7 gennaio 2019

URBANISTICA: CHE FARE?

Le prospettive dell’Urbanistica e il futuro di Milano


La crisi economica del 2008, effetto del processo di globalizzazione e finanziarizzazione dell’economia mondiale, ha modificato strutturalmente i fattori economici e sociali delle trasformazioni territoriali e urbane in Italia. Oggi l’urbanistica deve fare i conti da una parte con problemi storici irrisolti e con fattori di ritardo specifici dell’Italia; dall’altra con innovazioni dell’economia e della società che portano a usi diversi e non facilmente prevedibili, delle città. Tale condizione pone questioni di fondo all’“Urbanistica”, disciplina che ha progressivamente perso certezze e con esse, autorevolezza (*).

L’urbanistica, laddove bene applicata, è stato uno strumento di governo della società nella fase dello sviluppo e della crescita fisica delle città, che ha raggiunto obbiettivi e corrisposto a valori sociali fondamentali. La buona urbanistica, oltre che strumento di governo generale, è stata anche strumento di welfare e di equa distribuzione delle risorse e delle opportunità, con la realizzazione di servizi pubblici di base (scuole, asili, ospedali, parchi, biblioteche e centri sociali, ecc., i famosi “standard”) nonché di opere di urbanizzazione primaria, anche a carico della rendita urbana attraverso la partecipazione privata ai costi di urbanizzazione; con la realizzazione di edilizia pubblica e convenzionata (piani per l’edilizia economica e popolare); con la diffusione del trasporto pubblico, ecc.

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Laddove s’è fatto della buona urbanistica il paesaggio, i centri storici, i beni architettonici diffusi, le aree naturalistiche, risorse fondamentali del nostro Paese, sono stati tutelati.

Per contro la diffusione dell’edificazione in migliaia di comuni senza una pianificazione territoriale efficace, ha creato vaste aree urbanizzate in forme tali da compromettere il territorio, aggredire il paesaggio, scaricare sulle generazioni future i costi delle urbanizzazioni finanziati con il debito pubblico.

Oggi le condizioni per fare della buona urbanistica sono comunque mutate. La divaricazione dei redditi prodotta dall’economia globale nel mondo occidentale, ha penalizzato il ceto medio che ha visto diminuire la capacità di risparmio e indebitamento. Di conseguenza il mercato immobiliare si è ridotto: la rendita urbana è concentrata in poche posizioni d’alto valore e non è più un potente motore delle trasformazioni territoriali diffuse che hanno sì compromesso vaste parti del territorio, ma anche distribuito ricchezza. Il meccanismo “urbanistico” di rigenerazione urbana spontanea e di redistribuzione delle risorse funziona solo nelle posizioni di elevata rendita differenziale (centri delle città maggiori, zone turistiche di pregio). Anche la capacità di investimento degli enti locali si è ridotta. La questione della casa, che si pensava sarebbe stata risolta dal mercato, è ancora attuale. Non a caso è emerso in questi anni il tema delle “periferie” come espressione urbana del malessere sociale che ha portato l’attuale rivolgimento politico e alla sostanziale instabilità del corpo elettorale.

La crescita economica è più lenta in Italia che in Europa: il peso della burocrazia e delle regole, indicato come uno dei fattori negativi del differenziale di crescita del Paese, incide sulle dinamiche d’uso del territorio: in particolare la ridotta capacità di spesa del settore pubblico in investimenti – infrastrutture e manutenzione del territorio – notoriamente più bassa in Italia che in Europa, è determinata dai vincoli all’indebitamento ma anche, in buona misura, dal sistema delle regole amministrative tra le quali quelle urbanistiche.

190107_Targetti-02A ciò si aggiungono i consistenti residui sul territorio del precedente modello di sviluppo: le grandi aree produttive dismesse; intere parti di città, ma anche di territori periferici a insediamento diffuso, funzionalmente obsolete e ambientalmente degradate, pongono il tema della loro rigenerazione. Il consumo di suolo, esteso e parcellizzato nelle aree di espansione decise da migliaia di comuni, è molto rallentato, ma prosegue tuttavia per grandi concentrazioni, per esempio per nuove aree di interscambio e stoccaggio delle merci, negli hinterland delle aree metropolitane o lungo le autostrade.

Dunque mentre permangono nodi strutturali “storici” per il governo del territorio, l’uso della città evolve rapidamente e imprevedibilmente sotto la spinta dell’innovazione tecnologica, dell’informatizzazione, dell’economia digitale, della mutata composizione sociale (distribuzione differenziata di popolazione giovane e anziana, autoctona e immigrata) dei nuovi modelli di vita. Cambiano le forme di lavoro. Muta la filiera commerciale condizionata dall’e-commerce, ecc. Non è ancora chiaro in che modo le regole urbanistiche possano rispondere a tali mutamenti se non accrescendone la flessibilità, ma contemporaneamente anche il rischio d’incongruenza con gli obbiettivi generali.

A queste dinamiche prettamente umane si sovrappongono quelle “quasi naturali” dei cambiamenti climatici che stanno accelerando a un ritmo evidente. Il tema dell’ambiente e della riproducibilità delle risorse naturali, di là dalle contingenze della crisi economica, resta il grande tema di riferimento che mette costantemente in discussione l’uso delle città e del territorio. L’urbanistica se ne sta occupando da tempo, ma i sistemi di analisi e controllo delle relazioni tra uso del territorio e ambiente non sono ancora certi né codificati.

Fin dalla sua costituzione l’urbanistica moderna ha coinvolto altri saperi specifici che riguardano la città e il territorio: ingegneria sanitaria, economia, demografia e ingegneria dei trasporti; sociologia e psicologia della percezione; storia; e poi idrogeologia e sismologia, scienze dell’ambiente, agraria, ecc. Oggi le accelerate dinamiche sociali ed economiche e la questione ambientale spingono all’estremo la visione olistica del governo del territorio che coinvolge altre discipline. L’urbanistica pertanto deve ritrovare un suo campo specifico di tecniche da consolidare, non ultima il disegno delle forme urbane e dello spazio pubblico.

 

Che fare in concreto, in Lombardia e a Milano

Per dare concretezza a quanto detto, si può considerare, per brevi cenni, ciò che sta maturando in Lombardia, a Milano e nella sua area metropolitana.

190107_Targetti-01Il dicembre scorso la Regione ha approvato la Variante al Piano territoriale regionale in adeguamento alla legge 31 del 2014 per il contenimento del consumo di suolo e lo sviluppo della rigenerazione urbana. Ci sono voluti quattro anni per approvare la Variante. Ora Province e comuni avranno due anni per adeguare i propri Piani al PTR. Sei anni perché vada a regime una disposizione che doveva rispondere a un’esigenza di tutela del territorio che solo l’andamento del mercato immobiliare non ha reso drammaticamente urgente. A differenza del vigente PTR la Variante esercita un effettivo controllo del territorio: entro il 2020 il consumo di suolo previsto dai PGT dei comuni, dovrà essere ridotto del 40%.

Milano adotterà tra poco il nuovo PGT. Chiusa la fase delle osservazioni il Piano dovrebbe essere approvato a primavera 2019. Il PGT affronta i temi del rapporto tra concentrazione insediativa e trasporti, della rigenerazione urbana diffusa; della qualità dello spazio pubblico; dell’imprevedibilità delle trasformazioni. Il PGT prevede aree per grandi funzioni non ulteriormente definite e poli di concentrazione (piazze) che rimandano agli strumenti attuativi i tradizionali contenuti urbanistici, come densità e destinazioni funzionali, in risposta all’imprevedibilità delle dinamiche di trasformazione. Nei prossimi anni vedremo se le scelte del PGT saranno state efficaci.

La Città metropolitana sta elaborando il nuovo Piano territoriale. Per ora non se ne conoscono gli esiti. Resta la debolezza dell’istituzione e la difficoltà di governare l’area metropolitana di Milano, condizionata dalla concentrazione dello sviluppo nel capoluogo e dalle spinte localiste ad attrarre grandi progetti di trasformazione, senza una logica di sistema d’area vasta. All’area metropolitana invece serve un vero piano con propri obbiettivi di assetto razionale del territorio a scala vasta; non un semplice strumento di coordinamento.

Mentre si elaborano i Piani generali, le amministrazioni hanno dovuto o voluto prendere decisioni in merito ad operazioni che determineranno comunque l’assetto della città e del territorio metropolitano nel lungo periodo: come gli Scali ferroviari o le aree ex Expo di Milano. In altri casi operazioni di rilevanza metropolitana o regionale vengono decise e gestite dai comuni. Vedi l’ipermercato di Westfield a Segrate alle porte di Milano, o le aree di stoccaggio e interscambio lungo l’autostrada Brebemi che vengono decise da piccoli comuni con accordi di programma in Variante al PGT o addirittura con la procedura dello Sportello unico per le imprese. Per contro in alcuni capoluoghi lombardi, come Como o Pavia e in centri di antica industrializzazione come Legnano, la rigenerazione di grandi aree dismesse è fuori dalla portata del mercato locale e delle capacità di governo delle amministrazioni.

In questa situazione delineata per spunti, ci si chiede se il sistema della pianificazione delle città e del territorio, sancito dalla legge, sia adatto a governare una realtà profondamente mutata e in rapida evoluzione. Se lo sta chiedendo l’Istituto Nazionale di Urbanistica che in aprile terrà il proprio congresso nazionale a Riva del Garda (**) e in particolare la sezione lombarda che rileva i segnali della regione dove i mutamenti sono più complessi, rapidi e rilevanti per il Paese.

L’assessore all’urbanistica della Regione, Pietro Foroni ha dichiarato che, approvata la Variante al PTR, intende porre mano alla legge urbanistica regionale. E dunque quali devono essere i cardini di una riforma strutturale della legge urbanistica? Da una parte si dovranno definire i punti di riferimento certi di tutela del territorio, del paesaggio e dell’ambiente e gli obbiettivi del loro miglioramento. Forse dei piani d’area vasta specifici. E poi va definito il quadro di riferimento del territorio regionale dato dalle reti della mobilità e dei ruoli dei poli urbani.

Dentro questi quadri di riferimento che dovrebbero costituire la parte “rigida “della pianificazione, dovranno collocarsi i piani per la “rigenerazione” alle diverse scale; provinciali, della CM e dei comuni: la parte “flessibile della pianificazione”. Piani con procedure di formazione più rapide, nei quali non tutto può essere previsto, ma capaci di verificare gli impatti sui quadri generali di riferimento, delle proposte di trasformazione di iniziativa sia pubblica che privata, che via via si concretizzano, attraverso parametri certi e sanciti dalla legge. Bisognerà quindi introdurre nella disciplina e nella legge, nuove tecniche di pianificazione a partire dal Piano comunale.

La valutazione dell’impatto delle trasformazioni sul quadro di riferimento ambientale, sul paesaggio (anche urbano), sulla mobilità e sul sistema dei servizi, dovrà costituire la vera Valutazione Ambientale Strategica, oggi spesso ridotta a procedura burocratica.

Ma non basta. L’attuale legge urbanistica lombarda definisce il complesso sistema delle procedure di formazione dei piani, dei rapporti tra privati e amministrazione pubblica e dei diritti edificatori. Non stabilisce, come faceva la precedente legge 51 del 1975, gli obbiettivi generali di interesse collettivo che deve porsi la pianificazione del territorio e delle città.

Ora la nuova legge dovrà di nuovo stabilire che i Piani, sia d’area vasta che comunali, garantito il rispetto delle precondizioni ambientali e paesaggistiche, dovranno perseguire i fondamentali obbiettivi collettivi nell’uso del territorio. Se vale l’analisi sopra svolta tali obbiettivi dovrebbero riguardare: il controllo degli impatti sul territorio delle grandi infrastrutture; l’azzeramento del consumo di suolo non urbanizzato; la rigenerazione urbana e territoriale; il rapporto tra mobilità e sistema insediativo; l’offerta di edilizia sociale; la qualità dello spazio pubblico; la formazione di condizioni di centralità delle “periferie”; la costruzione della trama verde come fondamentale struttura urbana, consolidando il rapporto tra verde urbano, aree agricole periurbane e paesaggio agrario; ecc.

La pianificazione urbanistica diventerà così strumento di attuazione degli obbiettivi collettivi che la legge indicherà esplicitamente.

Tradurre tutto ciò in legge non sarà compito facile ma il Paese guarderà, come sempre, con attenzione a ciò che accade in Lombardia.

Ugo Targetti

Note
(*) Non sono qui trattati gli aspetti degenerativi dell’urbanistica come la corruzione o come l’abusivismo che riguarda vaste parti dell’Italia centrale e del Meridione.
(**) Dal 3 al 6 aprile 2019 si terrà a Riva del Garda il XXX congresso nazionale dell’Istituto Nazionale di Urbanistica. Da alcuni anni i congressi dell’INU affrontano il tema di come adeguare la disciplina alla sfida ambientale, alla crescita economica e civile e alla collocazione europea del Paese.
Dallo Statuto dell’INU del 1949: “Art. 1. – L’Istituto Nazionale di Urbanistica, ente di diritto pubblico, con sede in Roma e Sezioni nelle Regioni, promuove e coordina gli studi di urbanistica e di edilizia, ne diffonde e valorizza i principii e ne favorisce l’applicazione……”.

– Ringrazio Marco Engel, Presidente della sezione lombarda dell’INU, per i suggerimenti –



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  1. francesco spadaroArticolo molto utile.. In tanti dovrebbero esprimersi su questi temi. Ma quando Targetti scrive: .....quadri di riferimento che dovrebbero costituire la parte “rigida“ della pianificazione....... , subito mi domando? Possiamo provare a dare contenuti a questa benedetta "Maglia rigida", a darle dei contenuti praticabili? Cosa possiamo davvero fare in una società dove il profitto è tutto?
    11 gennaio 2019 • 20:53Rispondi
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