26 giugno 2018

MILANO PIGLIATUTTO (E L’AREA METROPOLITANA?)

Tra invenduto, sfitto, calo demografico qual è il "sogno"?


Milano sta preparando la revisione del PGT: la città metropolitana dovrebbe iniziare il PTM (Piano Territoriale Metropolitano), ma il PGT di Milano, capoluogo della città metropolitana di cui esprime sindaco e vicesindaco, di fatto è il “core” del PTM, quindi non può ignorare le indicazioni dovute per l’area metropolitana. L’assessore Maran ha indicato tre temi per la revisione del PGT: città connessa, città attrattiva con regole per funzioni più libere, città green vivibile e resiliente: bene, obiettivi che potrebbero essere estesi al PTM.

Alcune considerazioni preliminari.

Milano sembra in grande espansione e successo (registrato nell’articolo di G.G. Schiavi sul Corriere di domenica 24 giugno) anche se con frange urbane ancora dimenticate. Ma soprattutto, e non se ne parla, dimenticando la città metropolitana con una politica che nei fatti si dimostra fortemente centripeta.

Alcuni dati: gli abitanti a Milano sono cresciuti nell’ultimo anno di qualcosa più dell’1%, nella città metropolitana dello 0,001% (2.000 abitanti su oltre 3 milioni, perché tutta l’attrattività è del capoluogo. Il trend di crescita su cui si punta molto, deve essere confrontato con le attuali piramidi della popolazione.

Milano 2030: se il trend positivo oggi previsto nel PGT fosse confermato (ma non c’è certezza) aumenterebbe di 150.000 abitanti nuovi da cui togliere quelli che perderà per la struttura attuale della popolazione, circa 90.000, quindi con un saldo positivo del 4-5%. La città metropolitana può prevedere solo un calo, valutabile in circa 50.000. (si vedano le immagini allegate – alberi della popolazione). Mi sembra necessario che il PGT di Milano ne tenga conto per quanto ne viene di conseguenza, che qui non serve elencare.

06Favole_img_1

06Favole_img2Il terziario: a Milano ci sono circa 2 milioni di mq vuoti (sempre secondo il Corriere), localizzati prevalentemente oltre i bastioni: ai quali si aggiungono superfici vuote nell’area metropolitana. In città ora si recuperano tre edifici in Cordusio, per molte decine di migliaia di mq (di cui ho scritto in Arcipelago), si ipotizzano altre due torri a City life (in cambio di volume residenziale non costruito come se fosse uguale), si sono inaugurati i grattacieli a City life e a Garibaldi, e gli uffici fatti dalla Feltrinelli: tutto bene per Milano, ma con una evidente forte centralizzazione a scapito delle periferie e a maggior ragione della città metropolitana.

Ci sono fenomeni forse ingovernabili come le attività culturali, mostre, musei ristrutturati, nuova Brera, Gallerie di Italia, Fondazione Prada, Mudec, torre Armani, tantissimi teatri (molto attivi e molto frequentati), Scala, Verdi, Conservatorio, tutti in città, inevitabilmente, ma proprio per questo mi sembra ci debba essere una politica di programmazione che proponga alternative sul territorio.

È la città attrattiva, in cui si sono moltiplicati alberghi di ogni tipo, residence e affitti temporanei, e innumerevoli ristoranti (come tutti possiamo constatare), Tutto inevitabilmente a valle del successo della città, ma che anche per questi settori ha di fatto depauperato la città metropolitana, e oltre.

Il tema della residenza deve tenere conto della quantità di invenduto, dismesso, sfitto, che è stimato nel 3-5% del totale del nuovo, in tutto il territorio vasto: non si può pensare a una politica di recupero, riutilizzo, di social housing solo a scala cittadina. Quando ci sono 1,5-1,6 vani abitante (nel 1975 erano 0,8), famiglie destrutturate da 4 a 2,5 componenti, a Milano meno di 2, mi sembra che una politica della casa non possa essere altro che di area vasta.

La definizione delle funzioni degli scali ferroviari, per quanto non ancora deciso, comprendendo anche Pioltello, ben oltre la convenzione milanese con le FS dovrebbero essere trattati con tutte le altre aree dismesse della città metropolitana: e questo mi sembra davvero un tema centrale che deve trovare soluzione a scala metropolitana, cui il PGT di Milano deve dare indicazioni primarie per tutti. Quale funzione si può indicare per gli scali senza coinvolgere l’area metropolitana, e quale resilienza si può affermare per Milano dimenticando l’area metropolitana?

Coordinare la città metropolitana non è certamente facile, ma considerando che molti dei comuni devono rivedere il PGT, scaduti i termini dei DDP e anche in assenza di possibile condivisione, comunque Milano ha il dovere di dire quello che dalla revisione del PGT propone e quello che fa/farà di politica interna per non depauperare ulteriormente il territorio circostante.

Per una conclusione più ampia è necessaria una considerazione di contesto: il calo degli abitanti in tutta Italia è noto, gli studenti dell’obbligo tra 10 anni saranno un milione in meno con 55.000 cattedre vuote, lo stock della prima casa è sovrabbondante (davvero non ne servono più, bisogna gestire quello che c’è), le aree dismesse ex produttive e -alcune – commerciali non si contano. Chi può recuperare solo per fare qualche esempio la Ticosa a Como, 500.000mq di aree ex metalmeccaniche in centro a Brescia, i 620.000mq exSnia a Varedo/Paderno e così via? Pensiamo che ci sia qualche privato che, anche a fronte di creative premialità, possa intervenire?

Anche se ci sono sprechi immotivati il consumo di suolo tende ad azzerarsi ormai, anche senza leggi, per la mancanza di mercato, ma la “rigenerazione” o la “resilienza” di cui in ogni piano e in ogni nuova legge regionale si parla (V l’ultima dell’Emilia del 2017) non si inverano e non si recupera suolo occupato, non si fa green city, se non c’è un intervento pubblico diretto: una Regione come la Lombardia con un bilancio di quasi 50 miliardi, dovrebbe destinarne almeno uno al recupero territoriale, attribuendo fondi ai comuni o alle provincie: non c’è alternativa, non si può più fare una legge o un piano urbanistico, che siano il PTR regionale, il prospettato PTM o il PGT di Milano senza un piano o una legge finanziaria che lo accompagni (che non è il piano OO.PP.) e indichi esattamente quanto, cosa e dove si farà: senza un impegno finanziario pubblico ogni piano sarà prigioniero di (pochi) operatori privati da cui dipenderanno le attuazioni, ma non sarà protagonista e non raggiungerà gli obiettivi secondo una necessaria programmazione consequenziale.

Da anni scrivo questo, perché gli enti pubblici dovranno disporre di bilanci per il recupero urbano, oneri di urbanizzazione alla rovescia: la fine di Detroit e città viciniori, definite la Rust belt -la cintura della ruggine- con le fabbriche abbandonate, ¾ della città svuotata, le aree liberate trasformate in superorti, coltivati dai cittadini rimasti, che commerciano i prodotti, è uno scenario lontano, di sfondo, da non dimenticare, perché è iniziato con dismissioni non governate sulle quali nessun ente pubblico è intervenuto.

Paolo Favole



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