27 gennaio 2019
COME GUARDO MILANO CHE CAMBIA?
Lo sguardo di una trentenne (seconda parte)
27 gennaio 2019
Lo sguardo di una trentenne (seconda parte)
Di fronte a densità abitative elevate, bisogna favorire la nascita e lo svolgimento di quelle relazioni necessarie alla composizione di una comunità. Internazionalità per noi significa creare luoghi dove si offrono le produttività e i servizi creativi delle città del mondo (un Madame Thussaud in chiave italiana come in ogni città europea giovane che si rispetti; una libreria multimediale che ambisca ad entrare nella classifica delle 10 librerie più belle d’Europa; riprendere il folklore delle cartomanti di Brera con un museo esoterico caratteristico ed interattivo; un parco esemplare completo di installazioni artistiche, feste, sagre, fiere e così via), creando un mercato unico straordinario.
Per fare un confronto e comprendere il gap divarico attrattivo con le altre città europee, Parigi ha ben 152 musei, Berlino 175, Londra (la città privilegiata dai giovani) ben 240 e Milano circa 10. La creatività, l’arte e l’identità di una città sono al di sopra di qualsiasi altra cosa e come tale, non possono e non devono, sottostare a nessun tipo di compromesso, tantomeno politico.
Oltre che a creare strutture innovative ed attrattive a livello internazionale, è risaputo come le politiche creative portino business stupefacenti in tutto il mondo e posti di lavoro giovani (dove a Milano il tasso di disoccupazione è limitato, ma il numero si moltiplica fino a quintuplicarsi quando relativo agli under 40), ma per i ricchi al vertice del potere, invece, significa omologare una città con architetture uguali, incapaci di relazionarsi con ciò che c’è intorno.
Occorre un nuovo polo fieristico popolare, un centro per artisti e lavoratori creativi, rafforzare la rete di attori artistici, imprenditori, aziende ed investitori, creandole attraverso una nuova ed unica grande società milanese giovane, immettendosi, attraverso il CONSOB, all’interno del mercato azionario. Le strutture da inserire nel mercato dovrebbero essere create con determinate caratteristiche, con intuito ed equilibrio, all’interno di un’unica un’area specifica funzionale allo scopo, creando un unico centro motore economico fondamentale per la città.
Sarebbe opportuno generare i mix funzionali corretti per rendere attrattiva la città in termini più ampi. C’è un’enorme richiesta di visibilità dei talenti, uno spazio che possa essere fruibile dai visitatori, aggiungendo valore all’interno della comunità, un’area identificatrice come il Duomo, ma diversa, che porti diversa attrattività. Bisogna configurare progetti urbani di terza (o quarta) generazione.
Serve collaborare con aziende importanti internazionali (come Netflix, Amazon, Nike…), ma proponendo soluzioni creative diverse, da proporre con concetti innovativi, soluzioni che portino elevato guadagno a loro, tanto quanto attrattività a noi e per fare questo servono idee, è quindi opportuno un progetto culturale, che sostenga e consolidi l’azione diretta dei cittadini e delle persone giuste, tramite strumenti attuali e li renda maggiormente attivi, mettendo a disposizione tutti gli strumenti e i riconoscimenti necessari. C’è bisogno di mettere in campo metodi innovativi e procedure sperimentali per rispondere all’inedita complessità della sfida, far scaturire energie creative, ideative, attuative e di segno positivo, senza delegare a privilegiati studi la progettazione, ma dare, quei supporti tecnici, per realizzare il raggiungimento di obbiettivi condivisi.
Va’ sottolineata la relazione fra la vitalità culturale delle altre città e il loro potenziale attrattivo per nuove imprese e per la nuova creative class contemporanea, entrando di fatto in un mercato che porta riconoscimenti importanti nel mondo, attirando un elevato numero di turisti, turismo giovanile e turismo familiare, oltre a dare l’opportunità in tutta la città di sviluppare nuove ed attrattive attività commerciali contemporanee, rispondendo al problema della mancanza di strategia aziendale da più di 30 anni. A Berlino anche un negozio di costumi ha qualcosa di straordinario diventando elemento significativo attrattivo. Serve, prima di tutto, qualità urbana esemplare, capace d’ innovare profondamente la qualità della vita degli abitanti, vecchi e nuovi, allo stesso tempo, poter dare così un nuovo respiro e futuro all’identità della città.
Annulliamo il carattere di Milano con strutture che “vista una le hai viste tutte” e costringiamo i milanesi ad andare a vivere altrove grazie alla gentrificazione, interi quartieri sono in emergenza abitativa per il caro affitti, le aziende immobiliari ragionano sul fatto che gli interventi debbano produrre più guadagno rispetto a prima, ma la disuguaglianza dei redditi e il tasso di disoccupazione giovanile (16,8 %) porta un problema notevole di povertà, povertà anche minorile attraverso il nucleo famigliare (1 su 10 – 19.703 minori), ciò provoca fragilità sociale, aumentando il valore degli immobili si espelle alcune persone da determinate zone, bisogna ridurre i costi e regolamentare il mercato, altrimenti, sul lungo periodo, le disuguaglianze sociali, saranno la base di future crisi economiche. A poco serviranno le privilegiate quote di abitazioni a canone agevolato. È questo il futuro che vogliamo per Milano 2030?
Milano si muove su grandi motivazioni, ma poi i risultati fino ad oggi, non rispondono mai alle motivazioni.
“Non tutte le città lo sanno fare, perché ci vuole il lavoro degli uomini giusti”, uomini che nella città ora mancano, troppo impegnati a fare bella figura con i loro capi e poco attenti a rispondere ai bisogni di un popolo, per questo motivo, Milano, nonostante possa ricevere qualche fugace complimento da classi dirigenti di altri paesi, è e sarà sempre, seconda ad altre grandi città giovani ed artistiche europee; invece di essere un esempio da copiare, lei stessa si impone di copiare da altri.
Il lavoro dell’assessore Maran è indiscusso, dietro al PGT si percepisce il notevole lavoro svolto e non solo, anche quotidianamente, dimostrando continuamente impegno e dedizione che non si possono non apprezzare e lodare in modo considerevole, quello che si rileva però, è che le linee guida adottate per la città non sono quelle più adeguate per la città stessa. Siamo sicuri che sia un metodo produttivo e corretto privatizzare aree o venderle per ricavare guadagno dagli oneri urbani? Siamo sicuri sia l’unica soluzione e che non sia l’ennesima soluzione illusoria che risolve il problema momentaneamente diventando irreversibile in un domani? Ci vuole un progetto unitario capace di ripensare alla città in modo equo, pensando in grande e portando Milano ad opere straordinarie. Serve selezionare progetti urbani che creano un sistema strategico vitale e che mettano “cash flow” ingenti nelle casse comunali milanesi, innalzando le performance economiche di un territorio, accrescendo la ricchezza di una città attraverso l’elevata contemporaneità ed attrattività, garantendo autonomia economica da utilizzare all’occorrenza, in modo progressivo e pertinente.
Un comune non può e non deve andare in “stato di emergenza” se vengono tagliati dei fondi dal governo, una città di successo dovrebbe essere autonoma delle proprie risorse per fronteggiare periodi difficili, questo è il risultato del privatizzare tutto invece di creare strategie da master class. Milano senza i privati non sarebbe una città capace di andare avanti da sola, è questo il punto più critico e questo punto è possibile cambiarlo solo se si iniziano ad ascoltare i progetti e le persone giuste. Ma anche sta volta abbiamo perso questa grande occasione con gli scali ferroviari. Sarebbe troppo innovativo chiedere di rivedere le procedure? Siamo ancora in tempo per rimediare, il problema è superare la paura di cambiare, innovare e rivoluzionare il settore urbanistico in modo identitario e non globale, attuando procedure diverse, cambiare una città che segue le stesse dinamiche uniformate da troppo tempo, ottenendo di conseguenza gli stessi ritriti risultati.
Tutti hanno diritto di esprimere i propri desideri e vederli realizzati, non vi devono essere diversità tra cittadini abilitati (studi architettonici) e non abilitati ad operare per la soddisfazione dei bisogni. Se si abita e si vive in un luogo e per quel luogo allora bisognerebbe adoperarsi per far sì che si creino situazioni favorevoli. Siamo innamorati di Milano, ma delusi da chi la governa, l’unica realizzazione azzeccata fino ad adesso sono i “Milomat”, le nuove barriere anti terroristiche caratteristiche ed identitarie!! Interessante anche il nome, bravi!! Questa è la strada giusta.
Liyanage Laura
Alcuni contributi dal libro “Partecipare l’architettura” di Paolella Adriano.
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