12 giugno 2018

GOVERNO O “GOVERNANCE” DELL’AREA METROPOLITANA DI MILANO?

La sinistra e gli strumenti di governo del territorio


L’articolo di Piero Borghini “La città metropolitana di Milano” sul n. 20 di Arcipelago Milano (http://www.arcipelagomilano.org/archives/50486) è chiaro e ben argomentato. Milano e la sua Area Metropolitana devono riconoscere la reciproca necessità, ma l’Area Metropolitana non ha bisogno di un Governo istituzionale, ovvero della Città metropolitana così come prevista dalla legge, ma di un sistema di Governance adeguato al ruolo di nodo della rete globale delle città internazionali. Borghini auspica dunque “forme originali di autogoverno” e di coordinamento, non legate a confini territoriali, che però non delinea neppure nei tratti essenziali.

05targetti22FBLa posizione di Borghini appartiene ad una corrente di pensiero (maggioritaria tra i politici milanesi) che fonda i propri convincimenti su tre ordini di ragioni (mi si perdonerà la semplificazione). La complessità e variabilità delle relazioni tra Milano e il resto del mondo. La difficoltà di identificare i confini dell’area metropolitana reale che spazia di fatto entro la più vasta area forte lombarda. La vitalità dei molteplici centri decisionali della società milanese e delle istituzioni: primi fra tutti i comuni che rappresentano il radicamento delle collettività nel territorio e garantiscono il rapporto diretto tra amministrati e amministratori.

Sono tutte ragioni fondate, ma che non esauriscono la questione centrale del governo del territorio della Città Metropolitana. Cercherò di dimostrarlo.

Se è vero che la società metropolitana ha bisogno di Governance e dunque di una leadership politica autorevole che riconosca e indirizzi i molteplici centri decisionali, è pur vero che il territorio metropolitano, fatto di infrastrutture, case e fabbriche, spazi agricoli e naturali, connessioni ecologiche, ha bisogno di governo; ovvero di un confine, di un’istituzione rappresentativa degli elettori di quel territorio, di un progetto che razionalizzi le relazioni fisiche dure (l’hardware del sistema) che connotano quello specifico territorio. Ovvero ha bisogno di una Città Metropolitana come istituzione rappresentativa con poteri sostanziali per il governo del territorio. Perché? Perché il territorio ha un’inerzia secolare; si adatta con lentezza e difficoltà alla variabilità dell’economia e della società. Gli effetti delle decisioni che riguardano il territorio permangono per decenni (secoli) e non si possono variare come le politiche sociali o i provvedimenti per l’economia. Le scelte per il territorio hanno bisogno di certezze (la posizione di un’infrastruttura non ha infinite opzioni) e impattano pesantemente sul sistema ecologico, sui diritti, sul paesaggio, sull’economia di un territorio. Devono dunque essere assunte da un’istituzione legittimata dal voto, con metodo cooperativo, non gerarchico, ma vincolato da regole, tempi e priorità certi, assunti alla scala decisionale appropriata. Il Piano territoriale metropolitano è l’atto essenziale della Città Metropolitana e deve comprendere il territorio del Capoluogo.

  • La “Governace” dell’area metropolitana nell’epoca dello sviluppo

Dopo la guerra e fino alla crisi del primo decennio degli anni 2000, l’Area Metropolitana è costantemente cresciuta di dimensioni fisiche ed economiche, sostenuta da una straordinaria base produttiva, manifatturiera e dalla sua progressiva e complementare terziarizzazione. Una storia connotata da un’evoluzione dei rapporti di peso e di ruolo tra Capoluogo e Hinterland, in termini di popolazione, posti di lavoro, funzioni trainanti, ecc. mutevole di segno, ma sempre nel solco di una crescita complessiva costante.

La società e la politica milanesi hanno sempre rifiutato l’istituzione di un governo metropolitano, ma hanno utilizzato e ove necessario costruito (e talvolta smontato) gli strumenti per la Governance dell’area metropolitana. La base del sistema di governo sono sempre stati i comuni. A livello sovracomunale sono state messe in campo numerose istituzioni settoriali e tecnostrutture, come ricorda Borghini stesso. Il PIM, il Comprensorio, i grandi consorzi di servizi come il CAP (acqua potabile), l’ATM per il trasporto pubblico, la Serravalle per il sistema delle tangenziali, la Sea per gli aeroporti, i Parchi (un po’ regionali un po’ intercomunali) per la tutela dei (residui) territori agricoli e naturali. E poi ancora la Camera di Commercio (provinciale), la Cassa di Risparmio, le Università. Anche la Provincia è stata uno strumento importante della Governance metropolitana, parziale ma efficace ed autorevole, almeno fin quando è stata eletta direttamente dai cittadini.

La Governance è stata a lungo condotta (a volte bene a volte male) dai partiti che equilibravano i pesi delle rappresentanze negli enti locali e nelle diverse istituzioni – oggi si direbbe spartivano le poltrone – e coordinavano e conciliavano, ove necessario, le politiche, i grandi investimenti, le priorità. Oggi quei partiti non esistono più.

L’esito del modello di “Governance” tutt’ora vigente, se pur più debole di prima, ha dato esiti in parte positivi e in parte negativi. I comuni hanno garantito una diffusione quasi omogenea nell’intera Area Metropolitana della qualità urbana di base in termini di: servizi fondamentali alla persona, istruzione, risposta alla domanda di abitazioni, assistenza, offerta commerciale, cultura locale e tutela del patrimonio storico e monumentale; tutela (tardiva) dei residui di naturalità. I comuni hanno coltivato radicamento e identità. L’economia dell’hinterland ha offerto lavoro. Gli strumenti di Governance di livello sovracomunale hanno tenuto insieme, talvolta bene e talvolta male, una società dinamica in costante crescita. Dunque per molti aspetti l’hinterland non è stato e non è ancora la periferia del Capoluogo.

D’altra parte il livello di offerta del trasporto pubblico nell’hinterland rispetto al capoluogo cala fortemente (il 57% degli spostamenti in Milano è effettuato con mezzo pubblico mentre solo il 37% degli spostamenti dall’hinterland verso Milano, usa il mezzo pubblico). L’accesso ai servizi rari di qualità (culturali, commerciali, ecc.) e ai luoghi di lavoro concentrati nel Capoluogo è perciò generalmente disagevole e dispendioso. Il modello di “Governance” non ha garantito un uso razionale del suolo (consumo e spreco della risorsa suolo), non ha ottimizzato il rapporto tra mobilità e crescita degli insediamenti. La mobilità su strada è più congestionata che nel capoluogo. Non si riesce a ridurre l’inquinamento atmosferico. Non si riesce a risolvere il dissesto e l’inquinamento idrologico (Seveso, Lambro ecc.). Le opportunità offerte dal territorio, (nodi di interscambio della rete della mobilità, grandi aree dismesse, scali ferroviari compresi, “contenitori storici” come ville, castelli e cascine, la grande “rete verde e blu” fatta di paesaggi agrari, canali e laghi di cava grandi come l’Idroscalo, ecc.) non sono state appieno colte. Il sistema della Governance diffusa ha lasciato che in gran parte dell’Area Metropolitana si formasse un paesaggio banale e confuso (in talune parti semplicemente orribile). Per questi aspetti l’hinterland è stato ed è periferia del Capoluogo. Eppure gli strumenti per una Governance a geometria variabile o multi scalare, non legata ai confini amministrativi ci sono sempre stati; ma per il controllo del territorio semplicemente non hanno funzionato come sarebbe servito ad una grande città metropolitana.

  • Dopo la crisi globale

La globalizzazione ha ridimensionato la base economica manifatturiera dell’Area metropolitana (mi si perdoni ancora le semplificazioni): si è fermata la crescita demografica e sono stati persi posti di lavoro. Il mercato immobiliare rileva la situazione di stasi: la rendita urbana non sostiene più né i processi di crescita quantitativa, né di riorganizzazione funzionale dei centri urbani (rigenerazione). Nel frattempo Milano sta diventando sempre più città internazionale. Cresce per popolazione, posti di lavoro, e presenza di studenti universitari. Si sviluppano la ricerca, le attività culturali, le funzioni di eccellenza. Le Università crescono e si riorganizzano dentro il capoluogo (il modello regionale sta perdendo colpi). I livelli del mercato immobiliare dentro la cerchia dei bastioni o al massimo della circonvallazione esterna, rilevano tali andamenti. Le relazioni del Capoluogo sono come si dice oggi “lunghe”. Milano consolida le relazioni con lo Stato centrale (il Patto per Milano, Human Technopole, nuove linee metropolitane) con l’Europa (la mancata assegnazione dell’Agenzia europea del farmaco è stato un incidente) con la Regione (Scali ferroviari, AREXPO, Navigli) con altre città, con il resto del mondo. Per contro Milano allenta le relazioni con la sua Area Metropolitana che non cresce, non attira funzioni rare se non a ridosso del capoluogo. I tradizionali strumenti della “Governance” si indeboliscono o assumono, anche giustamente, una dimensione regionale. La Provincia di Milano viene prima divisa in due, Milano e Monza Brianza, poi sostituita dalla Città Metropolitana, più debole della vecchia Provincia. La programmazione dei trasporti viene sottratta alla Città Metropolitana e affidata alla ”Agenzia per il trasporto pubblico locale”, di carattere interprovinciale. Sea e Serravalle/Pedemontana, modificate nella composizione del capitale sociale, operano a scala regionale. Il Parco Sud che presiede il territorio agricolo milanese non è considerato uno strumento strategico (asserzione che meriterebbe una specifica trattazione). L’unificazione in un unico istituto del Sindaco del capoluogo e del Sindaco metropolitano, invece di rafforzare il governo metropolitano, ha annullato qualsiasi dialettica e marginalizzato la nuova istituzione. Milano sta divorziando dalla sua Area metropolitana per usare un’efficace espressione di Gabriele Pasqui al convegno “About a City”.

  • Milano 2030 e la prospettiva politica di Milano

In un incontro all’Istituto Nazionale di Urbanistica, l’assessore Rabaiotti, sollecitato in tal senso, ha dichiarato, con apprezzabile onestà intellettuale, che l’Amministrazione di Milano in questa legislatura non intende affrontare la questione della riforma e del ruolo politico della Città Metropolitana. Non ci sono le forze. L’Amministrazione intende concentrarsi sulla qualità e sulla sostenibilità delle trasformazioni urbane necessarie a qualificare Milano come città internazionale.

La strategia di “Milano 2030” e i criteri di formazione del nuovo PGT, recentemente presentati alla Triennale, rispondono a tale scelta. La valutazione delle linee strategiche per il nuovo PGT merita uno specifico approfondimento, ma dalla presentazione pubblica è abbastanza evidente che la questione metropolitana è sostanzialmente estranea al processo, prova ne sia che l’istituzione Città Metropolitana non è stata neppure coinvolta nel dibattito. Non mancano in realtà spunti importanti di scala vasta, come i trasporti e la rete verde metropolitana, ma non sufficienti ad inserire il PGT nello scenario metropolitano.

La posizione politica dell’amministrazione di centro sinistra di Milano è comprensibile. Assediata dal crescente consenso al centro destra e in particolare alla Lega, nella regione e negli stessi comuni dell’hinterland, anzi fin dentro la città, appena al di là della circonvallazione esterna, l’amministrazione prepara, dentro la città centrale, la resistenza del centro sinistra per le prossime elezioni. Comprensibile, ma non condivisibile.

La riscossa della sinistra deve partire da Milano ma deve allargarsi ai territori ove un tempo era in larga parte maggioritaria.

 

Ugo Targetti

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