pane con un filo d’olio e bacia la mano di chi lo sfrutta, pardon lo ottimizza.

A differenza di allora però il rapporto produttivo è mediato, diremmo occultato, e quindi legittimato dalla ratio tecnologica, apparente terra di nessuno, priva di un qualsiasi apparente interesse sociale a piegarne l’applicazione in questo o quel modo. Questo è il Velo di Maya che come un sudario ricopre la vera natura del rapporto tra capitale e lavoro nei giorni nostri e questo velo va compreso, lacerato e dissolto, riprendendo nelle mani dei lavoratori e dei loro rappresentanti, con la consapevolezza, anche il potere di ridefinire le specifiche dell’algoritmo. Come nell’800, non si trattava di distruggere le macchine, ma di assumerne il controllo consapevole per la tutela del lavoro. Non si tratta di tornare alla chiamata estemporanea dal ristorante, ma di evolvere l’algoritmo verso formule (nel senso letterale) rispettose dei diritti.

In realtà, la lotta dei free riders interesserebbe pochi se non alludesse già ora ad un futuro incombente nel quale la prestazione lavorativa viene sottratta sempre più alla contrattazione sociale ed appropriata dalla proprietà con un calcolo matematico orientato da variabili interessate al profitto.

Oggi si tratta di trasporto pranzi in bicicletta, domani della logistica, dopodomani della fabbrica o dell’ufficio dove le mansioni vengono destrutturate dal profilo tecnico professionale del lavoratore e reingegnerizzate in ambienti produttivi gestiti dalla struttura dei robot, a cui si aggiunge, quando serve, la mano episodica dell’uomo. L’operaio o l’impiegato a chiamata, un incubo sindacale, che di nuovo però rimanda da un lato al tema del controllo sociale della tecnologia e dall’altro a quello marxiano della contraddizione crescente ed insanabile tra capitale e lavoro, tra possesso dei mezzi di produzione e possesso della sola vita nuda. Se la tecnologia, figlia sociale della scienza, elimina fette sempre più ampie di lavoro necessario per produrre i beni, il reddito da lavoro scompare, è vero, ma con esso anche la domanda dei beni che fa vivere il mercato. Oggi questo penoso processo nell’occidente si bilancia con l’afflusso di nuovi mercati e di nuova domanda su scala mondiale, ma non smetterà di operare e di generare le ragioni più profonde della sua stessa crisi.

Una contraddizione occultata culturalmente, politicamente e ideologicamente, negli ultimi decenni, perfino ridicolizzata, ma che ritorna come quel fantasma che quasi due secoli fa Marx ed Engels scorgevano nell’Europa. In un mondo dove la produzione eccede i magazzini, paradossalmente eccedono anche le file ai refettori: torna la fame, ammonisce Monsignor Delpini, e neppure Milano, che pure è Milano, si salva dal crescente tormento sociale. La mancanza del lavoro genera paura ed insicurezza e giustamente Luca Beltrami Gadola incita la sinistra a riprendere il suo “vecchio” mestiere, senza nostalgie ma anche senza complessi d’inferiorità verso l’ideologia liberista che negli ultimi decenni ha ridotto il lavoro ad ancella di un capitale mistificato da realtà sociale parziale in algoritmo totalizzante della società. Unica realtà ed unica verità.

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Lasciandoci alle spalle la sudditanza ideologica e teorica, e con questa le sfortunate narrazioni che facevano dipendere dalla “rigidezza delle tutele” i mostri della disoccupazione giovanile, del nanismo delle imprese, ed infine della stagnazione sistemica, assumiamo l’obiettivo di tradurre in atto “…l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”. Non più lasciar fare a chi può e sa, tanto meno competente quanto più distratto dall’enormità dei suoi emolumenti, ma riprendere in mano la bandiera del controllo sociale della produzione, della partecipazione del lavoro e dei lavoratori, ai vari livelli, nella produzione e nell’impresa., ed in ultima analisi nella società. Non sono fisime comuniste, se in Germania la partecipazione dei lavoratori si issa fino ai Consigli di Amministrazione.

Del resto, se perfino Porter, l’ideatore e cantore della Catena del valore (1985), è arrivato a superare il suo stesso concetto con la nuova visione del Valore condiviso (Shared value, 2011), si deve cominciare a credere che le crepe del liberismo siano ormai sempre più profonde ed indifendibili, mentre le gravissime crisi ambientali, sociali ed etiche che genera ci spingono ad elaborare nuovi modelli sociali dove valore d’impresa e valore dell’’uomo appaiono declinazione della medesima sostanza: il lavoro come attività creatrice, la persona come unità elementare e preziosa del grande organismo sociale universale.

La Festa del 1° Maggio, nel tempo del declino sindacale, è divenuto sempre più rito formale e concertone romano. Se ritroverà, come speriamo, una forte partecipazione popolare, sarà perché riprenderanno forza le ragioni della consapevolezza della centralità del lavoro nella società.

Giuseppe Ucciero



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  1. valentino ballabioChiuso, da 30 anni giusti, il "secolo breve" si è dunque tornati al "secolo lungo", quello del "Capitale" duro e puro (sottotitolo "per la critica dell'economia politica"). E' da lì che si debba ricominciare?
    8 maggio 2019 • 16:02Rispondi
  2. giuseppe uccieroLa Regina Elisabetta tempo fa a margine di un convegno tra i più celebrati esponenti dell'economia mondiale, ha chiesto come mai la tremenda crisi del 2008 non fosse stata intravista da qualcuno di loro. Imbarazzato silenzio generale. A dire il vero qualcuno ne aveva letto e denunciato i sintomi, Rubini, Krugmann, ma erano studiosi di eterodossa reputazione secondo gli standard dominanti, gente che aveva studiato Keynes ed ancor prima Marx. Non si tratta di tornare indietro, ma neppure di occultare il drammatico fallimento della scuola economica che ha dimenticato le fondamenta dell'economia classica. Tra queste, il Capitale di Marx è ancora oggi un monumento dell'analisi del funzionamento del capitalismo ed alcune delle sue tesi sono tuttora inconfutate ed inconfutabili. Non da lì si deve ricominciare, ma anche da lì.
    11 maggio 2019 • 15:20Rispondi
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