8 maggio 2018
Fortunato Cerlino
SE VUOI VIVERE FELICE
Einaudi, 2018
pp. 272, euro 18,50
Non alla stessa ora. E nemmeno nello stesso giorno. Ma per ognuno di noi c’è un momento nella vita in cui bisogna spiccare il volo alla ricerca di se stessi. Per ritrovarsi. Capirsi. E riconciliare il nostro presente con un passato difficile che, giorno dopo giorno, abbiamo cercato di cancellare.
Al suo primo romanzo, Fortunato Cerlino sprigiona una grande energia. Unica, direi. Perché nasce dalle sue origini. Tutti conosciamo Cerlino, il suo volto è noto agli appassionati di teatro e al pubblico televisivo per aver interpretato don Pietro Savastano, nella serie Gomorra.
Conosciamo poco la sua storia. Almeno fino alla pubblicazione di questo libro. Qui, l’autore non nasconde il suo autobiografismo. Con uno sguardo oggettivo, che non risparmia il lettore dalla crudeltà della sua terra, dipinge la periferia di Napoli degli anni Ottanta. Quella che gli abitanti chiamano “Far West”.
La sua sensibilità lo distingue tra molti autori che hanno scritto di Napoli e il suo talento di immedesimazione gli permette di entrare dentro i personaggi e di farli muovere in armonia con il loro carattere, bello o brutto che sia, senza ostentare o abbellire. Il giusto. Per riuscire a trasmettere profondità a chi legge.
Il protagonista ha dieci anni. Fortunato è il primogenito di un piccolo esercito di figli che dovranno ricambiare il dono della vita, lavorando precocemente. Ma il suo sogno è distante da questo mondo ostile. Lui ha una bella voce e da grande vorrebbe fare il cantante, oppure l’attore, magari l’astronauta. In famiglia, lo chiamano ‘o strologo’. Il sapientone, appunto. Nelle due stanze, in cui lui vive con i quattro fratelli, i genitori e la nonna, si afferma la convinzione, inesorabile e progressiva, che da quel mondo non può fuggire. Sopravvivere è già molto. Affida così i suoi pensieri a un diario di cartapaglia, dove scrive tutti i suoi appunti. Lo stesso quaderno sul quale, l’autore, quando era piccolo, appuntava le cose che vedeva e ciò che non capiva.
Il mondo in cui Fortunato vive è senza speranza e saturo di ignoranza: i genitori si ostinano a procreare figli maschi; il padre tira faticosamente una carretta, senza sapere dove andare; la nonna stira i vestiti del nonno morto dieci anni prima e fa da consigliera a una figlia depressa; e l’amico del cuore si è buttato dal quinto piano e affoga sull’asfalto nel sangue e nella pioggia.
Un cerchio che non si chiude mai. E la fuga si trasforma, in realtà, in un avvicinamento ai propri fantasmi. Non si può scappare da questo Far West, che si rispecchia anche nell’inconscio. I ricordi più spiacevoli sono cartoline che emergono da un cassetto chiuso, che deve essere aperto per poter costruire il futuro.
L’esperienza si fa unica quando si arriva alla resa dei conti. Qui il distacco doloroso e necessario è inevitabile. Dopo aver spiccato il volo e aver ritrovato se stessi, non rimane che realizzare i propri sogni. Si impara così a conoscere l’alchimia per cambiare il negativo in positivo, l’ombra nella luce.
Rubrica a cura di Cristina Bellon
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