9 dicembre 2018

STANDARD MINIMI DI VIVIBILITÀ CITTADINA

Un approccio ai problemi delle periferie


Ho letto l’ articolo del 27 novembre “Mascara su orbite vuote“ che condivido pienamente. Finalmente una voce fuori dal coro. Il problema delle periferie non riesce a entrare come priorità nella politica di questa Giunta, che pure ha cambiato il volto della nostra Milano, trasformando il Centro in modo meraviglioso e rendendola città turistica. Ma purtroppo non basta, anzi rischia di aumentare la rabbia e la irrazionale violenza dei cittadini periferici. Condivido la sua asserzione sulla necessità di rafforzare (ricreare) la rete del commercio minuto e dei punti vendita “sottocasa” se si vuole ancora parlare di “città”.
Non condivido invece un che di rassegnazione, come se ciò fosse utopico. Ritengo che vada abbandonata la politica dei centri commerciali (ormai più che sufficienti) anche se gli oneri di urbanizzazione allettano (ma spesso aggravano i problemi).
Forse raccogliendo tutte le forze – quelle dei Comuni e quelli delle Associazioni di settore – qualcosa si potrebbe fare per riequilibrare in ogni quartiere un giusto rapporto residenze – attività commerciali. I negozi, i market “sottocasa” non sono solo indispensabili dispensatori di merci e servizi per anziani e giovani famiglie ma autentici presidi della sicurezza cittadina, a volte unici luoghi di socialità sempre più rari nel mondo di oggi malato di realtà virtuali.
Il market “sottocasa” del quartiere dove abito, è l’unico esercizio commerciale. Rischia la chiusura; accerchiato dai numerosi Iper della zona e ahimè da un nuovissimo Esselunga (beffa del destino sorto di fronte al palazzo Coop Famagosta: per un regalo postumo a Caprotti?) Quest’ultimo è localizzato praticamente sullo svincolo autostradale Milano Genova e accanto al parcheggio della stazione Famagosta che è sempre pieno zeppo, creando code su code.
Una volta non c’erano delle norme al riguardo?
Il market del quartiere è aperto fino alle 24 sabato e domenica inclusi, ha ovviamente le sue guardie giurate ed è l’unico momento di socialità e di incontro. Se non ci fosse avremmo l’ennesimo quartiere dormitorio, le petizioni per migliaia di videocamere e centinaia di poliziotti per “difendere i cittadini” e ovviamente il voto a chi sulle paure specula.
La commissione del convegno “Milano 2030” (a cui ho partecipato) ha messo in primo piano questi problemi ma nei resoconti non ne ho letto traccia. Certo bisogna pensare a modelli di esercizi nuovi (multifunzione?) e sapere fare rete.
Quando questo avviene (farmacie che sono anche punti di decentramento sanitario, edicole- librerie che sono anche bar, piccoli market che ospitano attività di servizio e così via) gli esercizi delle periferie riescono a sopravvivere. Se le politiche del Comune (anche fiscali) aiutassero di più, forse tante chiusure si eviterebbero. E’ pur vero che il Comune ha messo a disposizione con i bandi moltissimi locali di sua proprietà con la clausola dell’uso sociale non di lucro, perché non estendere l’uso anche a start up o esercizi anche privati ad affitto calmierato?
Solo per fare un esempio: punti di consulenza informatica per anziani o giovani in cerca di lavoro, utilizzando anche il volontariato. Ormai tutto è online, dalla banca all’Inps, alla Sanità e l’elenco sarebbe lungo: gli anziani vengono lasciati soli e sperduti.
Le biblioteche di quartiere (che non ringrazieremo mai abbastanza per le più che lodevoli attività che svolgono, con eventi, spettacoli, momenti di ritrovo) organizzano utilissimi corsi di prima informatizzazione. Mi sono offerta come volontaria e ho toccato con mano, questa solitudine del cittadino impacciato di fronte agli strumenti della tecnologia, facile preda di paure spesso solo indotte da forze politiche sciagurate.
Il problema è che l’ottica della politica amministrativa non deve essere settoriale (come spesso è) né effimera (come tanti esempi di “cosmesi urbana”) o frammentaria. Quello che manca spesso, a mio modesto avviso, nella politica verso le periferie è un approccio metodologico adeguato, in grado di ridefinire per ciascun quartiere nuovi standard minimi di vivibilità cittadina.
Le strutture portanti, in primo luogo (rete della mobilità e del trasporto urbano, la rete commerciale, e scolastica). All’interno i punti cardine della vita del quartiere, le scuole, le biblioteche e i servizi pubblici, il verde… In questo quadro ben vengano progetti di abbellimento soprattutto se finalizzati a rafforzare negli abitanti il senso di identificazione col loro luogo di vita, ma non solo quelli.

Claudia Capurso



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  1. silvanoAvendo operato parecchi anni nella GDO, ed avendone seguita l'evoluzione anche dopo aver intrapreso altra professione, segnalo quanto segue. Negli Usa, dove si attuano scelte che da noi, solitamente, vengono replicate circa 10/15 anni dopo, i grandi Shopping Centers li stanno chiudendo e riaprono i supermercati di quartiere o di via. Da noi si continuano ad aprire centri commerciali sempre più "mega" ed è insistente la voce che dietro queste aperture ci sia la "longa manus" delle mafie e del riciclaggio di denaro sporco. Riciclaggio che sembra esserci anche nella pratica di compra/vendita di esercizi commerciali che in Lombardia, soprattutto a Milano, ha una frequenza incredibilmente alta! Ma sembrerebbe che a tutto questo la Magistratura non faccia caso.
    18 dicembre 2018 • 15:04Rispondi
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