9 aprile 2021

ASPETTI QUANTITATIVI DEL PGT DI MILANO

L'attuale è stato fatto senza valutare bene i numeri. Il prossimo?


Premetto subito che di seguito non si intende trattare solo quello che c’è nel titolo, ovvero gli aspetti quantitativi del PGT (tema che oramai stranamente si tende a giudicare dai più noioso e poco rilevante), ma invece partire da alcuni dati base per passare a valutazioni più complessive.

Premetto anche a scanso di equivoci di non amare particolarmente l’immobilismo a cui portavano molti PRG “quantitativi”, ma anzi di essere da sempre favorevole allo sviluppo e alla riqualificazione delle città (e non vedo perché non lo si dovrebbe essere).

praderio

Ciò premesso credo però che ci siano alcune questioni quantitative ineludibili che il PGT di Milano recentemente approvato tende non si capisce bene perché ad ignorare, quando non a nascondere o a cui dare risposte inadeguate.

La prima domanda infatti è: quanti sono i nuovi abitanti che la città potrebbe ospitare, in base alle sue previsioni? Ovvero, usando termini più gergali, qual è la capacità insediativa aggiuntiva? La risposta, che dovrebbe essere semplice, invece non è banale, perché il PGT dichiara circa 75.000 nuovi abitanti (in misura quindi coerente con le previsioni del Piano della Mobilità), ma in realtà i nuovi abitanti possibili a ben guardare sembrano essere almeno 2 o 3 volte tanto (200-300.000, secondo le stime degli immobiliaristi); sì, perché non sono stati conteggiati i possibili riusi delle aree produttive (circa 8 milioni di metri quadri, equivalenti a oltre 100.000 abitanti, mica noccioline) e questo perché (testuali parole) “difficilmente quantificabile”(1); manca anche una stima dei domiciliati e dei city users perché “la loro stima è ardua”(2) (e quindi non è stata fatta).

Non è stata conteggiata la capacità derivante dalla possibile dismissione dei servizi esistenti (computabili però tout court nella slp, alias SL, si parla teoricamente di altri milioni di metri quadri potenziali), né sono stati conteggiati gli abitanti insediabili nei cosiddetti “servizi abitativi” (ovvero l’edilizia agevolata in affitto) perché questi non sono conteggiati nella SL e possono essere aggiunti in misura qualsivoglia agli indici edificatori di base – come se gli abitanti di questa volumetria virtuale non facessero quindi parte del carico insediativo cittadino, non prendessero l’auto, non andassero a scuola, nei parchi o in biblioteca, niente, essendo “servizio” sono extra.

Non bisogna dimenticarsi poi dei dettagli, ovvero che il parametro utilizzato per passare dalla SL agli abitanti è del tutto sproporzionato (50 mq SL/abitante, che fanno 55-60 mq di superficie commerciale abitativa ad abitante: chiunque può verificare dalla propria esperienza che nei nuovi insediamenti non è così, vorrebbe dire che una famiglia media con due bambini abita mediamente un alloggio di 220 metri quadri: ma dove?

Questo però vuol dire un sottodimensionamento degli abitanti rispetto alle volumetrie edificabili di almeno il 20-25%), ma tant’è. Sembra insomma evidente che il problema ci sia e che abbia una dimensione ben superiore ad esempio a quella degli scali ferroviari (circa 2 milioni di metri quadri), su cui si concentra solitamente l’attenzione dei commentatori urbanistici; questo forse anche per una forma di pigrizia mentale per cui il Piano è sempre “buono” e le varianti sempre “cattive”: qui è il Piano ad avere problemi ma per una tipica miopia i commentatori sembrano non notarlo. Ma tant’è.

Ma poniamoci ora una seconda domanda: i servizi e le infrastrutture esistenti e previsti sono sufficienti per questi nuovi abitanti, qualunque ne sia il numero? Qui il PGT si limita ad affermare che il parametro minimo di legge, 18 mq/abitante, è rispettato. Ma questa risposta – abbastanza codina in verità – non è quella che ci si attenderebbe in una città come Milano.

Ricordo ad esempio che nel convegno del 1996 in Triennale in cui venne per prima lanciata questa proposta, per tutti era evidente che questo sarebbe dovuto servire a liberare progettualità, a fare verifiche vere sulla funzionalità dei servizi esistenti, a porsi obiettivi ambiziosi e consoni alla specifica realtà urbana; perché tutti sanno che in quasi tutte le città le dotazioni esistenti (e magari insufficienti) sono già presenti in misura più che doppia della dotazione minima(3), solo per restare alle categorie tradizionali (sanità, istruzione, sport, cultura, verde, parcheggi, tanto per intendersi.

Figuriamoci poi se le categorie di servizio vengono ampliate anche agli impianti, le strade, il commercio, l’edilizia sociale… le dotazioni medie schizzano in alto, ma non è che questo modifichi la situazione reale delle effettive dotazioni); e questo è tanto più vero in una città come Milano, priva di significative risorse ambientali e il cui successo economico è legato proprio all’attrattività di un tessuto ricco di attività e di servizi… bene, nel PGT queste valutazioni dove sono? Quali servizi mancano? Dove? Quali sono sovrabbondanti, quali da rifunzionalizzare? Neanche dalla lettura dei NIL (gli 88 “quartieri”), che si limitano a fotografare l’esistente, ci sono indicazioni. Qualche accenno nella normativa c’è, paradossalmente però per le sole aree di rigenerazione ambientale (quelle dove non si può trasferire volumetria), dove si chiede che venga fatta la verifica della dotazione scolastica per i nuovi abitanti (4): giusto, ma perché al contrario per le aree dove si può costruire di più questa verifica non è richiesta? Si dice anche: inutile fare valutazioni adesso, si vedrà nel tempo cosa fare. Sì, ma con quali risorse?

Perché la terza domanda è questa, anche qui, la relazione economica che avrebbe dovuto connettere benefici privati, risorse pubbliche e attuazione dei servizi (e sulla base della quale definire tra l’altro i presupposti per la delibera degli oneri di urbanizzazione(5)) è totalmente assente, rimandata (come peraltro la legge permette, ma è un trucchetto meschino) al programma triennale delle opere pubbliche, che si occupa di tutt’altro (come minimo perché l’orizzonte temporale è diverso, così come la capacità di modulare le risorse rispetto agli obiettivi – e infatti nel triennale(6) non c’è nessun accenno alla valutazione della sostenibilità delle previsioni del Piano dei Servizi prevista dall’art. 13 PdS – limitatamente al verde e infrastrutture, peraltro, e non si capisce perché).

Questo per di più avrebbe potuto essere occasione per il Comune – come avviene per altri – di fare il punto e di razionalizzare il tema complessivo dei tributi locali sulle attività immobiliari (e quindi non solo oneri, ma anche IMU minima dovuta sulle aree fabbricabili – che per anni non è stata aggiornata, valevano ancora le destinazioni di PRG ’76 chiaramente superate da anni – o le monetizzazioni, che vengono aggiornate solo in base all’Istat e non al valore reale dei terreni, come la legge richiederebbe, ecc, ecc.). Quanti soldi all’anno perde il Comune di Milano per non avere razionalizzato i propri tributi legati all’attività immobiliare? Tanto è vero che per fare cassa è costretto a vendere i servizi, e per venderli stabilire come abbiamo visto che i volumi a servizi esistenti – realizzati come noto in modo aggiuntivo agli indici edificatori e quindi extra SL, se dismessi facciano invece e magicamente SL(7), in un parossismo di barocchismo urbanistico per cui i negozi di vicinato e la residenza in affitto non vengono computati nella SL (in quanto di interesse pubblico), ma i servizi esistenti sì (per poterli vendere) (beninteso, se un servizio non serve più e non è riutilizzabile per altre destinazioni simili, giusto venderlo, per carità. Ma creare le condizione per farlo potenzialmente su tutti? Questo rischia di essere un bell’incentivo alla dismissione.

Ovviamente ci sono metodi più semplici per farlo, ad esempio mediante il piano della alienazioni deliberato dal CC). Il tutto nasce da un fraintendimento dei poco competenti consulenti di qualche assessore fa, che sbandierarono come grande novità dell’allora redigendo PGT il fatto che i servizi non venissero più computati nella SL – cosa che invece era sempre avvenuta. Resisi conto dell’errore, e non potendo fare macchina indietro, con un colpo di bacchetta magica hanno reso potenzialmente portatori di diritti edificatori (senza peraltro calcolarli come abbiamo visto nella capacità insediativa) tutti i servizi esistenti, in modo da fare fronte alle aspettative che nel frattempo si erano formate (ma viene da chiedersi: cosa impedisce di pensare che un giorno questo avvenga anche per tutti i volumi extra SL – edilizia in affitto ecc. – che oggi ci stiamo accingendo ad edificare?).

Ci sono poi molti altri temi su cui il PGT appare fortemente impreciso nelle sue valutazioni, ad esempio nella stima della domanda abitativa sociale – quella vera dei ceti meno abbienti, si intende, non quella assolta efficacemente e positivamente dal cosiddetto housing sociale – che viene stimata dalle ricerche del Politecnico(8), del Cresme/Assimpredil(9) e ora anche da quelle recentissime di Nomisma(10) in misura ben superiore di quanto previsto dal PGT (situazione abitativa peraltro sempre più disagiata a causa dell’emergenza sanitaria); ma anche per il censimento dei beni storici e artistici delle periferie non tutelati da specifico vincolo, censimento richiesto dalla legge(11) e dal buon senso, il PGT invece ha pensato bene di non fare nulla; e si potrebbe proseguire a lungo.

Ma inutile continuare: anche da questi brevi accenni è abbastanza evidente e anche facilmente dimostrabile che il PGT su questi temi mostri i suoi limiti. Certo, si dirà, i numeri non sono tutto, certe valutazioni inevitabilmente sono imprecise, non sono numeri sacri. Ma sicuramente è così, anche il PIL ad esempio è solo una convenzione. Ma provate a barare su quel calcolo, e vedete cosa è successo alle nazioni che lo hanno fatto: questi numeri ancorché approssimativi servono a delineare problemi e soluzioni.

E la domanda vera a questo punto è: perché lo hanno fatto? Perché i conteggi sono così sbagliati e inaffidabili?

Occorre innanzitutto sgomberare il campo da un possibile equivoco: che cioè sia stato fatto per ignoranza o insipienza. Il mondo degli urbanisti è piccolo, e quanti hanno partecipato alla stesura di questo PGT sono persone attente e puntigliose, e mai e poi mai le avrei credute di sottoscrivere un documento così pieno di mancanze – o addirittura di compiacersene. Anzi, paradossalmente molti di loro si distinguevano per essere rigidi e formali sostenitori della cosiddetta “urbanistica riformista” di scuola Campos Venuti tanto per intendersi; ma sono passati sorprendentemente da calcoli minuti di verifica di doppi decimali e dall’applicazione pedissequa del più bigio disposto normativo all’estremo opposto, nessun calcolo. C’è insomma forse una componente di tipo antropologico-culturale per cui si è passati dalla sacralizzazione dei numeri alla loro demonizzazione (accusando di vecchiume e di poca modernità chi questo passaggio non l’ha fatto), senza fermarsi in un ragionevole punto di mezzo dove si trova a suo agio chi invece a tale tradizione non è mai appartenuto.

Ma c’è un altro aspetto importante di cui tenere conto: e cioè che il PGT “funziona” (sembrerebbe, almeno per ora). Da quando è in vigore, nuovi cantieri, grandi attività immobiliari, capitali che arrivano. E questo è assolutamente da considerare un fatto positivo, è bene ribadirlo, l’immobilismo di certa cultura urbanistica non ha fatto bene alla città e ne ha avvilito le potenzialità. Ma ha davvero tutto origine nel PGT? Come sappiamo bene, molte iniziative sotto gli occhi di tutti – come l’ex Fiera o Porta Nuova – nascono ben prima, e con logiche diverse. E molte di queste iniziative primigenie non sono mai ben decollate (vedi Montecity o Porta Vittoria) e soprattutto non hanno portato nessuno dei benefici pubblici promessi (chi ha visto la Città della Moda, il Centro Congressi a Rogoredo, la Grande Biblioteca, ecc.?). Non solo: pensiamo ad un’iniziativa di grande successo su aree ferme da fin troppo tempo quali quelle di Garibaldi-Repubblica.

Quanti sanno che il 60% di quell’area era di proprietà comunale, e che è stata venduta a trattativa privata e non a gara (come sarebbe obbligatorio per legge anche quando si vende un pollaio di proprietà pubblica) e quindi con un prezzo stabilito chissà come, e non dal mercato (si ricorda che nelle aste recenti i prezzi pagati sono raddoppiati rispetto alla base d’asta), ma non solo: quanti sanno – o ricordano – che dopo la vendita le volumetrie private realizzabili sono aumentate(12)? Sono fatti bizzarri questi, che stupisce non vengano richiamati quando si ricostruisce quella vicenda e i motivi del suo successo.

Ci sono tanti modi insomma in cui si può generare l’attrattività di una città nel breve periodo, ad esempio abbassando il livello delle pretese (spesso nel mondo imprenditoriale viene usata a questo proposito una metafora sessista che non riporto ma che ognuno può immaginare). Ma anche usando metafore più gentili, a tutti è nota l’immagine del “fuoco di paglia” che certo serve ad avviare i processi, come sa chiunque si sia occupato di accendere un caminetto, ma che da solo non basta a durare nel tempo. Chiediamoci quindi, ad esempio, se nel lungo periodo sia una buona idea ridurre fortemente i tributi e le dotazioni richieste per le attività immobiliari, con il rischio di non avere domani le risorse per realizzare i servizi che rendono attrattiva la città.

La pianificazione urbanistica deve innanzitutto essere lungimirante: i nostri bisnonni ad esempio quando costruirono con grande dispendio di risorse la rete fognaria di Milano non avevano in mente la città esistente di allora (per la quale la rete era sovradimensionata) ma la città del futuro, molto più grande, per la quale quella rete risulta ancora oggi in larga misura funzionante; o quando costruirono i grandi quartieri popolari ad esempio di via Solari, questa lungimiranza l’hanno dimostrata (e non è che costruire fognature avesse un grande appeal sull’opinione pubblica, non c’è visibilità, si notano solo se non ci sono…).

Oggi questa lungimiranza l’abbiamo? Senza dati, non siamo neanche in grado di valutarlo. Ma forse è questa la vera ragione. Tutta questa indeterminatezza forse serve ad aumentare il potere discrezionale dei decisori pubblici. Inutile girarci attorno: in mancanza di dati e di obiettivi espliciti, la libertà di manovra di chi governa è maggiore (e questo è anche molto piacevole, per chi può, ovviamente). Quindi è difficile che ci sia da attendersi una modifica dell’attuale PGT, a meno che venga richiesta dall’opinione pubblica. E magari questo quindi potrebbe un tema di cui parlare in occasione delle prossime elezioni.

Gregorio Praderio

note:

(1) relazione DdP pag. 46

(2) sic, DdP pag. 26. Inutile dire che invece la legge lo richiede (art. 9.2.c) LR 12/05: “I comuni redigono il piano dei servizi determinando il numero degli utenti dei servizi dell’intero territorio, secondo i seguenti criteri: …c) popolazione gravitante nel territorio, stimata in base agli occupati nel comune, agli studenti, agli utenti dei servizi di rilievo sovracomunale, nonché in base ai flussi turistici.

(3) nel PGT previgente (2011) la dotazione di servizi esistenti a Milano è pari a 35 mq/ab (DdP all. 2 pag 61). Nel PGT approvato il dato non compare.

(4) art. 15.3.f) PdR

(5) Art. 44.1 LR 12/05: “Gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria sono determinati dai comuni, con obbligo di aggiornamento ogni tre anni, in relazione alle previsioni del piano dei servizi“

(6) https://www.comune.milano.it/comune/amministrazione-trasparente/opere-pubbliche/atti-di-programmazione-delle-opere-pubbliche

(7) art. 7.5 PdS

(8) “Fabbisogno di abitazioni a Milano e nella Provincia” a cura di Antonello Boatti (2011)

(9) “2° Rapporto Congiunturale Previsionale Del Mercato Immobiliare 2012 -primo volume – Milano e Provincia” (2012)

(10) “Dimensione del disagio abitativo pre e post covid-19” (2020); “Milano inclusiva – la produzione di case in locazione a costi accessibili” (2021)

(11) art. 10.2 LR 12/05: “Entro gli ambiti del tessuto urbano consolidato, il piano delle regole individua i nuclei di antica formazione ed identifica i beni ambientali e storico-artistico-monumentali… per i quali si intende formulare proposta motivata di vincolo”

(12) il riferimento è alla variante al PII approvata nel 2011



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  1. Annalisa FerrarioPer la precisione, gli oneri di urbanizzazione non vengono aggiornati dal 2007, quattordici anni fa
    14 aprile 2021 • 09:57Rispondi
  2. Pietro VismaraUn'altra storia tutta da raccontare è quella delle ex Varesine. Sì, perché la destinazione venne decisa sulla base di una perizia di un certo Balducci (non il professore) che venne inquisito e credo condannato anni dopo per una vicenda che riguardava mi sembra l'area ex Fondiaria a Firenze. In breve, in base a questa perizia (basata sul simbolo grafico di un portico che presupponeva la previsione di un edificio soprastante) il tribunale assegnò una volumetria all'area ben superiore a quella del piano regolatore. L'avvocatura comunale neanche si presentò, avendo letto male la data dell'udienza (si presentarono il giorno dopo). La cosa avrebbe la sua importanza, visto che si parla di uno degli autori di quella vicenda come possibile candidato a sindaco di Milano per il centrodestra. Strano che di questa vicenda nessuno ne parli. Che dire? Per gli antichi greci, c'era il fiume Manzanos (apprendere) e il Lete (dimenticare). Forse solo dimenticando (o ignorando) potremo conciliarci con queste vicende.
    13 maggio 2021 • 22:36Rispondi
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