29 ottobre 2018

LAVORO: NUOVA CONCORRENZA

Una scommessa che non possiamo perdere


Poiché la società civile, lasciata a se stessa, ingenera rapporti di potere radicalmente disuguale, che solo il potere dello stato può sfidare (…) lo stato non può mai essere, come appare nella teoria liberale, una mera struttura per la società civile. È altresì strumento di lotta, usato per dare una forma particolare alla vita comune.” (Michael Walzer)*

In Italia siamo una miniera di Bellezze e Possibilità (con Rischi da gestire, ovvio) e ci lamentiamo. Alle imprese (del Centro Nord) manca il 25% del personale (in vista di Industry 4.0 e non solo), e la Formazione professionale è al minimo perché non si sa bene cosa serva. Brescia sì, ha fatto una bella indagine, dando ampie garanzie di riservatezza. Pure il Dialogo tra Offerta (il lavoro) e Domanda (delle imprese) è al palo, perché le Regioni non ci hanno investito: facciamo 20 volte meno (tra volumi e qualità) della Germania e 10 meno di Francia e Inghilterra.

Da due indizi, una prova. Di cosa? Che l’Italia ha eluso l’indicazione europea. Eccola:

“La flessibilità significa assicurare ai lavoratori posti di lavoro migliori, la ‘mobilità ascendente’, lo sviluppo ottimale dei talenti. […] La sicurezza, d’altro canto, è qualcosa di più che la semplice sicurezza di mantenere il proprio posto di lavoro: essa significa dotare le persone delle competenze che consentano loro di progredire durante la loro vita lavorativa e le aiutino a trovare un nuovo posto di lavoro.” (Verso principi comuni di flessicurezza. Comunicazione della Commissione europea – 27.06.2007).

Nel bel Paese non c’è stato il coraggio di cambiare rapporto con il “capitale umano”. Quello del Lavoro, da noi, non è un Mercato (non ne ha i requisiti: libertà, reciprocità, trasparenza). Adesso scopriamo i Centri per l’impiego. Sono strutture amministrative (di competenza regionale) che fanno poco o nulla sulle Politiche attive del lavoro: Accoglienza, Orientamento, Formazione e pressante Accompagnamento al Dialogo tra Offerta e Domanda. A Milano e Monza sono parte della Agenzia per la Formazione, l’Orientamento e il Lavoro (AFOL): una bella tradizione, un grosso sforzo, rimasto a mezz’aria. Al Sud, non vi dico. Nel 2015 è nata l’Agenzia nazionale per le Politiche attive, per coordinare il molto che c’è e uscire dalla passività. Qui siamo. Ognuno, con le spalle coperte, in mezzo al guado, zeppi di alibi.

Politiche attive significa sostegno e tutela per chi perde o non ha lavoro o è precario o è insoddisfatto. Fondamentali. Chi le ha chieste davvero? Qui il ruolo decisivo e una particolare responsabilità è di Sindacati e Associazioni delle imprese. Possono promuovere, sperimentare un nuovo concorrere: impresa e lavoro soddisfino le reciproche aspettative, si meritino; mettiamo i migliori con i migliori. Il conflitto non di merito – di relazione, di atteggiamento – venga portato fuori dall’azienda, in una Istituzione ad hoc di territorio. Che mirerà anche a promuovere l’armonia relazionale e ad anticipare i problemi, moltiplicando la produttività.

Gli studiosi confermano che l’uomo vale più dei soldi; è decisivo per innovare e farsi apprezzare. Creiamo le condizioni per il suo concorrere. È punto di forza di sistema. L’alternativa è spremere la manodopera, fare precarietà, tagliare i costi; competere con la Nigeria. I bru bru che seguono questa pista, poi chiedono la Cassa integrazione. Sono i “quantitativi”, perdenti per definizione.

Ora, come possono partire le Politiche attive e il dialogo che includa il Capitale umano, se imprese e Sindacati non stanno in prima fila, dentro i Centri per l’impiego e le Agenzie del lavoro? Facciamone strutture aperte, Pubbliche e Private, come insegna (per gestire i Beni comuni) Elinor Ostrom (1933 – 2012), prima donna Nobel per l’economia nel 2009.

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Elinor Ostrom

Mi diceva nel 2008 il sindaco di Sesto S. Giovanni Giorgio Oldrini: “Certo, senza uno stretto rapporto con le aziende, è dura trovare posti di lavoro. Va costruito.” Il presidente Bonomi (Assolombarda) e il sindaco Sala parlino di AFOL Metropolitana, ne propongano la fusione con quella di Monza e dicano sì alle Politiche attive del lavoro (da testare, costruire); sì a un nuovo livello di concorrenza. Sarebbe un bel modo di riconoscere e istituzionalizzare la “nuova élite delle competenze” che guida la Milano del “capitalismo inclusivo”. Così si premia il merito e si attirano i migliori talenti del mondo. Prendiamo parte attiva sulla Assicurazione europea del lavoro, di cui Germania e Francia discutono; uno strumento di libertà utile al caso.

Con l’anticipo dei problemi e una nuova prospettiva di crescita qualitativa (con riduzione quantitativa: ingombro, rumore, inquinamento), sarà facile trovare risorse per un reddito di cittadinanza (o inclusione) nei momenti di difficoltà, o di pausa esistenziale, o di ricerca e studio appassionati. Anche per i giovani del Sud (che deve trovare una sua strada) e per gli immigrati. Le risorse usciranno ancor più abbondanti dai robot e dalle tecnologie. Del resto, i talenti le sfornano belle, cristalline, da un sacco di anni. È roba anche loro.

Concorrere, dunque. È da campioni. Perché

La concorrenza costringe a venire incontro e ad avvicinarsi al destinatario della concorrenza, a collegarsi con lui, a informarsi sulle sue debolezze e sulle sue forze e ad adattarsi ad esse (…). Ad essa riesce molto spesso ciò che altrove riesce soltanto all’amore: di indovinare i pensieri più intimi di un’altra persona prima che essa stessa ne sia divenuta consapevole.” (Georg Simmel)**

La concorrenza induce ad avere grandi idee, pronti a cambiarle. È la forza del Mercato, del sistema economico che ha conquistato il mondo e lo sta distruggendo, se non ci mettiamo testa e cuore insieme. Perché qui, ancora, manca il fattore chiave: “La prima carità”, diceva Paolo VI; la Politica, lo Stato e l’Europa. Servono più forti e rinnovati. Audaci.

Francesco Bizzotto

*Michael Walzer in Il filo della politica, ed. Diabasis – 2002 – pag. 91
**Georg Simmel in Sociologia, 1908, Edizioni di Comunità, Milano – 1989 – pag. 246

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