12 giugno 2018

musica – GIANNI SCHICCHI IN CASCINA


musica_22Maria Candida Morosini – detta familiarmente Marika – è una solida mecenate, nel senso antico della parola, per la musica classica; animatrice della stagione concertistica di Milano Classica alla Palazzina Liberty di Largo Marinai d’Italia, collabora con tante iniziative milanesi di grande livello, e un paio di volte all’anno organizza manifestazioni musicali anche nelle sue dimore di campagna ove raccoglie cimeli della civiltà contadina lombarda che formano piccoli veri musei.

Domenica scorsa, in una di queste preziosi occasioni, ha offerto a una strabordante quantità di ospiti (duecento? trecento persone?) un’intera opera lirica allestita con grande inventiva e con considerevole gusto sotto il portico della cascina – vera e propria azienda agricola – i cui terreni si estendono fra il Naviglio Grande e quello Pavese. Una giornata piena di sole, un portico fresco trasformato in platea, la legnaia usata come retropalco, il palco costruito con sapiente parsimonia con tavole di legno dipinte di nero, e infine il giardino dietro alla casa padronale preparato per l’amabile rinfresco.

Se quello era il contorno, la pietanza era costituita dal Gianni Schicchi di Puccini, uno dei tre atti unici che insieme a Suor Angelica e a Il Tabarro costituiscono il famoso “Trittico”, e dei tre l’unico tanto spiritoso e divertente da poterlo intendere come una tardiva “Opera buffa”.

La vicenda è nota, si svolge a Firenze nel 1299 e trae spunto da un episodio, sia pur brevissimo, dell’Inferno dantesco (Canto XXX, versi 22-48). Intorno al letto di morte di un ricco mercante una dozzina di parenti in trepida e speranzosa attesa di conoscere il contenuto del testamento si ritrovano beffati dal defunto che ha lasciato il cospicuo patrimonio alla chiesa. Disperati, si rivolgono a un noto ed allegro birbone e faccendiere, il protagonista dell’opera Gianni Schicchi, che troverà subito una brillante soluzione che tuttavia risulterà essere una seconda e ben più cocente beffa a danno dei presenti.

La compagnia teatrale “VoceAllOpera” che la Morosini ha invitato/ingaggiato per lo spettacolo è una creatura di Gianmaria Aliverta, il trentatreenne regista di Borgomanero che sei anni fa ha cominciato dal Rosetum – una sala parrocchiale della semiperiferia milanese – e in assai poco tempo è arrivato al Filodrammatici, al Nuovo ed anche alla Fenice e al Festival di Martina Franca. Per questo spettacolo l’Aliverta ha avuto una felicissima intuizione; costruita in piena crisi per la formazione del nuovo Governo, con tutti i protagonisti della politica nazionale disperatamente tesi a raccogliere l’eredità dei vecchi partiti, la scena medievale del rito funebre è stata trasformata nel salotto di Bruno Vespa (il notaio Amantio) in cui Matteo Renzi nei panni dello Schicchi assegna l’eredità di Berlusconi a una pletora di orfani costituita dalla Boschi (Lauretta) e da Meloni (Nella), Santanchè (la Ciesca) e Bindi (Zita). Le voci maschili erano impersonate in Salvini (Gherardo), Di Battista (Rinuccio), Brunetta (Gherardino), Alfano (Betto), Bersani (Simone), Prodi (il Maestro Spinelloccio) e perfino Razzi (Marco). Più che corretta l’assenza di Di Maio, appena arrivato per aspirare ad alcuna eredità, divertenti e folcloristiche le presenze di Apicella (il calzolaio Pinellino) e di Lele Mora (il tintore Guccio).

L’aria più celebre dello Schicchi è – come tutti sanno – l’«O mio babbino caro» con cui Lauretta implora papà Schicchi di non farla «morire di logro e di tormento»: immaginatevela cantata da Maria Elena Boschi a Matteo Renzi e capirete subito l’intelligenza e l’effervescenza della trasposizione inventata dall’Aliverta. Bravissimo.

I cantanti, così ben agghindati e truccati da rendere perfettamente riconoscibili i relativi personaggi, erano ragazzi e ragazze giovanissimi, molto preparati e perfettamente sostenuti dalla pianista Debora Mori che suonava su un’ottima tastiera e dava loro gli attacchi. La sensazione è che questa “scuola” di Aliverta dia buoni frutti e svolga un’importante funzione di avvio alla professione per giovani cantanti, musicisti, scenografi, costumisti e in genere per chi voglia entrare nel mondo dell’opera lirica. La cura con cui è stata allestito questo Gianni Schicchi – per giunta in condizioni non facili e (dice il programma di sala) in meno di dieci giorni fra prove e recita, con cantanti che per il novanta per cento erano al debutto – ne è stata la tangibile dimostrazione.

Bravissima anche Maria Candida Morosini che incoraggia iniziative di così buona qualità; quindici giorni fa questa rubrica (“Una Traviata in formato ridotto”) si è occupata di un’altra compagnia di giovani che porta l’opera lirica nei luoghi più impensati o quanto meno non istituzionali, la “FuoriOpera” di Altea Pivetta e di Andrea Gottfried. A me sembra che tutte e due le Compagnie partecipino di questo momento positivo in cui l’Opera riprende vigore ed allarga il suo pubblico, e va benissimo che insieme all’opera “classica”, cui assistiamo tradizionalmente a teatro, crescano queste riduzioni e queste versioni in tono un po’ minore che offrono spunti di poesia e caratteri di novità non sempre proponibili nei grandi teatri. Grazie dunque agli Aliverta, alle Pivetta, ai Gottfried che vi si dedicano con così potente passione e a tutti quei ragazzi (vorrei nominarli uno per uno, ma sono troppi e spero mi perdoneranno) che cominciano da questi eventi non solo per affinare la loro voce ma anche per familiarizzare con il teatro e per imparare a stare in scena.

 

Rubrica a cura di Paolo Viola
rubriche@arcipelagomilano.org



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